Walter Gropius, il Bauhaus nella sua trasformazione da arte totale a laboratorio per l’industria.
Quale miglior titolo di quello di Nicholas Fox Weber – direttore per molti anni della Josef and Anni Albers Foundation – “Vita e arte di sei maestri del Modernismo” per comporre la figura del padre nobile Walter Gropius? Probabilmente il più carismatico e affascinante del gruppo, Silver Prince (così soprannominato da Paul Klee).
La vita privata di Gropius, invasa da un senso di disordine e attraversata da relazioni umane spesso burrascose, lo spinse a ricercare un “ambiente visivo” che fosse, invece, semplice ed equilibrato in modo da bilanciare quelle situazioni sentimentali che così tante energie drenavano dalle sue cellule.
“Le descrizioni di Anni a proposito delle persone che contavano al Bauhaus – e gli aneddoti che raccontò con il gusto dei romanzieri per i dettagli più importanti – mi mostrarono la vita a Weimar e a Dessau come se l’avessi vissuta”. Ci svela Fox Weber.
L’ideale contemplava una forma di “anonimato dell’artista” e il senso di servizio nei confronti della comunità alla base della pionieristica scuola d’arte. All’interno di questa innovativa costruzione concettuale, oltre che architettonica, in un coacervo di laboratori, atelier e officine, studenti ed insegnanti lavorano gomito a gomito, come “umili tagliapietre e falegnami che avevano costruito le cattedrali gotiche”. Uno dei principi del Bauhaus “sancito” da Gropius stabiliva, in un certo senso, di “incoraggiare relazioni amichevoli tra maestri e studenti fuori dall’ambito lavorativo”.
Un generale atteggiamento di umiltà e piena adesione e devozione a uno scopo comune erano la regola. E questo si lega ad uno dei temi centrali di quella scuola: il processo della visione.
Il comportamento individuale doveva essere trasparente come il vetro e inequivocabile come i tubi d’acciaio e le robuste fibre tessili che da allora sarebbero stati utilizzati senza veli: esposti e celebrati, invece che nascosti o coperti di decori con la disonestà pretesa dalle generazioni precedenti.
La vita privata del Borgomastro poteva dibattersi in gelide correnti ascensionali, ma gli spazi e gli oggetti della società disegnati dalla sua mente sarebbero stati costruiti seguendo regole di onestà, semplicità e purezza.
La complessa esistenza di Gropius si snoda con disinvoltura tra scenari di guerra, capitali culturali ed esclusivi stabilimenti termali avulsi dalla bucolica cittadina di Weimar, dove sta prendendo vita il Bauhaus (“casa del costruire” termine mutuato dal medievale Bauhütte,). Un movimento di pensiero e azione – teso a promuovere l’alleanza tra arte e industria – che inizia a calamitare giovani creativi e talenti da tutta la Germania e oltre. Tutto ciò mentre il suo matrimonio con la seducente e capricciosa Alma Mahler – la prima vera first lady del Bauhaus – naviga in acque tempestose. Non a caso sarà il quadro “La Tempesta” di Kokoschka a svelare l’intrigo tra l’artista e la maliarda agli occhi di Gropius. E’ la sua natura di ufficiale di cavalleria (durante la Prima guerra mondiale) e di abile giocoliere diplomatico a permettergli di guidare la più radicale scuola “nuova” in un contesto ostile, con opposizioni sia interne che esterne.
Nato nel 1883 da una ricca famiglia di origine berlinese, imprenditrice nel settore della tessitura della seta, era stato destinato dal padre (declassato a ispettore edile) a diventare un architetto di fama mondiale. Dopo la Technische Hochschule di Monaco e l’apprendistato in uno studio di architettura, entrò a far parte del Quindicesimo reggimento Ussari. Mossa strategica che gli permise di salire i gradini più alti della scala gerarchica tedesca.
Non sostenne mai l’esame finale alla Hochschule, e questo testimonia forse il suo disprezzo per l’istruzione tradizionale, la sua passione per l’avventura e il coraggio di battere sentieri ancora inesplorati. Determinante per la sua formazione professionale e per il futuro del Bauhaus, fu l’incontro con l’architetto Peter Behrens ed il progetto della fabbrica di turbine AEG, che prevedeva un uso spavaldo di materiali quali vetro e acciaio. A seguire, quello dello stabilimento industriale Krupp, segnò l’ innamoramento per lo stile di edilizia industriale, che il giovane Gropius ben seppe traslare anche in ambito residenziale e civile.
La sua prima esperienza in proprio, insieme al collega Adolf Meyer, si concentrò sulle officine Fagus che rappresentano una sorta di nuova grammatica architettonica fatta di forme semplicemente rettangolari, materiali leggeri ed eleganti inondati di luce.
