Premessa generale metodologica (Verso un’antologia della cultura progettuale italiana).
Un’antologia di progetti premiati da In/Arch non è non potrebbe essere esaustiva o raccontare tutte le infinite sfumature della cultura del progetto nel nostro paese, attraverso un’indagine attenta nelle diverse realtà locali.
Ma la bellezza dell’antologia è la libertà intellettuale della scelta e della capacità dei giurati di realizzare un affresco composito degli stili, delle scuole , delle tendenze e in questo, IN/ARCH rappresenta la volontà propria del fondatore Bruno Zevi di dare spazio a tutte le forme di creazione architettonica senza mascheramenti o preclusioni per nessuno, come è sempre stato lo spirito critico Zeviano, famosi o meno.
Per questo l’elenco dei premiati di quest’anno racconta le nostre storie di critici e di progettisti, evidenziando tracciati e percorsi polimorfi e spezzati, ma non per questo ci sembra impossibile trovare elementi comuni, momenti di dialogo e di confronto. A questo serve l’In/arch, ma soprattutto a questo servono i “veri riconoscimenti”.
buona lettura.
MDC
Milano novembre 2023
“Sentivo e speravo di poter condurre altre persone alla consapevolezza che i suoni dell’ambiente in cui vivono rappresentano una musica molto più interessante rispetto a quella che potrebbero ascoltare a un concerto.”J. Cage a proposito di 4’33’’
In questo splendido lavoro di Elena Bertinotti, quello che colpisce è la precisione dell’idea progettuale, la giustapposizione degli elementi natura e artificiali, la proporzione e il rapporto silenzioso col lago e con la montagna che in fondo ne determina l’esistenza architettonica.
Ho voluto citare Cage per l’ovvia rappresentazione simbolica del Silenzio che oltre ad essere quanto viene prodotto nell’opera citata, è anche il titolo di un saggio fondamentale sul rapporto tra suono, rumore e silenzio, appunto.
L’architetto conosce i luoghi, le materie della sua sperimentazione ma vuole dimostrare che la contemporaneità nesce dall’interpretazione evolutiva della tradizione, perché tutto sembra antico ma di fatto è essenzialmente attuale, quasi frutto di una quotidianità ambientale.
Non deve essere stato facile controllare le dialettiche antico/contemporaneo, senza stravolgere il programma progettuale, le scelte che hanno portato all’identità dei committenti , abitatori di quei luoghi, e dare spazio ad una creatività così calibrata da sembrare un prodotto scientifico e al contempo profondamente creativo.
Spazi silenziosi, dicevamo perché il Lago, le montagne citate dall’uso sapiente di materiali.
Interno ed esterno sono fluidi, sono flussi di tracciati che si sovrappongono, che appagano la vista nella meraviglia, e costruiscono un esempio definito di piccola casa, e nella rappresentazione fotografica la ricerca del particolare, delle superfici parietali e dell’armonia dei volumi si percepisce chiara, come ci fossimo già stati.
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Questa è la vera abilità, il talento di Elena Bertinotti, la passione con cui sceglie, legni e pietre, con cui disegna inclinazioni e permeabilità trasparenti dello spazio, basti osservare la balaustra di vetro che moltiplica lo spazio vero l’acqua, tutto in questo luogo è Natura, nella bellezza consapevole di un territorio incontaminato , se non dagli sguardi complici dell’autore che ha compreso di aver dato la risposta che il “cliente” si aspettava.
Una casa è fatta di scorci, di prospettive, di luci, di ombre, di stagioni, di profumi, che declinano le esperienze dei luoghi che l’hanno realizzata, dopo averla immaginata e modificata fino a crearne un manufatto eco-compatibile, sostenibile, che produce più energia di quanto ne consuma, e che risponde alle esigenze etiche della quotidianità: la bellezza deve essere sempre “buona”.
C’è anche molta delicatezza in questo progetto, un’attenzione all’eleganza formale che nasce da un disegno “in punta di piedi” che accompagna il piccolo edificio verso la magia delle idee che sono dentro di noi, che ci accompagnano come la ricerca di una condivisione, c’è amore per la professione e per tutte le cose che si realizzano, come necessarie alla crescita intellettuale, e i segni sono le parole di un diario segreto.
E’ sempre interessante vedere che esiste negli ambiti più reconditi del nostro paese una ricerca architettonica che non delude mai, che ci fa ben sperare per qualsiasi tipo di futuro, che ha ancora il desiderio di raccontare e di sorprendere, anche solo con una “casa”, che nel silenzio contestuale ci sembra abbia tante cose da dire e da dare.
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Suono, rumore e silenzio sono le matrici di ogni disciplina umana, ne permeano i paradigmi, senza farsi, apparentemente notare, ogni attività umana è frequenza, si misura in Hertz, anche l’architettura ma in questa casa sul lago ci sembra, anzi ne siamo certi che questi elementi primordiali e naturali siano in perfetta armonia, cantino una polifonia perfetta.
Nell’opera di Elena Bertinotti, ci sono tante storie sovrapposte, e la stereometria di questa abitazione nasce da tanti ricordi, da molte intuizioni e da una frequentazione non turistica del Luogo, è nella costruzione dell’identità locale che il progettista dimostra di avere molte frecce al suo arco semantico, ci vuole portare direttamente alle risposte che riguardano la disciplina e la tecnica dell’architettura.
Le onde del lago e le pieghe del Montorfano definiscono la pelle rugosa della casa, come a non poter mai abbandonare la Natura che l’ha determinata, l’ha adagiata delicatamente nel punto esatto in cui pietra, legno e vetro, potevano tornare ad essere essenza, simbolo e segno.
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In questa antica traslazione di significati c’è tutta l’energia teorica della progettazione, e l’ambizione dell’autore a diventare inconsapevolmente mago e sciamano per poter finalmente far suonare il silenzio.
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