Lacaton e Vassal FRAC Dunkerque

Tanto famosi quanto outsider dello star system, i due progettisti francesi Lacaton e Vassal, sono ossimoro vivente, testimonianza di un’architettura che può essere etica e pedagogica dal principio alla fine.

La storia del Pritzker Prize, il più prestigioso dei premi internazionali d’architettura, l’“Oscar” che ogni architetto di vero talento sogna un giorno di vincere, è troppo lunga per poterla qui riassumere: ma sicuramente fin dal 1982, quasi 40 anni, rappresenta l’occasione più importante a livello globale per il riconoscimento di autori che abbiano saputo sviluppare insieme professione e poetica del costruire. L’ultima pubblicazione che ne riassume i primi (quasi) 20 anni è del 1998, curata allora da Martha Thorne che ne è stata poi la direttrice, dal 2005 fino a quest’ultima edizione.

Lacaton e Vassal, Casa nella pineta a Cap Ferret, Francia 1995
Lacaton e Vassal, Casa nella pineta a Cap Ferret, Francia 1995

Martha lascia quest’anno il suo incarico con un’edizione che vede vincitori due insospettati outsider della scena internazionale del progetto come Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal, a rappresentare l’anima certo più interessante del Pritzker: quella che ha proposto autori meno famosi al grande pubblico, ma più importanti per la capacità di congiungere il realismo del costruttore con l’immaginazione dell’architetto d’invenzione. Uno tra tutti, Huan Shu, primo architetto cinese a vincere il Pritzker nel 2012, che nel contesto complesso e molto contradditorio del pianeta Cina si è affermato con una poetica molto personale, fatta di integrazione tra storia, contesto e motivazioni ecologiche.  L’altra anima del Premio, in un singolare equilibrio di intenti divulgativi e d’immagine istituzionale, è invece quella che fatto vincere negli anni autori molto consolidati.

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Ancora nell’edizione 2019 il premio è andato ad Arata Isozaki, l’architetto giapponese che certamente ha avuto esordi sperimentali e perfino “eretici” ma poi, nel corso di una lunghissima carriera (è nato nel 1931), si è stabilizzato come una delle grandi firme dell’architettura della globalizzazione, fino alla Torre Allianz completata nel 2015 (insieme all’italiano Andrea Maffei) nel quartiere milanese di City Life.

E così prima di Isozaki sono stati premiati Oscar Niemeyer (1988), Aldo Rossi (1990), Renzo Piano (1998), Jean Nouvel (2008, per cui ho avuto il piacere di scrivere su suo invito il saggio di presentazione per l’assegnazione del premio) e molti altri nomi, storici o storicizzati, dell’architettura contemporanea.

Orangerie de Versailles (1686), cena di gala per la premiazione di Arata Isozaki, Pritzker Prize 2019
Orangerie de Versailles (1686), cena di gala per la premiazione di Arata Isozaki, Pritzker Prize 2019

Tanto più interessante e importante diventa dunque la scelta quest’anno di Lacaton e Vassal che sono quanto di più distante dall’immagine (e dalla pratica) dell’ ”archistar” : tutto il loro lavoro si basa su una forte determinazione nel ridefinire lo spazio urbano e architettonico senza la violenza del tardo espressionismo mainstream, ma concentrandosi a comprendere le esigenze fondamentali di chi dovrà abitare e anche solo usare gli spazi da loro progettati. E quindi la forma architettonica potrà essere anche quella degli archetipi, quasi infantili: come nel caso del centro d’arte contemporanea FRAC (Fondo Regionale per l’Arte Contemporanea) di Dunkerque, realizzato nel 2013 in un capannone dismesso dei cantieri navali.

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Per fare del FRAC un grande centro catalizzatore di attività culturali dell’area, i due progettisti hanno scelto di conservare la struttura originaria e di creare un nuovo edificio, sorta di “parafrasi” di quello esistente, inclusa la copertura a spioventi. Ne risultano così due strutture che possono essere utilizzate singolarmente in modo autonomo o combinato, a seconda delle necessità. Il tutto realizzato interamente in prefabbricazione, per ottenere un grande volume interamente vetrato.

Lacaton e Vassal, FRAC (Fond regional pour l’Art Contemporain), Dunkerque, 2013
Lacaton e Vassal, FRAC (Fond regional pour l’Art Contemporain), Dunkerque, 2013

Ancora più all’avanguardia, nell’affrontare il problema della residenza sociale Lacaton e Vassal sono stati precursori di un’idea di vera rigenerazione architettonica e urbana: avendo per obiettivo mantenere sempre, per quanto possibile, strutture e volumi originali degli edifici da recuperare, rinunciando alle demolizioni, da loro considerate un vero e proprio atto di violenza, quasi sempre immotivata. E ciò che è più importante, hanno saputo consolidare concretamente questa loro posizione, niente affatto romantica ma molto lucida e razionale, in una serie di importanti recuperi di edilizia abitativa pubblica anni 60 e 70 – che in Francia ha avuto una stagione sicuramente migliore che in Italia, ma dagli anni 90 ha anche dovuto essere rigenerata a fondo.

