Presentazione necessaria dell’autore: Ian Douglas si occupa di scienza, tecnologia, salute e sviluppo dell’infanzia, e delle interazioni tra questi diversi ambiti. Per molti anni ne ha scritto sul Telegraph, per il quale è stato anche curatore dello sviluppo digitale; ha gestito il sito Internet della British Library ed è stato responsabile informatico dello Spectator.
Il volume “La tecnologia ci fa male?” è l’opportuna traduzione di “Is Technology Making Us Sick?” pubblicato da Thames & Hudson lo scorso anno con una grafica che invita alla lettura attraverso una gerarchia di priorità interpretata dalla grandezza dei caratteri: quelli più grandi restituiscono i pensieri forti e importanti e man mano che si rimpiccioliscono aumentano i dettagli e gli approfondimenti, che sfociano in una serie di didascalie che completano e interpretano la trattazione del tema. Linguaggio, vestiti, punte di freccia, ami, vele, polvere da sparo, carta, vetro, stampa, telai, treni, telegrafo, antibiotici, microchip, protocollo http, sequenziatori del Dna, batterie agli ioni di litio, 5G: ciascuna di queste cose è tecnologia, creata per permetterci di superare gli ostacoli che abbiamo incontrato sul nostro cammino.
Ritorniamo al titolo e la risposta è: sì, la tecnologia ci fa male, ma da sempre. Infatti, già l’invenzione dell’agricoltura ridusse l’aspettativa di vita preistorica: gli uomini del Neolitico erano anemici, carenti di calcio e di vitamine però disponendo di fuoco, tessuti, utensili e ripari permanenti non tornano più alle vecchie abitudini. Ma il volume tratta della tecnologia moderna, sostanzialmente quella della Rete, quella che tende a diventare sempre più personalizzata, interattiva, digitale, ormai parte integrante della vita quotidiana, portandosi dietro quello che è stato definito “choc del futuro“, l’ansia generata da cambiamenti troppo rapidi. Siamo più veloci nel trovare soluzioni, ma i nuovi problemi nascono più velocemente.
Oggi, a trent’anni esatti dal primo sito lanciato da Tim Berners-Lee nel 1991, la nostra crescente dipendenza da comunicazione mobile, social media e algoritmi (si parla addirittura di “algocrazia”) porta alcuni ad accanirsi contro la tecnologia, altri a fare la fila fuori dai negozi all’arrivo di nuovi modelli di smartphone: “Se vogliamo adattarci al cambiamento – dice l’autore -, e dobbiamo, se vogliamo convivere con il progresso, allora il cambiamento dovrà comportare innanzitutto una maggiore trasparenza della tecnologia”. E precisa: “La paura della tecnologia ci fa perdere autonomia e riduce la percezione della nostra competenza, generando ansia, stress, solitudine, depressione, calo dell’autostima e dell’attenzione, tutti effetti dovuti al tempo che trascorriamo davanti allo schermo”.
I dispositivi mobili rendono il lavoro meno impegnativo (non sempre, a dire il vero) e le ore di ufficio sono più o meno regolate dall’orologio (ma la logica dell’always on, del sempre connessi, sta minando questa certezza) e la tecnologia sta invadendo anche le ore del sonno, dopo aver conquistato (lasciando sul campo, con noncuranza, diversi morti e feriti) quelle dell’informazione, del divertimento e del tempo libero.
L’autore però suggerisce anche strategie per limitare gli effetti indesiderati e volgere a nostro vantaggio le tecnologie più innovative senza cadere vittime delle conseguenze negative di un loro utilizzo sconsiderato: “La chiave per raggiungere l’autodeterminazione, in uno scenario digitale che cerca di indirizzare le nostre scelte, è la comprensione e la consapevolezza di questi meccanismi. Una volta compresi, la paura si attenua”.
Possiamo essere offline o online, l’importante è sapere e capire sempre dove siamo!
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Ian Douglas
La tecnologia ci fa male?
Nutrimenti, 2021
pp. 144, ill.
Isbn 9788865947630
di Danilo Premoli – Office Observer
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