“C’è chi non ritiene l’architettura un’arte o al più la definisce ‘arte applicata’. Tuttavia l’architettura, al pari delle altre espressioni artistiche, trova la sua ragion d’essere proprio nel profondo legame che ha con la vita e con la società, quando attraverso la sintesi creativa è capace di rappresentare tutti gli aspetti del vivere umano”. Alle soglie di un mondo post pandemico da ripensare e “ricostruire”, la 17esima Mostra Internazionale di Architettura (22 maggio-21 novembre 2021) innesca il dibattito con una domanda che è antica e al tempo stesso urgente: “How will we live together?”.

Tra i temi centrali: le nuove sfide imposte dal cambiamento climatico e il concetto di “resilienza”, il ruolo dello spazio pubblico nelle recenti rivolte urbane, le frontiere del “green”, le nuove tecniche di ricostruzione e le forme mutevoli dell’edilizia collettiva. Tanto semplice quanto complesso e sfaccettato, il titolo della Biennale – curata da Hashim Sarkis – apre a molteplici riflessioni in prospettiva futuribile sul significato di “architettura sostenibile”.
Secondo Maurizio De Caro, già docente di Estetica al Politecnico di Milano e chiamato per l’anno accademico 2021/2022 a dirigere il nuovo corso di specializzazione in Estetica, Luce, Progetto alla Laba di Brescia, la chiave è “progettare gli spazi di inclusione sociale per creare nuove ‘intimità funzionali’”.

LEGGI ANCHE – L’Architettura, Venezia, la sua Biennale e il Presente Continuo della cultura in pericolo

“Il dibattito ormai desueto sulla necessità della sostenibilità dell’architettura, in era di pandemia, risulta essere fuorviante poiché da troppo tempo la cultura del progetto, ha inglobato la dicotomia tra etica ed estetica”, sostiene. “Non è solo un diverso ‘stare insieme’ nelle città e nelle case, ma capire il significato profondo delle relazioni umane che all’interno dei percorsi progettuali, trovano le loro forme espressive più alte, attraverso una nuova dialettica tra artificio e natura. Bravo è stato il curatore Sarkis a lanciare un sasso nello stagno di molti aspetti non sempre evidenziati dell’identità stessa dell’architettura…Dal processo di colonizzazione dello spettacolo progettuale del mondo, si ritorna al contesto più vero, attento di riposizionamento di tutte le certezze, che una certa pratica internazionale avevano imposto: la bellezza potrà essere tale solo se condivisa, solo se avremo la capacità di ‘sentire’ intimamente i luoghi in cui abiteremo insieme”.

Focale anche il punto di vista espresso da Roberto Cremascoli, architetto di COR arquitectos, ancor più dato che proprio alla Biennale di Venezia, edizione numero 15, aveva curato il padiglione del Portogallo (insieme a Nuno Grande). “ Il curatore Hashim Sarkis, con il titolo dell’edizione premonitore, si è trovato improvvisamente (lui e tutti i Paesi partecipanti) a ripensare un progetto già avviato e che doveva aprire le porte nel 2020…Pierluigi Nicolin nel suo recente libro ‘Architettura in quarantena’ ci chiede soprattutto di ristabilire il contatto e di ritornare a pensare ai punti d’incontro. L’architettura deve avvicinare. Progettare partendo dal distanziamento può portare ad esiti pericolosi. Vivremo sempre di più in città, enormi paesaggi urbani.

Dobbiamo curare le nostre città, luoghi che se pensati bene saranno spazi di qualità e dove vivere meglio. L’architettura è fatta dalle persone che vivono negli spazi. Cerchiamo di contribuire con il nostro sapere a migliorare la qualità degli scenari”. In un equilibrio revisionista fra ieri, oggi e domani che si può sintetizzare in una parola:
“evoluzione”. Camillo Botticini e Matteo Facchinelli, dello studio bresciano Arw Associates, amplificano il concetto: “Le tematiche evidenziate dalla Biennale ripropongono domande che appartengono in modi diversi alla produzione del progetto da almeno un secolo. Ciò che cambia è il mondo, la sua complessità e le sue dinamiche urbane, sociali e ambientali. L’architettura cerca in questo mutante contesto di dare una risposta che sia specifica in un mondo globale fatto comunque di profonde differenze ambientali e sociali. La sua mission è quella di configurarsi come il risultato di intenzioni collettive e creative di immaginare delle risposte materializzate in spazi ed edifici, in luoghi dotati di identità e carattere nel quale vivere ed identificarsi. Individuare una ricognizione tra queste ricerche è certamente un compito determinante per cogliere le direzioni che sostengano le scelte progettuali”.

