Nuova edizione pubblicata da Quodilibet con prefazione di Rafael Moneo

Curiosi intrecci del destino: fu proprio Moneo a curare l’edizione spagnola dell’opera di Zevi Architectura in Nuce, recentemente ripubblicata da Quodlibet, con una sua appassionata prefazione ed impreziosita dal saggio di Manuel Orazi su Origine e Sviluppo della critica storico-estetica di Bruno Zevi nel dopoguerra.  A distanza di quasi sessant’anni, dunque, questo libro icastico rivendica tutta la sua travolgente attualità e quel suo modo – del tutto unico e personale – in cui i testi dialogano e si intersecano con le immagini nell’esplorazione di analisi e comprensione dello spazio.

L’ultima edizione della Biennale di Architettura di Venezia ha consegnato il Leone d’oro alla Carriera a Rafael Moneo: architetto e non solo, teorico, docente e critico spagnolo. Hashim Sarkis, gli ha tributato un’intima seppur significativa mostra all’interno del Padiglione del Libro ai Giardini; scegliendo personalmente alcuni plastici e immagini simboliche di edifici progettati dall’architetto in aperto dialogo con il quesito centrale che aleggia sull’intera esposizione How will we live together?. “Moneo nell’arco della lunga carriera ha conservato la sua abilità poetica, rammentandoci – ha dichiarato il curatore della Biennale Sarkis – la capacità propria della forma architettonica di esprimere, plasmare, ma anche di perdurare.” 

Bruno Zevi

Architectura in nuce, risalente alla fine degli anni ’50, rappresenta il frutto pienamente maturo dell’opera di Zevi, in un periodo in cui l’autore era già affermato e riconosciuto critico ed intellettuale. Strenuo paladino e difensore di un’architettura capace di liberarsi e “spogliarsi” di lacciuoli e vincoli impressi dalla tradizione dell’école des Beaux Arts.

Uno Zevi – definito da Rafael Moneo– “allo stato puro“: intelligente, perspicace, attento, entusiasta, sottile, con il senso dei tempi, mordace, ben informato, che domina con scioltezza le fonti… ma sempre dalla parte di ciò che intende come lo sforzo dei ribelli contro i potenti.  

Abbiamo molto amato Ebraismo e Architettura, nella versione curata da Manuel Orazi e, nel solco del ricordo e omaggio al maestro Bruno Zevi, ci concediamo una sosta di riflessione, utile per prendere fiato e capire quanto sia centrale la sua figura per le giovani generazioni (non ultimi gli studenti di architettura presenti e futuri).

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La critica dell’architettura si muove in compagnia di quell’impegno portato avanti dagli storici, senza il quale nessuno volgerebbe lo sguardo al” lavoro degli altri” per dar vita a quella critica “operativa e coinvolgente tanto amata da Zevi” passata nelle mani di architetti, che affiancano la loro attività di progettisti a quella di studiosi della storia.

Un saggio da riscoprire, per il quale le immagini – personalmente scelte dal maestro – rivestono la stessa forza semantica delle parole. E’ un omaggio personale all’estetica di Benedetto Croce, che si muove al ritmo di quel movimento dialettico incapsulato nella filosofia hegeliana.

Architectura in nuce, grande opera di divulgazione e strumento di apprendimento e interpretativo, abbraccia un pubblico più ampio, abbattendo le partizioni tra i singoli “specialismi”, perché, conclude l’autore: «Non solo il godimento, ma l’esistenza stessa dei monumenti del passato, e tanto più dei loro ambienti, dipende dalla forza persuasiva della critica architettonica».

La tripartizione Crociana in poesia, non poesia e anti-poesia riprende le movenze della dialettica hegeliana dello spirito di tesi-antitesi e sintesi.

Seguendo così il flusso, nella prima parte dell’opera Zevi lascia spazio ad un aspetto più teorico teso a ricercare l’essenza stessa dell’architettura, la seconda presenta aspetti di natura metodologica, mentre la terza aspira a far rientrare nel suo grembo – attraverso questo movimento di espansione e ritrazione – tutte le moderne espressioni dell’architettura.

Se la storia dell’arte è sempre interpretazione “critica” e non semplice dato oggettivo, anche in architettura la critica si sottrae alla sfera meramente logico-deduttiva ed è riconducibile al soggetto creatore dell’opera. Il sentimento che lega l’arte a colui che la studia e la racconta non è di tipo razionale ma corre sul filo “dell’intuizione” e del sentimento di simpatia. Nella prospettiva dettata da Croce, in cui Zevi si rispecchia, l’apprezzamento si fonda sulla capacità del singolo osservatore di saper cogliere l’espressività insita nell’opera stessa.