Il primo manifesto del Bauhaus – scritto mentre tutt’intorno infuriava la guerra – trattava del buon design nato dall’ingegno e dalla chiarezza, unito ad una tecnologia all’avanguardia al servizio della comunità, in un abbraccio tra arte, artigianato e industria. In quelle otto pagine si enuncia la preferenza per la qualità dei materiali, giuste proporzioni e una pratica semplicità in opposizione all’insopportabile ostentazione, sovraccarico di decorazione e superficialità.
Il visionario disegno diventa realtà nella metamorfosi dell’ex Scuola d’arte applicata nel Staatliches Bauhaus in Weimar (sede del nuovo governo, dopo essere stata meta di pellegrinaggio di intellettuali dai tempi di Goethe, Bach, Schiller e lo stesso Lutero), e ospitato in un meraviglioso edificio dalle altissime vetrate, dalle quali abbondante luce naturale si riversava nei laboratori e negli atelier frequentati da appassionati e talentuosi studenti ed insegnanti, artisti e artigiani fianco a fianco. L’orizzonte entro il quale si muoveva Gropius era quello della perfezione tanto tecnica quanto estetica “a ogni livello, dai bicchieri agli edifici pubblici”.
Lo scopo di realizzare un’architettura che fosse opera d’arte totale è avvalorato visivamente dal manifesto di apertura del 1919, la xilografia di Lyonel Feininger rappresentava una cattedrale gotica, metafora di quest’arte unitaria; così come lo spazio li accoglieva in sé creando un tutt’uno architettonico, in cui ciascun oggetto aveva una propria funzione specifica in stretta relazione con gli altri.
La collaborazione di più maestri ed un approccio multidisciplinare sono le parole chiave della scuola: si dà «più importanza alla comunione sociale e spirituale dei produttori che non al prodotto in sé».
Accanto ai professori della “vecchia” scuola, Gropius volle accanto a sé Lyonel Feininger, Gerhard Marcks e Johannes Itten. Ciò che Gropius tentò d’imprimere al sistema di insegnamento del Bauhaus è una metodologia progettuale che andrà col tempo ad oscurare l’idea utopistica dell’opera d’arte totale. Nell’officina di falegnameria avviene la lavorazione del legno e la sua trasformazione in oggetto, un processo strettamente legato al fine e all’utilizzo che si fa dell’oggetto stesso. Ne è mirabile esempio la scacchiera costruita da Josef Hartwig, in cui le pedine non sono una “rappresentazione figurativa di un cavallo, di una torre o di una regina, ma sono progettate per il loro fine ludico, ovvero quello di compiere diverse e determinate mosse nel gioco degli scacchi”. Sarà Itten a guidare inizialmente il corso propedeutico, fondamento del nuovo insegnamento atto a far scaturire e liberare le energie creative degli studenti. Il vorkurs preparava allo studio delle caratteristiche dei materiali, del colore, delle forme naturali e geometriche e le leggi della percezione visiva. (In seguito alla rottura con il guro sciamanico, si avvicenderanno Laszlo Moholy-Nagy con l’assistenza di Josef Albers, che dal 1928 lo gestì in autonomia).
Lo scontro tra Itten e Gropius fu alimentato proprio dalla questione dell’apertura all’industria, mentre il Bauhaus acquistò un forte sostenitore della produzione seriale con l’arrivo di Moholy Nagy.
Intanto, nella sua travagliata vita matrimoniale inevitabilmente avviata verso il divorzio da Alma, s’insinua la giovane Lily Hildebrandt, moglie dell’affermato storico dell’arte Hans Hildebrandt. Grazie a lei si schiuderanno nuove porte ed opportunità nella costante ricerca di fondi, che Gropius è costretto a compiere a sostegno della scuola, e nel frustrante tentativo di abbattere la retta pagata dagli studenti.
Sotto l’insegna «arte e tecnica una nuova unità» Gropius batte il tempo dei programmi del Bauhaus, accellerando la transizione da matrice espressionista a una progressivamente formalista.
Con il passare del tempo, alunni particolarmente dotati ed intraprendenti entrano a far parte del corpo docente, la duplice anima di teoria e pratica fusa in un solo insegnante. In questi anni Gropius chiamerà a sé “maestri della forma” tra i quali Paul Klee, Oskar Schlemmer, poi Wassily Kandinsky e Laszlo Moholy-Nagy, colonne portanti dell’impianto in divenire del Bauhaus.
Il forzoso trasferimento della scuola a Dessau sembra sottolineare l’aspetto di adattamento del Bauhaus alla situazione esterna, e ciò richiede una maggior capacità di autosostentamento. La sofferta chiusura della sede di Weimar, causata da ragioni prevalentemente di natura politica ed economica, segnò per sempre le sorti del Bauhaus. Le elezioni del ‘24 segnano l’ascesa al potere di una coalizione di partiti conservatori in opposizione al Bauhaus, ritenuto vicino a posizioni comuniste. Nonostante le difficoltà, la prima grande mostra organizzata in quell’estate di crisi fu accolta positivamente, anche se il fronte del fuoco continuava a crescere e le perquisizioni all’interno della residenza dello stesso Gropius, l’interruzione dei contratti con i professori, lo smembramento del bilancio e le accuse diffamatorie finiranno per strangolare la scuola.
