bosco navigli boeri

Progettare un edificio o una qualsiasi trasformazione fisica del territorio nel nostro paese è diventato un atto eroico: una sorta di sport estremo in cui si sa già in partenza che, per casi imprevisti ed imprevedibili, in qualsiasi momento potrebbe capitare un grave incidente, anche se si è fatto di tutto per operare in sicurezza.

Lo dico sulla base della mia esperienza professionale di oltre 30 anni, delle vicende raccontate da tanti colleghi e sulla base degli episodi che assurgono agli onori della cronaca, come le recenti indagini per il progetto immobiliare di Bosconavigli a Milano, che ha visto coinvolto l’architetto Stefano Boeri; con tanto di titoli devianti che proclamano abusi e irregolarità.

Bosconavigli

Oramai è diventato impossibile sapere se la procedura autorizzativa che si sta seguendo in assoluta buona fede e correttezza professionale sia con sicurezza quella giusta. Anche dopo che quella procedura ha superato mille controlli da parte delle amministrazioni competenti.

Con assoluto masochismo burocratico il nostro paese ha accumulato negli anni una montagna di norme nazionali, regionali, comunali, municipali, condominiali. 

I processi di trasformazione del territorio sono stati ingolfati da centinaia di leggi, decreti attuativi, circolari esplicative, incroci normativi, rimandi, autorità, veti, giurisprudenza interpretativa e via dicendo.

La normativa edilizia (vedi il nostro Testo Unico per l’Edilizia) si è ingarbugliata negli anni con un ossessivo sovrapporsi di modifiche legislative, con il moltiplicarsi di procedure diverse per tipologia di intervento: procedure diverse ma dai confini labili, in cui non comprendi mai fino in fondo quando sia necessario seguirne una o l’altra.

Quella che sto progettando sarà una demolizione e ricostruzione o una nuova costruzione? Ho lasciato in piedi un pezzettino di pre-esistenza, ho cambiato sedime, ho modificato la sagoma?

L’urbanistica è diventata un gioco perverso fatto di progressive sovrapposizioni di inutili strati di pianificazione: generale, attuativa, integrata, contrattata, convenzionata.

L’Enciclopedia Treccani definisce la parola labirinto come “nome di alcune leggendarie costruzioni architettoniche dell’antichità, di struttura talmente complicata, per intreccio di stanze, corridoi, gallerie, da rendere assai difficile l’orientamento e quindi l’uscita a chi vi fosse entrato”.

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Per uscire sani e salvi dal labirinto in cui si entra quando si progetta qualcosa e si cerca di ottenere tutte le autorizzazioni necessarie per realizzarla non c’è alcun filo di Arianna all’altezza dell’inutile complessità di percorsi che è stata creata. Ne restano impigliati tutti: architetti, funzionari e tecnici della pubblica amministrazione, imprese, cittadini.

Un labirinto presidiato dai tanti minotauri delle nostre tecnocrazie, pronti a bloccare tutto nella marea dei forse, dei “si ma bisogna tener presente che “, dei “ma il comma…. dell’articolo…del decreto.”, del rimando ad un’altra autorità, ad altri soggetti che devono esprimere il loro parere.

E guardandoci intorno nei nostri territori avremo oramai capito che questo affannarsi nell’illusione di normare tutto non produce alcun effetto nella lotta al vero abusivismo edilizio ed alla corruzione.

La massima di Tacito è oggi più che mai, una grande verità: “Corruptissima re publica plurimae leges”.

Azzardo una considerazione che può apparire paradossale: qualsiasi magistrato volesse oggi in Italia esaminare una procedura autorizzativa nel mondo dell’edilizia, con un po’ di impegno, troverebbe sempre, nascosta in qualche anfratto, una legge, una norma, una circolare alla luce della quale ipotizzare una irregolarità e aprire una indagine.

Più che di “lottizzazioni abusive” parlerei di ipertrofia normativa divenuta, questa si, oramai assolutamente abusiva: perché rallenta i processi, moltiplica i passaggi, crea costi aggiuntivi per i cittadini e per lo Stato, ostacola ogni tentativo di innovazione.

Nel chiuso dei propri studi i progettisti passano gran parte del loro tempo non nella ricerca della qualità del progetto architettonico, ma nel disperato tentativo di capire quale strada seguire per rispettare le norme; nel chiedersi, sconfortati, il senso di quella procedura, di quella dichiarazione certificata da rilasciare, di quel documento da produrre.

Il sogno segreto di chi combatte questa impari battaglia della burocrazia urbanistico/edilizia è di trovarsi un giorno in quella in quella piccola cittadina svizzera, Monte Carasso, che, dopo aver approvato nel 1977 un piano regolatore che prevedeva oltre duecentocinquanta regole, chiamò un grande architetto, Luigi Snozzi, che propose in alternativa un piano composto da solo sette regole. Ma la più importante di tutte, fu la  “regola aggiunta e non scritta: un progetto in deroga alle norme prestabilite può essere approvato se la Commissione di controllo ne riconosce la corretta lettura del sito.”

Con buona pace di magistrati zelanti.


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