Se il matrimonio tra vino e architettura si è consumato in tempi piuttosto recenti, è altresì vero che questo connubio oggi è inscindibile, e si apre sempre più alla multidisciplinarietà, dall’arte al design. In passato il vino era considerato sia come alimento, fonte di calorie e sostentamento non certo degno di essere elevato al frutto dell’arte della vinificazione, sia per il suo valore simbolico e religioso. D’altro canto l’architettura, in quanto scienza del costruire, si dedicava nella maggior parte dei casi edifici razionali e sicuri, luoghi del vivere.

La cantina per secoli è stata vista come puro luogo di lavoro e di conservazione del vino, era quindi necessario che fosse un luogo fresco e funzionale, non essenzialmente bello. Il nome originario era “apoteca” che dal greco significa ripostiglio proprio a conferma della sua funzione originaria.

Architettura e vino: un po’ di storia

Un’architettura del vino inizia a prendere forma in Francia con le Abbazie Cistercensi in epoca medievale per poi proseguire fino al XVII secolo con i primi esempi legati alla tradizione dei famosi Châteaux di Bordeaux, sulla costa Atlantica, all’interno di un contesto ricchissimo di ville e di castelli. Qui, nascono quelle che potremmo definire le antesignane delle architetture del vino; in un mercato in grande fermento, che si apriva anche all’estero (in particolare Inghilterra), sempre più connotato da una clientela ricca ed esigente.

Il lusso in questo senso diventa, quindi, già in epoche lontane una spinta fortissima verso la ricerca di una sempre più raffinata qualità, con le classi sociali più ricche che spingevano tante famiglie facoltose ad inserirsi ed integrarsi nella produzione vitivinicola con uno straordinario fiorire delle arti e della cultura nelle aree rurali francesi.

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A questo sicuramente faceva riferimento Jean Dethier quando diceva: “ L’arte principale che la società dei proprietari viticoli ha scelto di incoraggiare con eccezionale unanimità è l’architettura “. Per la prima volta, nei castelli Francesi, si assiste al legame tra un’architettura ed un prodotto, con la prima che diventa efficace strumento di marketing: il vino si lega alla sontuosità dell’architettura che lo ospita e lo produce.

Lo Château come archetipo architettonico

In origine, lo Château vitivinicolo non incarna una tipologia architettonica indipendente, ma rappresenta più che altro un modello costituito da due elementi ben specifici e distinti, pecursori del concetto di moderna azienda vinicola. Queste due unità separare sono il castello vero e proprio – che ospita le tenute residenziali di campagna dei proprietari del cru (il fondo coltivato a vite) – destinato a diventare nel tempo vero e proprio edificio di rappresentanza ed icona aziendale, intorno al quale orbiterà per superfetazione la struttura vocata alla produzione del vino.

Foster + Partners has created a winery close to the St Emilion commune

Il plesso produttivo si veste di una trama architettonica essenziale in linea di continuità con gli edifici rurali e le stalle caratteristici delle “fermes” locali. Se osservati in planimetria, gli edifici si mostravano come padiglioni dalle proporzioni lunghe e strette, suddivisi secondo le diverse funzioni produttive, disposti simmetricamente intorno a un quadrilatero che disegnava, al suo interno, un grande cortile. I due luoghi simbolo della zona produttiva, a tutt’oggi considerati organi vitali di ogni cantina, erano il Cuvier (la tinaia), dove grossi tini in legno di quercia per la fermentazione alcolica del mosto facevano bella mostra di sé perfettametne allineati e lo Chai (la barricaia), prestigiosa zona di riposo dedicata all’invecchiamento del vino in barriques.

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A differenza della regione del Bordeaux, la Borgogna preferiva divulgare la sua immagine non attraverso il linguaggio dei castelli della campagna francese, ma attraverso un continuum stilistico che riprendeva le eredità delle costruzioni dei monaci cistercensi. Custodi di antichi segreti alchemici e di secolari esperienze nell’arte vinicola, i monaci erano testimoni di una cultura del vino ininterrotta.

Architettura e vino: il cambio di passo nel dopoguerra

Furono poi gli anni del boom economico, dai mitici anni ’60 in poi, a incidere in profondità negli stili di vita e anche nel modo di bere: il vino diventa status di un certo stile di vita, simbolo di benessere e di piacere; con l’inevitabile passaggio dalla quantità alla qualità. Anche l’architettura nel tempo cambia il suo essere, si comincia a parlare di design, di bellezza ed armonia. Le cattedrali del vino cominciano a sorgere tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 nelle zone del Bordeaux e della Napa Valley. Nel tempo il concetto di architettura si è arricchito avocando a sé più concetti, tra i quali quello di sostenibilità. Architettura e viticultura sono oggi strettamente intrecciati, dall’unione di questi due emisferi si ottiene un risultato stupefacente dal forte richiamo.

