Volte fluttuano nello spazio per una nuova chiesa di San Giacomo disegnata da EMBT, Benedetta Tagliabue a Ferrara. 2022.
“Le condizioni ontologiche del sacro sono descritte da ciò che Friedrich Schleiermacher (1768-1834) chiama “sentimento di dipendenza” facendone giustamente, a mio avviso, il fondamento originario, primordiale, sorgivo, del sacro, e quindi della dimensione religiosa. Perché una cosa deve essere chiara: senza sacro, nessuna religione. Se il soggetto non percepisce qualcosa di più importante di sé, non compirà mai il movimento della religione, cioè il volersi legare a qualcosa di più grande e di più importante di sé.”
Vito Mancuso
La gigantesca e misteriosa conchiglia è scagliata con grande maestria alla periferia di Ferrara e ne configura lo spazio pre-esistente con una sequenza infinita di suggestioni, di colori, di forme e di materiali.
Lo studio EMBT, di Benedetta Tagliabue, e del compianto Enric Miralles anche in questo caso ci stupisce con un intervento calibrato ma denso di stupori che ci colpiscono già nell’istante in cui ci avviciniamo a questo scrigno variegato e cromatico.
Le viste del volume della chiesa di San Giacomo ci sfidano ad una prova di percezione dinamica, e ci abbracciano invitandoci ad andare a scoprire lo spazio, quasi vuoto e densissimo del sacro, tema molto complesso e mai completamente risolto nell’architettura contemporanea.
Ma qui la memoria di Miralles diventa la cifra stilistica di Benedetta che elabora un programma-tracciato per non lasciare nulla di inespresso.
La complessità di ogni concorso d’idee come questo, richiede una forma e un significato all’inesprimibile non lascia dubbi sulla felicità del risultato complessivo, anche nella precisione quasi scientifica dei particolari.
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E’ un estetica che si fa messaggio, metafora, che vuole esistere mentre si appresta a definire la vocazione significante di un luogo che deve raccogliere gli uomini nel loro momento più alto, quello in cui come dice Mancuso , “vogliono legarsi a qualcosa di più grande e di più importante di sé.”
La Tagliabue naturalmente conosce perfettamente ogni valenza spaziale dei rapporti tra vuoti e pieni, degli incastri delicati e morbidi a tutte le scale e in ogni partizione di questa splendida architettura, nata con lo slancio solare della Catalogna ma atterrata lentamente nelle terre nebbiose della bassa Padania.
Non meno evocativo risulta essere lo spazio interno che è delineato dalla presenza di un incrocio tra due grandi travi strutturali lasciate ad esprimere quella densità di significati che ognuno sente dentro, perché l’architettura deve definire se stessa ogni volta che modifica uno spazio, qualunque cosa esistesse prima dell’edificazione della Chiesa, che diventa altro, istantaneamente e definitivamente.
E’ l’antico artificio del costruire che deve e vuole dialogare con la natura, col paesaggio ambientale, con quel luogo che rappresenta il passato e il futuro della città che lo ospita, e quando il programma si conclude non ci resta che ammirarlo, e bearci della bellezza che gli uomini hanno donato ad altri uomini, per sempre.
Benedetta è molto abile culturalmente, nell’affrontare il tema e nel declinarlo attraverso una serie di disegni concettuali di rara precisione, in cui la tavolozza basica dei colori prende forma partendo poeticamente, come dicevamo, da una mongolfiera o da una conchiglia, per consolidare il rapporto tra l’idea, profonda e originale e la maestria della realizzazione fisica, stereometrica.
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Non siamo molto abituati a commentare e analizzare le forme del sacro, anche perché la filosofia del secolo scorso ne ha negato addirittura la possibilità all’esistenza, e non soltanto in relazione alla religione ma anche per la difficoltà concettuale di “pensare un sacro contemporaneo”, Le Corbusier escluso.
Questo di Ferrara è il progetto vincitore di un Concorso d’idee, e si percepisce una chiara adesione ai principi tradizionali che ne hanno determinato il paesaggio metafisico, coniugati alla forza espressiva “dell’Architettura dell’Adesso” che è principio ispiratore di questa nostra indagine sulle forme dell’attualità: contemporanea ma col cuore antico.
La complessa articolazione delle forme e dello spazio, quasi gioiosa, non limita la ricerca del silenzio, nello spazio della meditazione nel luogo dell’incontro con il Divino che traspira da ogni particolare, da ogni segno immaginato e realizzato dalla Tagliabue, nel miracolo dei contrasti formali e cromatici si raggiunge una purezza assoluta capace di creare le condizioni di una necessaria solitudine dentro una moltitudine di fedeli.
Forse siamo arrivati al centro esatto del problema e lo studio EMBT ci ha indicato una strada per immergerci nella simbologia luminosa dove l’architettura ritorna a delimitare quello spazio, quel luogo che ci portiamo dentro, che non ha bisogno di essere attraversato, visitato, e una Chiesa come questa, è di fatto un esercizio intellettuale prima che spirituale, essenziale per i credenti e stimolante per i laici.
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Anche la parola ha bisogno di una pausa, in questo discorso trascendentale e metafisico, una sospensione silenziosa, per delegare alle immagini, ai disegni, alle mappe concettuali il bandolo della matassa semantica, per arrivare all’esperienza energetica dell’architettura, come nutrimento per il corpo e per lo spirito.
Nell’intenzione antropologica di Benedetta, prima del risultato estetico, di per sé di grande livello, individuiamo la vera essenza antica, classica e contemporanea dell’architettura: dare piacere all’osservatore, di oggi e di domani, per riconoscere lo spazio, quello spazio, che è dentro ognuno di noi.
“Un luogo non è mai solo ‘quel’ luogo: quel luogo siamo un po’ anche noi. In qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati.“
Antonio Tabucchi
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