architettura

«Principio degli esseri è l’infinito … da dove infatti gli esseri hanno origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo»

Anassimandro, in Simplicio, De physica, 24, 13

Siamo fisici, siamo fisica in perenne divenire, flussi intuitivi e di pensiero che attraverso spazi indifferenziati, liquidi, come in perenne fenomeno di osmosi tra fluidi, niente è in grado di stabilire punti, luoghi, energie.

Forse la pandemia ci ha fatto ritrovare una strada verso la nostra essenza più pura, ci ha tolto la  necessità di socialità, e di convenzioni, ci ha riportato allo stato brado dove il Corpo è il dominus dell’esistente e tutto il resto ritorna ad essere sovra-struttura.

Ma cos’è questo misterioso principio con cui facciamo i conti in ogni istante della nostra quotidianità, antropologi dilettanti ci avventuriamo senza capire e senza conoscere ma cercando di trovare nel “sistema degli oggetti, utili ed inutili” quel senso che Lui rifiuta perché non ha bisogno di nulla né di orpelli né di estetiche posticce.

Ma allora come potrebbe essere questo “locus solus” capace di contenere, diciamo di sopportare il motivo per cui lo abbiamo inutilmente progettato? A cosa serve lo spazio? E che cosa rappresenta nel sistema animale delle convenienze?

Nulla, o quasi, nel senso che fare architettura, fare design è solo un motivo come un altro per costruire illusioni scientifiche, o giochi di prestigio per il nostro nutrimento, per la bellezza, ma poi?

Ecco spiegata la necessità, l’esigenza sociologica di dare forma ad un’idea di futuro, ad una configurazione che è semplicemente l’esperienza soggettiva di un bravo architetto (o anche di un cattivo disegnatore) che spiega a tutti gli altri come sarà, anzi come deve essere il “Domani”, o Dopo Domani.

Questo è un esercizio comprensibile perché la natura del pensiero umano in qualche modo ha la necessità di espandersi, di occupare luoghi, di colonizzare la Terra, definendo come funzioni generali tutte le attività che ogni uomo, ogni singolo individuo costruisce per se, senza aver nessun bisogno di definizioni, e categorie.

Il tinello della nonna” dal marzo del 2020 è diventato una specie di ufficio, anzi tante altre cose: sala riunioni, rappresentanza, luogo di riflessione, e anche tavolo per appoggiare le tazzine di caffè e il bicchierino del rosolio.

In pochi mesi il significato di design è imploso, rendendo finalmente quasi pleonastico tutto l’universo degli oggetti che avevamo accumulato nelle nostre scorribande consumistiche, il rapporto più intenso e critico con una mortalità diffusa ci ha riportato all’essenza della solitudine, del suono del nostro respiro, e della voglia di profondità intellettuali inesplorate.

Ma i progettisti esistono e proliferano producono e distribuiscono, senza aver necessariamente letto che il mondo non ha tutte queste necessità superflue e che l’internazionale dell’estetica auspicabile, voleva far diventare bisogno, invece che semplicemente desiderio.

Questa è la vera forza teorica del progetto: rendere necessario quello che deve accadere comunque (e non c’entrano Le Corbusier che glossa Anassimandro), credere che basti giocare con una forma qualunque per farla diventare un liquorino per lo spirito, una musichetta orecchiabile che ci entra dentro, perché sforzarsi di capire, perché dare al progetto un significato che non desidera attraversare?

Preferiamo in generale accettare che visto che si è sempre fatto così, vuol dire che siamo sulla strada e sulla forma giusta, ma così evidentemente non è perché il design del futuro viaggia nello spazio virtuale e ha deciso che ognuno di noi, anche i meno digitali e più refrattari finalmente saranno  solo avatar.

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Photo credit: Jurgen Leckie on Visualhunt.com

Cioè #Maurizio2, ed in questo modo, l’arredo, l’architettura e la funzione definiranno lo spazio virtuale che andremo a colonizzare e con cui verremo colonizzati, senza vivere nessun dramma e facendo finta che finalmente la “virtualità della realtà” possa diventare semplicemente: Realtà.

Mica male come progetto, ma allora quale progetto di luogo, quale spazio post-pandemico dovrà coronare i nostri sogni di benessere, analizzare nuovi bisogni e dare senso ai nostri rinnovati desideri?

E’ uno spazio vuoto, libero, asettico ma molto decorato, caldo, avvolgente, intrigante e semplice, con un out-put capace di collegarmi col mondo, e di rendere accessibile tutta la conoscenza, dove potrò lavorare, giocare, abitare, amare, una casa che contenga tutte le idee che ogni casa ha declinato per se, ma senza ricordare e senza dimenticare nulla.

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L’isolamento morale, fisico e materiale ci ha costretti a ricostruire la nostra personale idea di essenziale, una stereometria depurata da tutte le sovrastrutture, dove costruire e ricostruire il Corpo fisico e psichico, dunque la scienza del progetto e l’arte dell’immaginazione ritrovano il loro viatico originale, rinunciando alle compartimentazioni disciplinari.

Progettare per l’Io prevede una perfetta adesione alla costruzione di una nuova società basata finalmente sul quel principio etico capace di contenere e dare forza all’estetica, un tempo croce e delizia del mondo intellettuale, e dove non c’è più tempo per quello che non è necessità (ancora Anassimandro).

Ma badate bene che questa è pura scienza del progetto, è quel salto logico epistemologico che ci porta all’essenza del disegnare lo spazio degli uomini, così diverso da tutte le altre “tane”, se non altro perché anche noi , posti in alto nella catena alimentare, avevamo bisogno della bellezza che ottenebra l’anima e scalda, quando lo trova, il cuore.

Bella dunque quell’architettura che si fa beffe di se stessa, e che capisce che deve raggiunge il luogo che l’ha generata, facendo di quel punto ogni momento di ricominciamento, una nuova nascita permanente dove corpo, luogo e spazio potranno finalmente trovare quel dialogo che da tempo aspettavano.

L’ipotesi che ci si prospetta ad un anno dall’inizio delle costrizioni, è scardinare i paradigmi per cercare altro e altrove, e per un momento dimenticare quanto avevamo pensato di imporre, sia come architetti che come pensatori, perché c’è un luogo fisico che non assomiglia a nessun altro ma che riconosceremo subito, dove il Corpo troverà pace e lo spazio diventerà l’ultima necessità.


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