La scelta di Dessau non fu casuale, ma opera di fine tessitura di relazioni compiuta da una figura femminile di primo piano nella vita del maestro: Ise Frank, conosciuta anche come la signora Bauhaus. Fu lei a gettarsi anima e corpo nell’impresa sposando non solo l’uomo, ma lo spirito dell’intero progetto Bauhaus. La colta giornalista e scrittrice contribuì a salvare la scuola dalla bancarotta ottenendo importanti finanziamenti ed appoggi politici a Dessau, dove venne stabilito il nuovo quartier generale.
La costruzione della casa prototipo, definita anche «la casa del direttore», diventò teatro culturale e luogo di ritrovo per talenti come Marcel Breuer, Gunta Stölzl e amici del calibro di Wassily Kandinsky, testimone di nozze dei Signori Bauhaus.
L’attuazione dell’esperimento cullato da Gropius si rivolge sempre più ai problemi posti dall’industria, in tensione creativa con l’arte più pratica e meno ideale verso quel mondo della produzione, che fece della scuola un “produttore e ideatore” travalicando i confini assegnati ad un istituto di formazione. Una lucida consapevolezza scandita, probabilmente, anche dalla determinazione alla sopravvivenza ed autodifesa di fronte al montare di nemici e avversità che portarono al suo smantellamento nel 1932.
L’insegnamento filologico dell’architettura – dalla progettazione alla direzione del cantiere – era gestito da Gropius in modo personale. L’architettura, considerata il cuore pulsante della scuola (difficilmente accessibile alle donne) era destinata a studenti selezionati, che affiancavano il maestro sul campo, non in classe né in laboratorio. Gropius coinvolgeva gli allievi in esperienze dirette di progettazione, molte delle quali riguardavano suoi incarichi privati come architetto. Mettendoli a confronto con la pratica dell’architettura essi si trasformavano in collaboratori e apprendisti di studio. Quando Meyer prenderà il posto di Gropius alla direzione del Bauhaus, l’insegnamento dell’architettura, e in generale di tutto il sistema educativo, verrà ristrutturato interrompendo quella circolarità che lo contraddistingueva a favore di una visione gerarchica – di cui l’architettura era il fulcro – a scapito di altre discipline considerate “accessorie”.
In un articolo comparso nel ’23 a sostegno del Bauhaus sul quotidiano svizzero Das Werk si legge :
«Gropius ha rianimato l’arte e demolito le barriere tra le singole arti, oltre ad aver riconosciuto e posto in risalto la radice comune di tutte le arti.»
A questo primo articolo pubblicato fuori dei confini della Germania ne sarebbero seguiti altri negli anni a venire (fino alla celebrazione del centenario) e il mito Bauhaus avrebbe conquistato il mondo, lasciando il Terzo Reich nella polvere della storia. Le idee di quei giovani ribelli continuano a scorrere nelle vene ed irrorare le arterie del nostro millennio, al di là del tempo e dello spazio, fuori da rigidi schemi divisori e muffiti preconcetti.
La sua eredità culturale è enucleata in una significativa citazione di Josef Albers,
“Distribuire i beni materiali significa condividerli; distribuire i beni spirituali significa moltiplicarli.”
Durante un lungo viaggio compiuto negli anni cinquanta attraverso Giappone, India e Siam, Gropius entra in contatto con il mistero e la magia della cultura orientale, avvicendandosi all’ideale di equilibrio tra sogno e anima, tra logica ed intelletto. Elementi, questi, tutti contemporaneamente presenti nell’unità di uomo-artista: “Nell’arte non vi è nulla di definitivo, ma solo una perenne metamorfosi, parallela al mutarsi della realtà tecnica e sociale”.
Fonti
Bauhaus. Vita e arte di sei maestri del Modernismo, N. Fox Weber pubblicato da Il Saggiatore
Gropius, The man who built the Bauhaus by Fiona MacCarthy
Bauhaus, a cura di Fiedler Jeannine, Gribaudo/Könemann, 2006.
LEGGI ANCHE
L’amore, il sogno e la storia tra Ise Frank e Walter Gropius
L’anima “ludica” del Bauhaus secondo Alma Siedhoff-Buscher
Anni Albers, la designer che fece sua l’arte di Penelope
Lucia Moholy: lo sguardo femminile che immortalò il Bauhaus
La storia di Ilse Fehling gira intorno al palcoscenico del Bauhaus
494 – Bauhaus al femminile, un libro racconta le Bauhausmädels
Seguici sui nostri canali per restare sempre aggiornato: