Monica Vitti

Ci sono persone, per la verità non moltissime, che rappresentano molto più di quanto la loro professione e  per quanto vissuta con enorme e splendente talento, possa esprimere.

Sono quelle tessere del puzzle di un secolo che insieme formano la coscienza critica, intellettuale e sociale incontenibile, una memoria condivisa che non si stempera nel tempo , così la nostra amata Monica Vitti.

“Dicono che il mondo è di chi si alza presto. Non è vero il mondo è di chi è felice di alzarsi.”

Monica Vitti

Musa e anti-diva assoluta di Antonioni ma capace di rendere la commedia all’Italiana massima espressione del costume del nostro paese, paragonabile al cinema autorale che avvolge la prima parte della sua vita e della sua carriera.

Unica e bellissima icona in grado di confrontarsi addirittura con la nuova Roma in costruzione, intesa come personaggio, e non città, perché guardando le strisce pedonali di una periferia torrida, riesce a farle diventare, nell’assenza di dialogo, sceneggiatura.

Monica Vitti - Fantasma della Libertà
Monica Vitti – “Fantasma della Libertà” di Don Luis Bunūel

Il suo mondo iniziale è bianco, nero e infine rossiccio, e il cinema in pochi anni si ricompone in una geometria di occhi, spigoli, prati, capelli biondi, e sguardi, nelle ville Briantee, o dove Michelangelo aveva deciso di costruire l’aura della nostra grandezza culturale, indifferente al boom economico e nella luce perenne della fabbrica infinita.

Una versatilità impressionante da Delon, a Mastroianni /Pontano a Sordi, e compagnia cantando, Lei protagonista che affossa i Mattatori, e spiega che il comico, nobile arte drammatica, può essere interpretato al femminile, con una leggerezza che è prossima alla genialità, perché tutto quello che è grande sembra semplice perché non ci appartiene.

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E’ morta a novanta anni dopo decenni di isolamento, senza un rimpianto, quasi con discrezione forse guardando le meravigliose inquadrature che i più grandi registi hanno costruito sul suo volto, inconsapevolmente, per capire il senso di quella espressione, per portare nel Mito la parte più alta di questa Arte magica che come diceva lei: ”Noi Italiani sappiamo fare così bene”.

Ovviamente aveva ragione.

Ma c’è troppo da dire a partire dalla surreale e surrealista interpretazione del “Fantasma della Libertà” di Don Luis Bunūel, ma quella “lightness” calviniana pervade tutta la sua opera, anche perché rende piena di dignità espressiva qualsiasi ruolo, anche il più spericolato e cialtrone, oltre a questo non può esserci altro: trovare la bellezza anche nella volgarità, spingendosi fino all’irrapresentabile , sia in un senso che nell’altro.

E questo vale per il Maestro del Surrealismo per “addo’ avai se la banana nun c’è l’hai”.

Non solo le quattro eroine di Antonioni ma decine di caratteri che si sovrappongono nel tempo che attraversa quattro decenni di cambiamenti, di vizi, di caratteri tutti così potentemente nostri, che la sua opera è un trattato di antropologia culturale, di un paese che dovrebbe rileggersi alcuni momenti di questo luminoso tracciato.

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Tutto questo raccolto e riassunto in un’immagine solare, dolce, luminosa, positiva, vera anche se il suo mestiere avrebbe dovuto rappresentare l’apice e l’epica della finzione, ma è anche lo scopo del talento rappresentare l’improbabile come reale, e fare del reale l’impossibile.

Per questo l’abbiamo sempre amata, vestale del silenzio e eroina della risata grassa, praticamente tutto quello che può racchiudere il linguaggio e anche oltre, senza soluzione di continuità, e fortunatamente il mondo ha ricevuto la grazia di essere guardato da questi occhi limpidi, e l’ha ricompensata con una fama mai sufficiente per spiegarne il suo mistero.

 (dedico questo testo alla memoria dell’amico Giorgio Gaslini, compositore della colonna sonora de “La Notte)


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