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Nella definizione di “cantina” si annida il significato ancestrale che lega tra loro il senso di manufatto e terra, tradotto in tensione creativa tra profondo senso di sacralità e la dimensione di ruralità, attraverso una poetica architettonica che ha l’ardito compito di ridisegnare il paesaggio. Da questo rapporto continua a generarsi il grande interesse che investe lo scenario di un’architettura industriale, quella vinicola, riscuotendo un sempre maggiore successo. Ergo: architettura e vino sono ormai avviluppate in una tensione amorosa che dura ormai da secoli.

Lo spazio del delicato processo che unisce chimica e sapienza artigiana è quindi fonte di continua riflessione ed innovazione, puntando ad una sintesi tra funzionalità e ricerca del bello. L’edificio deve, sempre e comunque, rispetto al terreno nel quale affonda le sue radici in un confronto diretto continuo. L’architetto, come dimostra la storia degli ultimi secoli di cantine vinicole, opera all’interno di una tradizionale innovazione, cercando di dare risposta a delle necessità base e alle separazioni dei processi, che vengono reinterpretati a livello simbolico e suggestivo.

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La cantina diventa specchio dell’immagine d’azienda e del produttore, diventa momento fisico di prima comunicazione che risulta fondamentale per il successo dell’etichetta. La cantina, da semplice luogo sotterraneo, si è emancipata nel tempo attraverso reinterpretazioni del suo valore antico.

L’Italia, che vanta una lunga tradizione vinicola, ha ormai ben chiara l’urgenza d’imprimere una nuova impronta alle architetture del vino, lasciare un segno profondo nel patrimonio culturale del territorio e reinventare il volano di una vibrante economia turistica in perenne movimento. Il vino, come noto, è stato parte integrante della vita e della storia dell’uomo, da bevanda povera e dal forte valore simbolico e religioso, a nota di stile e di eleganza.

In origine la viticoltura si rifletteva solo nel territorio coltivato, con le cantine confinate ad anonimi spazi ipogei, privati di qualsiasi identità architettonica, identificato come “non luogo”, la cantina era un ambiente interrato con la funzione di sostenere le costruzioni che emergevano fuori terra, con sistemi di fondazioni e soluzioni costruttive che identificavano spazi idonei alla conservazione delle botti e delle bottiglie, grazie anche alla creazione di un microclima interno generalmente costante e quindi ottimo per i vari processi produttivi. Otre a questi luoghi, le cantine erano più spesso parte integrante della natura con caverne, anfratti o vecchie cave abbandonate.

Architettura e vino: leva di attrazione per una nuova forma di turismo

La cantina diventa il biglietto da visita dell’azienda – efficace strumento di marketing territoriale oltre che squisitamente di prodotto – tanto che in alcune occasioni si può essere tentati di credere che il successo di un vino venga decretato più dall’architetto che dall’azienda. Molti sono i produttori che hanno investito nel restyling delle proprie cantine diventando così delle vere e proprie cattedrali che custodiscono un vero e proprio tesoro in bottiglia. La costante ricerca della qualità nel mondo del vino si riflette oggi anche negli investimenti che le aziende affidano alla costruzione, ampliamento o riqualificazione delle loro strutture affidandosi ai nomi di riferimento della progettazione.

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Anche l’Italia dagli anni ‘90 si è adattata a questo cambiamento tanto che ormai possiamo trovare queste meravigliose strutture in ogni regione del nostro Paese. Tra le regioni che più si contraddistinguono per numero e dimensione c’è la Toscana e il Trentino Alto Adige. Per facilitare l’enoturista, ma anche l’appassionato di architettura a trovare le “Cantine d’autore” più vicine a sé, sono stati creati veri e propri percorsi ad hoc.

Il mondo del vino ha le sue contraddizioni, da un lato incoraggia il lavoro di squadra, per le aziende risulta sicuramente vantaggioso collaborare e fare rete, dall’altro non si possono ignorare le ataviche competizioni su un terreno alquanto spinoso ove è necessario sapersi rinnovare ed anticipare i tempi, così come saper soddisfare le esigenze di una clientela globale e mutevole. Tra le strategie di marketing di maggior successo applicate dalle aziende leader spicca il “marketing sense”, una forma di stimolazione sensoriale che abbraccia tutti e cinque i sensi del cliente: vista, udito, tatto, olfatto e gusto.