Architectura In Nuce – Bruno Zevi

In un’intervista a Rai Scuola del 1988, Bruno Zevi spiega perché ha scelto proprio La Poesia di Benedetto Croce, così tanto amata da considerarla il suo breviario, il libro che lo ha accompagnato per tutta la vita.

“Perché la sua scelta ricade proprio su Croce?” – Lo interroga il giornalista – un pensatore sterminato, un “Leviatano dello scibile” come osò definirlo Labriola. 

Il Nostro non può non ricordare – compiendo un balzo a ritroso nel tempo al 1939 e con infinito senso di gratitudine – La Storia come pensiero e azione, testo fondamentale per quella generazione che si è “buttata” – come dice Zevi – nella lotta di Resistenza anti-fascista.

Dunque perché La Poesia? In questo testo coesiste uno scatto determinante nella visione storico-critica congiunto ad una spinta verso il coinvolgimento politico (vissuto ed esperito in prima persona).  

Croce aveva rivendicato con forza l’autonomia dell’arte rispetto a tutte le altre categorie dello spirito e alle finalità di ordine pratico, sgretolando la tesi fascista che concepiva, invece, l’arte come strumento del potere. Il giorno in cui l’arte viene resa non solo autonoma dal laccio del potere, ma si permette di contestarlo, tutta la sua impalcatura ideologica viene a franare rovinosamente.  

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La poesia è la terza o la quarta estetica di Croce”, spiega Bruno Zevi, quella in cui si avverte uno scatto determinante nella visione storico-critica e una spinta all’azione politica. Un testo che – racconta Zevi – funse da detonatore quando, giovane studente di architettura, decise di appoggiare l’antifascismo. Secondo Zevi, La poesia è un libro in cui si dimostra che “tra arte e critica d’arte può non esserci alcuna differenza” grazie alla sapienza del linguaggio del filosofo.

Un fine intellettuale ed osservatore del mondo, calato nello spirito del tempo, una sorta di Davide contro i giganti Golia delle istituzioni accademiche che allo studio, all’insegnamento, alla scrittura e all’impegno teorico ha affiancato uno scavo interiore, “esistenziale”, nonché importanti battaglie sociali e politiche di fronte alle quale ci inchiniamo e per le quali siamo tutti profondamente grati.

Bruno Zevi – Esperienza di spazi in sequenza

«La critica architettonica, e perciò la storia dell’architettura, non serve soltanto a far rivivere il passato o a consacrare con un premio l’opera di questo o quell’artista contemporaneo: essa decide le sorti stesse dell’architettura antica e moderna».

L’essenza stessa dell’architettura è messa a fuoco attraverso una trilogia: l’analisi dello “spazio interno”; il metodo della storiografia architettonica; ed infine la terza segue l’onda della risacca e porta a riva l’esigenza di ricomporre l’architettura alle altre discipline da essa promanate: ingegneria, urbanistica, design. L’architettura, per il critico, è l’arte dello spazio e la storia dell’architettura – da parte sua – dovrebbe narrare il modo in cui gli architetti hanno inevitabilmente tentato di “catturare lo spazio” nel corso dei secoli. Il concetto di spazio occupa dunque lo snodo centrale verso una riflessione culturale che abbraccia “tutto il costruito dell’umanità”. Zevi ci conduce sulla spuma delle onde di un’architettura in continuo movimento ed evoluzione.

La pubblicazione, dispiega le vele del significato etimologico del termine architettura, e prende così il largo verso l’orizzonte della plurivalenza semantica – dando voce ad un dialogo polimorfo della triade espressa da Vitruvio nei suoi principi di (fìrmitas, utilitas, venustas) *: utilitari, tecnici e artistici.

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L’architettura, colta nel suo carattere immanente di “esperienza dello spazio interno in cui s’incarna la realtà” risulterà così prassi o poesia, negatività espressiva o elevatissima lirica a seconda di chi informa e modula lo spazio stesso – scrive Zevi. L’opera architettonica viene letta all’interno della città e del territorio con uno sguardo attento che trafigge l’urbanistica e il paesaggio; creatura viva e opera di uomini/architetti dotati di una loro peculiare personalità e visione (non l’opera collettiva di una massa anonima).