Il retaggio delle esperienze stravolgenti degli ultimi mesi, in questo senso, ha impresso un segno sensibile, indelebile e imprescindibile: “Se c’è una cosa che la pandemia ci ha insegnato è quella di rivedere totalmente il concetto di architettura sostenibile” affermano Filippo Bricolo e Francesca Falsarella, dello studio veronese Bricolo Falsarella Associati. “Per anni è stato detto che l’architettura sostenibile era quella dove l’involucro dell’edificio rispondeva a determinate caratteristiche prestazionali.

Così facendo si diceva che si sarebbe rispettato l’ambiente, ricucendo lo strappo uomo-natura innescato nel ’900. Ma quando la pandemia ci ha costretti a chiuderci nelle nostre case abbiamo capito finalmente che ‘abitare’ è un concetto molto più complesso, perché tocca questioni psicologiche, ancestrali ed elementi archetipi del rapporto tra essere umano e ambiente. La cosa più importante per il futuro è non farci sfuggire questa raggiunta consapevolezza e trasfigurarla in progetti che tornino ad essere disegnati attorno alle donne e agli uomini, ai loro desideri, al loro rapporto intimo con l’ambiente interno ed esterno. Liberando il tema della sostenibilità dalla gabbia sterile dell’innovazione tecnologica, rivendicando il diritto a un’innovazione poetica”.

LEGGI ANCHE – Cresce il progetto One ed entra nell’ADI Design Index

Sguardi ancora più critici e divergenti, ma al contempo costruttivi e razionali, emergono dai professionisti di nuova generazione: Nicolò Galeazzi e Martina Salvaneschi – rispettivamente 34 e 32 anni, dello studio bresciano Associates – ritengono che l’idea di “architettura sostenibile” non abbia a che vedere con un tempo, un concetto o una tecnologia in particolare. “La sostenibilità per noi è un’attitudine che da sempre cerchiamo di applicare all’intero iter progettuale, dalla genesi di un’architettura fino alla sua realizzazione. Essere sostenibili significa, per noi, pensare il progetto a partire da un grande rispetto per i luoghi in cui interveniamo, per la loro storia, la loro cultura e la loro memoria. Significa studiarne a fondo le manifestazioni spontanee, comprenderne a pieno lo spirito. Essere sostenibili nell’eccezione più nobile del termine, un’eccezione atemporale che si traduce in scelte compositive, materiche e progettuali precise e consapevoli. In quanto architetti abbiamo una responsabilità oggi ancora più grande. Il tempo in cui viviamo, frammentato, discontinuo, atomizzato necessita di questa importante ricucitura tra ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà”.

Ancora più radicale la visione di Giovanni Mensi, anch’egli bresciano (1983), senior architect de ilPrisma Milano. “L’impatto dell’architettura sui contesti è sempre più trattato e controllato limitatamente alle dinamiche tecniche che riguardano il tema del consumo, fino a sfociare nella moda del mercato delle certificazioni, rincorse per vendere ed assicurare qualità”, incalza. “Ma, davvero nell’era della realtà virtuale e dell’individualismo (accelerati dal COVID), delle disuguaglianze sociali e del globalismo, il significato di ‘sostenibilità’ in architettura deve ridursi a questo? Io credo che, senza una strategia che interpreti il tema della ‘sostenibilità’ in senso lato e in modo integrato, si finirà soltanto per ridurre il panorama urbano a una collezione di efficienti macchine dell’abitare già da sempre obsolete. Viviamo un’epoca in cui la collettività si disintegra sempre più in una moltitudine di atomi chiusi nei loro piccolissimi spazi privati. Ed è paradossale – conclude – come nell’epoca della sostenibilità i pochi spazi di aggregazione (si fa per dire) siano dedicati proprio al consumo: dal centro urbano al centro commerciale. Ogni occasione di reale
condivisione e di ricostruzione di una collettività cosciente, vero tema d’attualità, tende a deflagrarsi in questo insostenibile scenario”.

Si ringrazia Brescia Oggi e Arena di Verona.


Seguici sui nostri canali per restare sempre aggiornato:

Exit mobile version
×