Sambonet Nautilus 328
Arturo Carlo Quintavalle, Roberto Sambonet, Federico Motta Editore, Milano 1993
Disceso da piroghe brasiliane, avvolto in spirali di fumo di sigaro e odore di trementina, Roberto Sambonet approda dopo cinquant’anni di viaggi ed opere alla sua più bella monografia: un libro da lui disegnato e impaginato, un altro prezioso mattone nell’edificio della sua bella esistenza di pittore e designer.
Dalle grandi pagine del volume si staccano nette e precise le immagini di un grande artigiano dei mezzi espressivi, che ha saputo attraversare le diverse età del progetto moderno senza mai invecchiare, riservando la stessa meticolosa attenzione al disegno di manifesti per storiche mostre d’arte (“Raffaello”, 1974, alla Pinacoteca di Brera) come al progetto di un vetro per Baccarat: sia questa l’iperbolica “boule à caviar” o la “struttura urbanistica” dei bicchieri impilabili “Empilage”, entrambe del 1971.
Tanto più stupisce allora la sua abilità nel restare fedele, come grafico e designer, alle forme primarie della geometria, quando da questo libro (anche solo dalle poche immagini pubblicate) appare la sua seconda natura di artista puro, pittore di acuti ritratti, raffinato acquerellista di paesaggi in massima parte marini o fluviali, distese di blu e verdi mescolati in lughe striscie sottili.
Sta in questo piccolo mistero artistico la natura più interessante del caso Sambonet, che Arturo Carlo Quintavalle nel suo bel saggio introduttivo affronta da una prospettiva finalmente nuova: e cioè proprio quella del dilemma, apparentemente mai risolto, tra arte e progetto, cioè di quella inconfessata, perseguitata, eretica idea che pure ha percorso secoli di storia del’arte, dell’architettura e del design italiano.
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Non è un caso che la passione di Sambonet per i maestri del Rinascimento balzi fuori appena possibile, nè che il suo inquieto pellegrinaggio tra le tecniche di rappresentazione lo faccia assomigliare ad un maestro di antica bottega fiorentina o lombarda, piuttosto che a un abile professionista alleato del marketing in campagne commerciali per la diffusione di oggetti superflui.
E infatti le figure di altri autori che Quintavalle – nel suo progressivo avvicinarsi alla risoluzione del dilemma – accosta a Sambonet sono quelle dei poeti più leggeri del disegno industriale italiano : Castiglioni, Munari, Mari e Sottsass, degni rappresentanti di quella stirpe di artisti/designer/architetti che si spera non ancora estinta.
Certo, per dimostrare la sua tesi, Quintavalle deve come sempre fornire molteplici riferimenti culturali alti, comunque sempre confessati e vissuti da Sambonet: perciò naturalmente Paul Klee , e Alvar Aalto, e Max Bill e Malevich e così via.
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Stavolta però Quintavalle colpisce nel segno, giungendo ad un enunciato che pare piuttosto importante, per gli sviluppi futuri della storia del design:
“Insomma l’antica distinzione che gli storici del design in senso stretto hanno stabilito e che sembrava incontrovertibile fra produttori di Arte e produttori di oggetti (…) non sembra più reggere. Le strade della ricerca sono complesse, come quelle del resto della progettazione, e Roberto Sambonet sembra inserirsi esattamente all’interno di quel filone che integra la visione dell’arte e quella del progetto e dunque che propone la progettazione del manifesto e quella degli oggetti, la progettazione architettonica e quella plastica sullo stesso piano.”
Quintavalle
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