I modelli di riferimento, gli “eroi” verso i quali Zevi alza gli occhi curiosi e penetranti sono, ad esempio, Borromini e Frank Lloyd Wright – tra i protagonisti di quella che viene definita architettura maggiore, senza tralasciare però di valorizzare professionalità altre, o opere meno note ma di comprovata qualità (come nel caso di Santa Maria in Campitelli) di cui ripercorre l’intero processo progettuale. Il lettore ne può seguire lo sviluppo a partire dalle prime fasi cosmogoniche, accarezzando lievemente i disegni che ci avvicinano alla poetica delle intenzioni degli autori, ai loro pensieri ed idee in libero fluire, senza per questo essere intesi come vere e proprie opere architettoniche.    

Per una migliore comprensione dell’architettura Zevi apre ad altre chiavi interpretative, esplorando le categorie di natura culturale, psicologica e simbolista, in quanto rappresentazione di sistemi di vita, costumi, organizzazione sociale e aspirazione dei vari popoli in diverse epoche. Concetto ben sintetizzato dalle parole di Walpole: “l’architettura è il campo più adatto in cui il genio di un popolo si può esplicare”. 

Da vero regista, il Nostro dà voce ad alcune personalità significative che hanno abitato il suo mondo, facendole risuonare attraverso una sequenza compositiva di grande effetto lirico: da Matteo Marangoni a Carlo Ludovico Ragghianti (un luminoso faro di conoscenza), della critica d’arte viennese (Franz Wickhoff, Alois Riegl, Julius von Schlosser) fino a teorici cari all’autore (Cesare Brandi, Sergio Bettini, Heinrich Wölfflin).

La definizione di architettura che emerge dall’opera fa capolino da diverse epoche e ambiti, dalla preistoria al manierismo fino alla modernità di Le Corbusier, Erich Mendelsohn e Frank Lloyd Wright, senza trascurare gli esiti da lui definiti “vernacolari”, paesaggistici e urbanistici.
Lo spazio interno è il perno intorno al quale ruota la sua interpretazione attratto dall’orbita di Henri Focillon: «L’originalità più profonda dell’architettura come tale risiede forse nella massa interna. Dando una forma a questo spazio cavo, essa crea veramente il proprio universo».
Il linguaggio visivo e dinamico, che intreccia fotografia e testo, sembra precorrere i tempi, elevando l’architettura fin sull’Olimpo di altre e ben consolidate forme d’arte. 

Architettura in nuce, in particolare è un libro da riscoprire, soprattutto per gli studenti, ma non solo.

“Bisogna ringraziare Luca Zevi – ci ricorda l’architetto Massimio Locci che ha condiviso con noi queste sue personali considerazioni- che ne ha sollecitato la ripubblicazione a Quodlibet (che è risultata una delle iniziative più feconde del Centenario della nascita di Bruno Zevi) e a Manuel Orazi che si è impegnato a realizzarla. 

Questo libro, che esce nel 1972 dopo i suoi saggi saggi più importanti (Verso un’architettura organica, Saper vedere l’architettura, Storia dell’architettura moderna, e le monografie su Rossetti, Neutra, Michelangelo, Mendelsohn etc) ha un forte fondamento metodologico e maieutico. Rappresenta una sintesi dei concetti da lui sostenuti per una moderna e militante critica dell’architettura; vuole essere anche un processo di decantazione (riduzione all’essenziale) di molti ragionamenti già sviluppati nei libri sopracitati. 

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Come ho evidenziato in un convegno in suo onore “Zevi c’invita a leggere l’architettura come  evento della partecipazione, come sommatoria di timbri espressivi, anche contraddittori, come viaggio alla scoperta delle dissonanze e delle frammentarietà. Nell’esperienza fruitiva di un monumento emergono gli eventi imprevisti, i circuiti sbilanciati,  le crisi progettuali, le trasformazioni volute dall’utenza. L’attualità dell’interpretazione è tutto in questo riallacciare le matrici eterogenee e nel mistero della scoperta”. Mi pare che questa ripubblicazione sia , in questo senso, particolarmente opportuna.

Per Zevi, infatti, non si puo’ fare, parlare o scrivere di architettura altro che in termini critici. Condizione di autenticita’ del linguaggio è lo scavo in profondita’, la ricerca delle alternative, il crescere nel dubbio.

Infinite erano le domande che egli poneva innanzitutto a se stesso e, di volta in volta, agli altri autori, ai progettisti, ai fruitori dello spazio per cui ogni scritto era frutto di una faticosa revisione critica, lessicale, dei tempi, delle pause.

Infine Architettura in nuce era elegantissimo anche nella grafica e negli apparati iconografici. Io posseggo la prima edizione, che conservo gelosamente, e spero che la nuova edizione anastatica conservi l’intero compendio di immagini”.

Fonti:

Architectura in nuce edito da Quodlibet 

*Il campo di studio dell’architettura viene definito da Vitruvio nel trattato “De Architectura”.


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