Il progetto del sito produttivo Listone Giordano ha contribuito, negli anni, alla creazione di un luogo di lavoro – e di vita – secondo un piano architettonico industriale all’avanguardia, plasmando i volumi di un complesso rispettoso della poetica dei luoghi e dei suoi abitanti, con uno sguardo attento alla vita delle persone e alla sostenibilità ambientale. Esempio illuminato della coniugazione tra le esigenze strutturali e funzionali di un moderno impianto industriale e il rispetto dell’ambiente naturale che lo circonda.
Risale agli inizi del Novecento, la storia altalenante del rapporto tra territorio agricolo e siti industriali, una storia scritta a lettere di fuoco in trattati di architettura così come prende vita sulle tavole da disegno di architetti tra i quali il padre fondatore del Bauhaus, Walter Gropius. Progettisti illuminati, interessati al presente e al futuro dei propri edifici industriali e del dialogico rapporto con il mondo naturale. Ricordiamo le officine Fagus insediate in un’area che abbraccia boschi e colline – pur mantenendo una separazione di funzioni e intenti tra le due realtà.
Sarà l’intensa attività industriale, che si fa strada nella seconda metà del ‘900, ad abbassare la qualità architettonica degli spazi architettonici, a favore di una intensificazione produttiva ed abbattimento dei relativi costi. In questo congestionato panorama inizia ad emergere un embrionale sentimento di consapevolezza sociale, dagli ancora indefiniti contorni ecologisti. Si inizia, così, a parlare di recupero, conservazione e diffusa fruizione di territorio naturale, in gran parte degradato da un uso superficiale e sconsiderato.
In occasione del centenario di J. Beuys, tedesco come Gropius, la neonata scienza “antropocenica” getta le basi per la comprensione dell’impatto umano sul pianeta che abitiamo. Un coabitazione forzata e squilibrata che richiedeva allora, e grida vendetta oggi, una strutturale riorganizzazione della logica del lavoro e delle sue dinamiche (economiche, produttive ma anche architettoniche e urbanistiche).
L’opera artistica di Beuys ha seminato un terreno fertile su cui si adagia la coscienza ecologica del nostro millennio, mettendo a fuoco la crisi ambientale che iniziava ad affliggere il mondo industrializzato (spingendosi ben oltre, fino ai territori inesplorati dell’Amazzonia e dell’Antartide).
E lo fa secondo la sua personale visione di “scultura sociale” o “architettura sociale”, che commuta l’arte in strumento politico capace di forgiare la società umana.
Oggi il limite di “insediamento industriale” è stato ampiamente superato e il ripensamento in corso, qualora intimamente virtuoso, apre lo sguardo e lo innalza verso l’ambiente naturale in un sodalizio di reciproco scambio di energie e benefici. Il futuro potrebbe essere disegnato in forma non solo d’ integrazione ma di scambievole arricchimento: Opus naturalis.
A tale concetto di costruzione, impresa, produzione realizzata in sintonia con le leggi della natura, si ispira la filosofia di lavoro del gruppo Margaritelli.
Nato come progetto teso a smussare le asperità e ricucire sapientemente la cesura tra ambiente naturale e ambiente costruito, il complesso di Miralduolo articola la propria organicità accogliendo i suggerimenti dello studio di progettazione ABDR di Roma (Paolo Desideri e Filippo Raimondo) offerti dal paesaggio circostante e coniugandoli in un discorso architettonico raffinato, sensibile e non invasivo.
Legno per la casa, gestione forestale sperimentale, produzione vinicola: realtà polimorfe tenute insieme da una profonda consapevolezza di “sostenibilità umana”, tentativo riuscito a distanza di anni di far vivere insieme (e non semplicemente coabitare) natura e industria. Come è stato possibile? Ce lo racconta l’architetto Filippo Raimondo:
“Margaritelli ha maturato nel tempo la consapevolezza di lavorare con un’unica logica, che si rispecchia in tutti i passaggi operativi, che vanno da quello della produzione, a quello della commercializzazione, a quello dell’approvvigionamento del materiale, a quello della realizzazione di settori produttivi diversi quali la viticoltura e altri ancora. Credo che questo pensiero, divenuto progetto e quindi applicato fino a raggiungere un livello di attuazione tra i più alti, abbia avuto il suo fondamento nell’etica della produzione; molte intuizioni virtuose , quali ad esempio l’impianto boschivo sperimentale, sono patrimonio della Margaritelli già da tempo, ma soltanto ora si compongono come elementi di una grande idea globale che accresce il valore del marchio. Il comprendere che un impegno del genere non costituisce soltanto un obbligo – ancorché non richiesto all’epoca della sua proposizione – ma in primo luogo un impegno altamente etico di reale tutela degli uomini e dell’ambiente, si va ora trasformando in un valore più complesso e più articolato che si riflette positivamente su una molteplicità di aspetti, configurando in modo “alto” l’identificazione del Gruppo, soprattutto grazie allo stretto contatto con nuove attività riguardanti la natura e la campagna.”*
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Un impianto architettonico dove la coniugazione (e integrazione) del comparto industriale con la storica tenuta agricola (produzione vinicola biologica certificata), opera una sintesi mirabile tra il segno progettuale e l’idea fondante, tesa a unificare e far convergere le due anime produttive nel concetto universale di produzione umana.
