L’home architecture collaudata da Barbie – la bambola icona pop più celebre del pianeta – è stata anche femminista.
In un mondo che impazza per il rosa, il nuovo film-evento dell’anno Barbie di Greta Gerwig, rilancia il mito dell’eroina dai mille volti (trasformista come poche, all’altezza del miglior Fregoli) che ha fatto della sua casa un modello di stile per ogni epoca storica.
Un modello femminile che ha saputo reinventarsi e attraversare a passo deciso diverse generazioni ed epoche storiche, senza la benché minima increspatura sul volto di porcellana (o meglio cloruro di polivinile, fibra sintetica, elastomero, PBT e vernice a base d’acqua).
Anche la casa della famosa fashion doll merita la stessa attenzione, tanto da essere oggetto di un libro a tiratura limitatissima pubblicato da PIN-UP Magazine e Mattel Creations, dall’inconfondibile titolo Barbie Dreamhouse: An Architectural Survey. Il sogno di ogni bambina, il regalo più ambito per ogni festa degna di tale nome – la Casa di Barbie – si racconta in un’epopea di 152 pagine che racchiude la genesi e l’evoluzione delle residenze della divina, dal suo primo apparire sulle scene nel 1962, fino alla sua ultima interpretazione del 2021.
La monografia si articola attraverso progetti architettonici, fotografie originali di Evelyn Pustka e un’antologia di saggi e interviste con accademici e designer, tra i quali Kelly Wearstler, Rafael de Cardenas, la DJ/produttrice Honey Dijon e la curatrice Alexandra Cunningham.
“Il libro Barbie Dreamhouse di Pin-Up esplora le nostre fantasie domestiche collettive attraverso il mix di storia dell’architettura e cultura popolare. Dalla prima casa dei sogni del 1962, le case di Barbie si sono trasformate ed evolute, citando riccamente la storia dell’architettura e del design del XX e dell’inizio del XXI secolo. Il nostro libro documenta l’impatto che Barbie ha avuto sull’immaginario architettonico mondiale”. Così si sono espressi gli autori, Felix Burrichter e Whitney Mallett.
Il racconto: un viaggio surreale attraverso le immagini che scorrono veloci, passano così i decenni, le mode architettoniche e i trend di design che hanno caratterizzato diverse epoche della nostra comune infanzia.
La nostra eroine vede la luce nel 1959 (nome ufficiale Barbara Millicent Roberts) nella piccola – e fittizia – cittadina di Willows, Wisconsin (Stati Uniti), da brava ragazza si diploma alla Willows High School, e da lì intraprende la sua sconfinata carriera di icona pop e mito senza tempo, caratterizzata da una strenua volontà di indipendenza. Una giovanissima bambola bionda (prodotta e lanciata dall’azienda americana Mattel), era destinata a segnare un’epoca e rimanere cristallizzata all’età di 19 anni.
La prima Barbie Dreamhouse, presentata ufficialmente nel 1962, era costruita in cartone, pieghevole, per quanto priva dell’immancabile tocco rosa e della presenza della cucina (questo ha innescato una corrente di pensiero foriera di una sorta di dichiarazione femminista e di indipendenza ante litteram. Rumors riportano che, fin dalle origini, Barbie fosse stata creata con la vocazione ad essere indipendente e che questa residenza fosse simbolo di libertà, accentuata dal contesto. In un momento storico in cui alle donne non era legalmente permesso di ottenere un mutuo senza un cofirmatario uomo). La casa aveva pareti gialle, la camera con letto singolo e gagliardetti del college come decorazioni murali. Un modello architettonico pieno di libri e mobili modernisti ispirati al miglior design di Florence Knoll, Herman Miller e Charles e Ray Eames.
Un decennio dopo, siamo nel 1974, la nuova dimora d’autore Barbie Townhouse evoca gli stilemi costruttivi della Maison Dom-Ino di Le Corbusier: un progetto elaborato per favorire la ricostruzione edilizia al termine della prima guerra mondiale. Una casa in cemento armato «dove i solai erano lastre sospese sui pilastri», Le Corbusier decise di proporre un sistema costruttivo “a pianta aperta” talmente semplice da risultare quasi scontato. Questo prototipo prese il nome di «Dom-Ino», combinando le parole Domus (casa) e Innovation (innovazione). Un sagace gioco di parole che richiamava la possibilità di estendere le logiche aggregative delle tessere del domino agli organismi edilizi.
La versione Barbie mostra degli sfondi di cartone psichedelici in paisley e floreali e riferimenti funky-folk controbilanciati da arredi in plastica colorata simili alla Panton Chair di Verner Panton; mentre quella del 1978, con il suo tetto spiovente di tegole può essere portata come testimonianza tridimensionale del postmodernismo, dell’ambientalismo e della crescente suburbanizzazione dell’America dell’epoca. Venne in qualche modo associata alle case vacanze nei boschi – che continuavano a spuntare come funghi – nel periodo del boom economico della metà del novecento, tendenza che ha poi invaso i sobborghi delle maggiori città americane. Il modello datato 1990, la Magic Mansion, era di grandi dimensioni come una delle mega ville di Berverly Hills- sempre più grande – un inno al movimento dell’eclettismo e Post Modern a tinte rosa. Sorprendente la casa che inaugura il nuovo secolo, dai toni viola e retrò, mentre quella del 2020 cattura lo spirito del tempo affermadosi come più inclusiva e diversificata, con spazi funzionali ben definiti, fondali ideali per i meeting su Zoom e la produzione dei contenuti social di Barbie e dei suoi amici.
Ma come sarebbe stata la casa di Barbie progettata dalle firme più prestigiose della scena architettonica mondiale (vivente e non)? Se lo è chiesto Architectural Digest e la risposta sui generis ce la fornisce l’intelligenza artificiale. Se fosse toccato proprio a Le Corbusier ricevere la commessa per progettare di suo pugno la casa di questa iconica bambola, come l’avrebbe immaginata? E se questa ardua sfida fosse atterrata sulla scrivania di Calatrava, Mies van der Rohe o Frank Lloyd Wright ? Zaha Hadid o Lina Bo Bardi?
Ce lo svela il softare di AI Stable Diffusion interpellato da AD, che ha permesso di dare forma alla materia impalpabile dei sogni in rosa, regalando uno brivido di felicità a milioni di fans in tutto il mondo. Anche il mondo del cinema ha permesso di realizzare il sogno in carne e ossa, dando corpo e voce a colei che, altrimenti, continuerebbe a vivere solo nell’immaginario collettivo.
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