“L’uomo dopo avere distrutto le specie che già sono in declino e avere prodotto terribili devastazioni sui loro habitat naturali, sparirà dalla faccia della Terra permettendo all’evoluzione di riprendere la propria opera, di riparare i danni e di riempire i vuoti che si sono formati” (Dougal Dixon, Animali dopo l’uomo).
E se l’uomo, per propria volontà o per altre cause, sparisse in alcune aree o nell’intero pianeta? Già Dougal Dixon (nella citazione) aveva scritto della fine dell’Antropocene nel magnifico “Animali dopo l’uomo” (1981) con strepitosi disegni dell’evoluzione della fauna e nuovi animali scientificamente immaginati dai nomi fantastici: Falange (ovviamente un predatore), Gigantilope, Squalo del deserto, Golo, Chiffa, Snarlo. La giornalista scozzese Cal Flyn, più energicamente, esplora l’impatto devastante di alcune attività umane sul mondo naturale e sulla capacità di recupero dell’ambiente: la resilienza della natura emerge come tema centrale, con la vita che trova il modo di ristabilirsi anche dopo sconvolgimenti catastrofici.
Il volume descrive in altrettanti capitoli, dodici casi particolari, tutti visitati dall’autrice (a volte con rischio e pericolo), risultati di evitabili disastri: dalla Scozia (gli sversamenti di petrolio delle Cinque Sorelle) a Cipro (la zona cuscinetto terra di nessuno), dall’Estonia (terreni agricoli in disuso) a Chernobyl (l’inverno nucleare dopo il 26 aprile 1986). Tutti i continenti sono interessati: da Detroit (con le migliaia di edifici abbandonati della sua vita postindustriale: “Un lungo corridoio conduce alle vecchie sale riunioni, completamente devastate. Fanno pensare a horror fantascientifici scadenti: tubi flessibili di alluminio che fuoriescono dal soffitto; condutture arancioni che serpeggiano da uno spazio all’altro per chilometri; rimasugli di quello che sembra zucchero filato, in realtà isolante di amianto, sparpagliati sul pavimento) a Paterson (la “Betlemme del capitalismo” nel New Jersey), dall’Arthur Kill (con i cimiteri delle carcasse di navi abbandonate: “Se sono così pericolosi per gli umani – si chiede Flyn -, che ne è dei pesci? La risposta breve è: dipende. Quella più lunga, invece, potrebbe aiutarci a comprendere come il mondo naturale reagisce all’impatto dell’uomo, e offrirci un barlume di speranza su come la vita potrebbe adattarsi e sopravvivere in un mondo postindustriale deturpato”) a Verdun (dopo la celebre battaglia del 1916, inquinata dai metalli pesanti di oltre 40 milioni di colpi di artiglieria), da Amani (in Tanzania, con le sue piantagioni sperimentali oggi abbandonate all’invasione di specie aliene) per tornare in Scozia, a Swona (piccola isola un tempo abitata e oggi occupata, anche nelle case, solo da mucche inselvatichite e uccelli).
Il finale di partita è dedicato a Plymouth (nei Caraibi, fantasma geografico dopo la rabbia del vulcano che la domina) e al Lago Salton (in California, che continuerà a evaporare fino a sparire del tutto): “È evidente che noi umani, impegnati a rovesciare fertilizzanti nei nostri corsi d’acqua e, peggio ancora, a pompare nell’atmosfera livelli di anidride carbonica talmente alti da rischiare di far vacillare l’intero sistema planetario, potremmo dimostrarci la specie più Medea di tutte”.
Tuttavia, a un pessimismo di fondo rispondono a volte le comunità, come a Detroit, dove hanno svolto un ruolo nel recupero ambientale, demolendo le strutture abbandonate e mantenendo il verde durante i periodi di degrado urbano. Che si tratti di luoghi abbandonati tenacemente recuperati dalla vegetazione o di acque inquinate che ospitano pesci che si adattano alla tossicità, l’ambiente dimostra una capacità di ripresa, guarigione e adattamento in assenza (o declino) degli impatti umani.
“L’abbandono è rewilding nel senso più puro, laddove l’uomo fa un passo indietro e la natura si riappropria di ciò che un tempo era suo. È un processo imponente in corso da tempo, e avanza ogni giorno sotto il nostro sguardo distratto. Questa, per me, è una prospettiva entusiasmante”. La Natura vince sempre!
TWITTA:Cal Flyn
Isole dell’abbandono.
Vita nel paesaggio post-umano
Atlantide Edizioni, 2022
pp. 352
Isbn 9791280028167
Recensione di Danilo Premoli – Office Observer
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