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Noncuranti del ridotto sostegno finanziario, anzi più motivati dalle ristrettezze a trovare soluzioni semplici ma di qualità, qui Lacaton e Vassal hanno lavorato principalmente sulle facciate, estendendo le metrature delle abitazioni, creando ampi terrazzi che hanno migliorato decisamente la vivibilità degli appartamenti e ridando qualità alla vita di relazione. Perché molto spesso gli abitanti di questi edifici, per quanto “economici”, non intendono abbandonare le loro abitazioni, per cui sviluppano la stessa affezione che altri possono sviluppare per residenze migliori.

La vera casa è pur sempre il luogo che amiamo abitare, qualunque esso sia. Con un paradosso si potrebbe dunque dire che l’architettura di Lacaton e Vassal è anche una trasposizione della “ricerca paziente” di Le Corbusier in un contesto contemporaneo molto difficile per l’architettura di qualità, poco aperto alle affermazioni radicali e realmente innovative, ricco di alibi ideologici e tecnici che possono condizionarla e ridurla a mero professionalismo commerciale, magari venato di alibi ecologisti.

Lacaton e Vassal, Rigenerazione di residenze sociali (60 appartamenti) a Mulhouse, 2015
Lacaton e Vassal, Rigenerazione di residenze sociali (60 appartamenti) a Mulhouse, 2015

A queste assurde costrizioni che sembrano dare libertà al progettista come all’utilizzatore, e invece spesso non fanno che ridurle, Lacaton e Vassal rispondono col non finito, il minimale, l’essenziale, l’economico fino quasi alla povertà estrema, nelle forme e nei materiali. Non è un caso che il  loro Opus Magnum, l’opera di quasi di una vita, sia il Palais de Tokyo a Parigi: un luogo tanto magico quanto sconfinato (la sola addizione da loro progettata e ri-costruita è di 22.000 metri quadri) che Lacaton e Vassal nel corso di quasi vent’anni hanno pazientemente rimodellato e che ora ospita aree espositive, sale cinematografiche, una sala concerti, un caffè, un negozio-libreria e uffici.

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Le memorie personali risalgono ancora ai miei anni di condirezione di Domus, quando il rimpianto, carissimo amico Pierre Restany, nominato Presidente del Palais de Tokyo dagli allora curatori Jerome Sans e Nicholas Borriaud, mi invitò alla prima settimana di inaugurazioni, dal 21 al 28 gennaio 2002. Nello storico e già bellissimo edificio Art Déco, Lacaton e Vassal si erano limitati ad interventi essenziali, per conservare e ridare nuove funzioni agli spazi: lasciando ancora a vista le tracce degli anni e dell’abbandono, che interagivano così perfettamente con le opere d’arte, nuovissime, nell’esprimere il senso di rinascita del Museo, Araba Fenice minimalista ma che risorge in una dimensione spaziale grandiosa.

Lacaton e Vassal, Rigenerazione del Palais de Tokyo come centro multifunzionale per l’arte contemporanea, 2000/2020
Lacaton e Vassal, Rigenerazione del Palais de Tokyo come centro multifunzionale per l’arte contemporanea, 2000/2020

Così descriveva esattamente Restany il loro intervento nel numero di domus847 dell’aprile 2002: “Il complesso è stato rimesso in funzione dagli architetti Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal con un intervento che si può definire una ricerca sull’economia dell’architettura. (…) I due progettisti hanno restituito l’ala ovest del Palais de Tokyo, chiusa dal 1995, a un uso molto libero da parte del pubblico e degli artisti. Ritrovando la logica originale degli spazi ideati nel 1937, hanno saputo trarre partito dalle qualità fisiche dell’edificio – la grande altezza delle sale, le straordinarie volumetrie, la luce naturale onnipresente – evitando lo scoglio di delimitazioni troppo specifiche. L’estrema flessibilità permette a questo luogo di svolgere il ruolo di laboratorio vivente della creazione contemporanea.”

Parole essenziali quelle di Restany, dove i corsivi (miei) colgono davvero, già con grande anticipo, l’essenza del lavoro di Lacaton e Vassal.

Lacaton e Vassal, Rigenerazione del Palais de Tokyo come centro multifunzionale per l’arte contemporanea, 2000/2020
Lacaton e Vassal, Rigenerazione del Palais de Tokyo come centro multifunzionale per l’arte contemporanea, 2000/2020

Quella che allora poteva sembrare solo l’utopia di due ancora giovani autori si è rivelata la sostanza di una poetica e di una prosa concreta del costruire, perseguita con decisione e coerenza da questa coppia (anche nella vita) di progettisti: che li porta ora a vincere il premio d’architettura più importante del mondo. Forse arriva con un po’ di ritardo, ma sicuramente è uno dei premi più meritati tra tutti quelli assegnati dalla giuria e dalla famiglia Pritzker, proprio per l’originalità e allo stesso tempo il forte segnale sociale e politico che rappresenta la vittoria di Lacaton e Vassal: in questo particolarissimo, doloroso ed epocale passaggio nella storia dell’umanità.

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