Studiosi del turismo contemporaneo – come MacCannell – hanno affermato che il turista, oggi, ricerca un’esperienza unica e desidera integrarsi con la realtà locale approfondendo così due concetti già individuati da un altro studioso, Goffman, che per primo aveva usato concetti quali quello di front region (luogo nel quale avviene l’interazione tra cliente e individuo locale) e back region (quella particolarità che rende l’esperienza del viaggio unica e assolutamente non banale). Sono proprio queste le ragioni che spingono ad investire anche nella cantina oltre a cercare la qualità nel prodotto.

In un mondo così eterogeno, la sinfonia non è orchestrata solo da grandi aziende con ampie capacità finanziarie, ci sono tanti musicisti minori che non hanno accesso ad ingenti capitali. Sono proprio questi piccoli artigiani del vino ad assolvere un compito importante in questo scenario, fornire ascolto e accoglienza al cliente (sia esso un verace appassionato o un semplice curioso) dando a questo luogo un accenno di autentica ospitalità. I produttori si trovano oggi nel ruolo di “maestri di cerimonia”, raccolgono i segnali incontrovertibili che è necessario aprire le porte delle proprie aziende per fare vivere l’esperienza del “luogo di produzione” declinata alla prima persona singolare (o plurale).

Il vino alla biennale

I progetti e le immagini delle più belle cantine realizzate in Italia negli ultimi anni sono stati esposti in mostra niente di meno che alla Biennale di architettura di Venezia sotto la prestigiosa regia di Sejima nel 2010. L’Ordine degli architetti, IN/ARCH e Gambero Rosso lanciano il premio internazionale sulle “cattedrali del vino”, momento di incontro tra la produzione di qualità, il design, la sostenibilità ambientale. Il tutto nella autorevole cornice degli eventi della Biennale di Architettura.

Alcuni dei progetti che prenderemo in considerazione evidenziano come gli architetti dialogano col paesaggio disegnando cantine vinicole dalla forte identità espressiva, in grado di ridefinire i contorni delle linee paesaggistiche del territorio italiano. Sono le più rappresentative esperienze della ricerca architettonica contemporanea a riscrivere i linguaggi dei landmark regionali: dal Piemonte al Trentino Alto Adige, dalla Toscana all’Umbria fino alla Sicilia e oltre, variando la scala dimensionale degli interventi. In molti casi l’integrazione con il paesaggio si attua indagando la sua natura ipogea, creando un’unità morfologica artificiale incastonata nella collina.

Questi interventi dimostrano che il paesaggio non crea uno iato tra spazio naturale e spazio costruito, come comunemente si intende, ma suggerisce un’unità dei due termini, intesi come momenti delle relazioni territoriali e morfologiche. In Italia, in particolare, anche il paesaggio storico è completamente antropizzato, quale esito delle secolari trasformazioni per migliorare le potenzialità agricole. I progetti delle nuove cantine, conservano traccia dell’intimo legame con il genius loci e l’elemento paesaggistico, fino a fondersi con esso, senza però strizzare l’occhio a una qualche forma di mimesi. Lavorando sull’alta qualità e sulla selezione estrema di processi e tecnologie, la cultura del vino ha inevitabilmente intercettato il campo dell’architettura, ma anche quello della grafica, del design, dell’arte e della comunicazione in senso ampio.

La creatività architettonica, puntando sulla valorizzazione del contesto, ha intercettato la sperimentazione enologica e insieme hanno creato un luogo di comunione tra tradizione e contemporaneità. Alle necessità tecniche di un ambito produttivo altamente specializzato, si è aggiunto il desiderio della committenza di concepire le nuove cantine come opportunità di qualificazione estetico-funzionale complessiva delle aziende e come strumento di comunicazione dei valori culturali, antropologici ed enogastronomici legati al mondo del vino. I progetti, infine, sono innovativi anche dal punto di vista dell’ecosostenibilità e della qualità degli spazi di lavoro: concetti come bioedilizia, risparmio energetico, ergonomia e ingegneria ambientale guidano le scelte di ogni singolo componente e materiale.

Inauguriamo così un itinerario a tappe attraverso lo stivale per conoscere meglio le “cattedrali” architettoniche del vino a firma di prestigiosi studi di progettazione.

Fonte: Francesca Chiorino, Architettura e vino, Ed. Electa, Milano, 2007

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