E’ proprio tra vigne e colline nel cuore del DOC rosso Torgiano, in Umbria, che poggia solide fondamenta lo stabilimento Listone Giordano, creato per abbracciare armoniosamente il territorio circostante, assecondando con tatto e delicatezza la vocazione vitivinicola della zona.
Rispettare l’aria, la terra, la salubrità delle acque, consumando al minimo l’energia creandone dove possibile di nuova, avendo cura di recuperare ciò che è ancora utilizzabile, questi gli obiettivi che da sempre nutrono una realtà aziendale dal cuore sinceramente verde, a cui fa capo pensiero e azione altrettanto coerenti.
L’accento viene posto su un “fare impresa” in modo virtuoso anche nel pensiero rispetto ai luoghi di produzione e commercializzazione.
Una scelta che contribuisce a creare nuovi paesaggi in un territorio altamente antropizzato, caratterizzato – e spesso devastato – da un forte decentramento delle unità produttive.
Lo Stabilimento di Miralduolo Torgiano progettato dall’arch. Filippo Raimondo Studio ABDR, è un esempio altamente significativo di architettura industriale, orgoglio dei valori più autentici del made in Italy, perfettamente integrato con la natura in un contesto di grande pregio paesaggistico.
Dedicato alle fasi di lavorazione tecnologicamente più sofisticate che concludono il ciclo produttivo di Listone Giordano®, è considerato un modello di riferimento per automazione di impianti e valori organizzativi. Tale impostazione industriale trova significativa rappresentazione nel magazzino automatizzato, piattaforma logistica unica nel suo genere per dimensioni e modernità tecnologica, all’ombra di una dolce collina sulla quale svettano i dardi colorati (solo apparentemente caotici) dell’opera d’arte contemporanea firmata da Franco Repetto. “…intravedo!” segna una nuova via, un’avventura indispensabile verso ciò che rende il vivere soddisfacente, ci spiega l’ideatore di questa installazione site-specific che saluta dall’alto i visitatori.
Il polo produttivo di Miralduolo, che gestisce oggi l’intera filiera produttiva e logistica a livello globale, fa del più recente magazzino robotizzato il suo “fiore”all’occhiello, al suo interno viene gelosamente custodito un prezioso tesoro d’arte: un’opera di Ignazio Fresu dedicata simbolicamente ai libri e al valore atemporale della lettura o “quel che resta”.
Un simbolo di architettura industriale di grande prestigio, un progetto antesignano che testimonia una particolare attenzione della Famiglia Margaritelli che ha voluto coniugare la presenza industriale ad una delicata sensibilità paesaggistica in un territorio a forte vocazione agricola ed enologica.
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Uno skyline attento, che riduce l’impatto ambientale con uno scavo di oltre 6 metri di profondità nel sottosuolo, e crea quelle condizioni di continuità pur se su più livelli di lettura ed interpretazione del paesaggio. Un progetto “illuminato” con una visione a lungo termine, che ha saputo fondersi armoniosamente con le dolci colline umbre, venendo a creare quasi una prima quinta di colline artificiali che introducono all’edificio vero e proprio, per poi aprirsi alle colline naturali che fanno da sfondo al paesaggio.
La facciata bioclimatica, interamente rivestita in doghe di legno certificate ed appositamente trattate per uso outdoor, rappresenta un grande valore sia in termini di risparmio energetico e stabilizzazione climatica, che di valore estetico e di armonizzazione con l’ambiente circostante.
Riflessioni e spunti che hanno fortemente contribuito a caratterizzare il progetto realizzato dallo studio ABDR, riconosciuto e selezionato anche dalla curatela della 13° Biennale Architettura di Venezia.
Il progetto è stato esposto all’interno del Padiglione Italia curata da Luca Zevi dal titolo LE QUATTRO STAGIONI – Architetture del Made in Italy da Adriano Olivetti alla Green Economy.
“Non è un anno come gli altri – ha dichiarato il curatore – Il Padiglione Italia deve porsi al centro di questa differenza e diventare un’occasione per riflettere sul rapporto tra crisi economica, architettura e territorio, deve essere uno spazio in cui immaginare un progetto di crescita del nostro Paese, il common ground deve tradursi in un progetto concreto e visionario, in cui cultura ed economia scrivano un nuovo patto.”
*Estratto dell’intervista di Marco Nicoletti a Filippo Raimondo in collaborazione con la Fondazione Guglielmo Giordano
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