Dante O. Benini ha l’aspetto dell’agente segreto più famoso del mondo, elegante e fermo, gentile ma deciso e veloce nelle scelte, perché ha un carattere “all’antica”, forgiato su una sequenza di dure e meritate conquiste.

Quello che si vede è.

Il lavoro, dunque non l’ha mai spaventato, fin da ragazzino ed è per questo che era scritto che sarebbe diventato Dante Oscar Benini, milanese classe 1947, e da qualche decennio, complesso riferimento di una stagione estetica di difficile catalogazione ma di sicuro impatto sull’immaginario collettivo.

Dante O. Benini manifesta da subito la chiarezza delle sue intenzioni che sia per un concorso internazionale o un masterplan da milioni di metri quadrati o semplicemente per un’intervista dove ha la capacità unica, di non aver paura di mettersi a nudo, ed è questo che voglio raccontare, in queste poche righe: l’uomo e il creatore, nell’alternanza delle emozioni che permeano la sua vita e la sua professione.

Intervista a Dante Benini di Maurizio De Caro all’Arena Listone Giordano di Milano

Questo “giovane-vecchio milanese” ha avuto una vita degna di un romanzo per gli incontri, le opportunità, i trionfi e le cadute, ma mai un momento in cui piangersi addosso, anche per situazioni che avrebbero abbattuto anche James Bond, Dante O. Benini è quello che si sente ed è quello che si vede se riuscirete a guardare con attenzione le sue architetture.

Non è soltanto uno dei migliori architetti viventi (lo dicevano e lo hanno detto tra gli altri Bruno Zevi e Cesare De Seta) ma è forse quello che ha più cose da raccontare e insegnamenti da regalare alle generazioni future (ma anche attuali).

Dante O. Benini & Partners Architects, Rossini S.p.A Headquarters, Rescaldini (MI), 2020

Perché non basta aver lavorato con Carlo Scarpa, Oscar Niemeyer, Richard Meier, e altri cento, di avere avuto studi a Rio de Janeiro, Istambul, NYC, Londra o Vienna, bisogna avere la capacità  di interpretare lo spirito del tempo, a tutte le latitudini, dando al mestiere dell’architettura il giusto valore nella scala delle necessità umane e del soddisfacimento delle passioni irrinunciabili.

Questo è stato, e neppure le dimensioni, le ricchezze, il mondo come area d’intervento, è bastato, perché Dante O. Benini ha mantenuto la curiosità che aveva in quel cortile, dove da bambino, guardava quel buffo signore veneziano disegnare, e da allora non ha mai smesso di farlo, e non smetterà mai di farlo, vero padrone di segni, di materie, di colori, di tecniche, di forme imprevedibili e uniche.

Se fosse possibile definire l’architettura attraverso la lettura di una sola opera, la sua sarebbe sufficiente per spiegare quelle è il vero significato della necessità di creare spazi artificiali per contrapporre la cultura del disegno alla natura che lo ospita.

Non è dunque solo una forma di ossessione ma la perfetta condivisione di una visione che ha bisogno di sfidare se stessa fino al limite ultimo dell’espressione, fino al consumarsi delle possibilità strutturali, funzionali e tecnologiche.

Dante O. Benini, Luca Gonzo

E tutto questo assorbito dall’unitarietà polifunzionale di un’architettura che non separa forma e funzione, estetica e tecnica, anzi cerca di confondere il risultato finale come in una composizione musicale dove puoi ascoltare tutti gli strumenti ma quello che importa è la complessità dell’esecuzione totale, definitiva.

Nella lettura delle sue opere è facile comprendere questa intuizione compositiva, questa felicità espressiva che conduce l’utente/spettatore/fruitore esattamente verso il territorio mistico e sconosciuto dell’Architettura al suo più denso livello emotivo.

Dante O. Benini è cosciente che lui deve dare piacere, produrre le condizioni affinché ogni edificio, spazio o luogo possano diventare esperienze, come insegnamento propedeutico e barriera continua e sicura  alla deprimente edilizia che contamina il globo terrestre.

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Tutto questo è impegno, sfida, azzardo ma anche la matematica e la fisica, l’ estetica e la scienza delle costruzioni, perché con il suo lavoro riporta l’architettura al suo ruolo simbolico, come sintesi descrittiva del tempo in cui ha avuto la fortuna di nascere ed esistere.

Un messaggio che difficilmente potrà essere disatteso o misconosciuto anche da una critica spesso disattenta o impegnata nella ricerca dei filoni archeo-culturali “à la page”, e il linguaggio concreto e complesso di Dante O. Benini, progettista affascinate e coraggioso ha bisogno di un’analisi che richiede fatica e impegno intellettuale non comuni.

Ha costruito edifici a Istambul, Milano, Mosca, NYC, Rio de Janeiro, Beijin, Shanghai, Monaco.

Alberghi, yacht, centrali elettriche, headquarter, mall commerciali, residenze di qualsiasi tipo e dimensione(dall’attico del famoso stilista, all’housing sociale a Mosca), e poi arredi, interior design.

Richard Meier & Partners in coll. con lo studio Dante O. Benini & Partners Architects, Ponte Cittadella, Alessandria, 2016

Non esiste una categoria merceologica e una ricerca legata all’urban planning, architectural ad interior design che non abbia indagato, attraversato, rivoluzionato e quindi trasformato in un’idea eponima, come se fosse necessario per lui scrivere “un vocabolario nuovo delle forme e delle funzioni”.

Bisogna  analizzare dunque, le intere categorie funzionali ed estetiche per poi  scegliere elementi significativi di una poetica ancora in formazione, in cantiere.

Ho scelto un azzardo poetico per trovare tre o quattro esempi che raccontino la mente immaginifica di Dante O. Benini e che non abbiano bisogno di immagini ma solo di parole, per essere descritte compiutamente.

Forse uno yacht di sessanta metri, o un albergo a Manhattan possono narrare il processo di composizione, l’idea che si fa spazio tra mille, e supera i dubbi che le hanno impedito di nascere di diventare forma o luogo, o un gruppo di semplici edifici di housing sociale che possono diventare l’esempio di una citta (in questo caso Mosca) che vuole dare considerazione ai ceti meno abbienti.

Ecco dunque che l’architettura diventa sociologia, antropologia, lettura delle necessità e dei desideri ad ogni scala e per ogni possibilità estetica e materiale, ma lo slancio propulsivo della ricerca di Dante O. Benini non si ferma al particolare e men che meno al budget, indaga, crea le possibilità per realizzare una visione condivisa della bellezza, sia pure nelle enormi differenze che il progetto deve attraversare.

Questo rende unica la metodologia progettuale che ha come fine ultimo la bellezza a la risoluzione di ogni problema posto dal programma di qualsiasi committente, dunque l’architettura come necessità realizzata, sia tecnica che estetica, che non può rinunciare alla sua unicità e alla sua capacità di produrre stupore.

In questa azione professionale si evidenzia una capacità di superare il provincialismo e il localismo che sono i mali endogeni di qualsiasi scuola nazionale, vero principio che solo attraverso la concreta e costante pratica internazionale può essere superata.

A Milano Dante O. Benini ha realizzato alcune delle architetture più significative degli ultimi decenni, soprattutto mi riferisco al complesso di via Valtellina e l’area dell’ex Sieroterapico ma anche in interventi più recenti come il complesso per via Trenno la felicità e la chiarezza espressiva ci portano verso un risultato di grande impatto urbano e architettonico.

Dante O. Benini & Partners Architects, Istituto Sieroterapico “Serafino Belfanti”, Milano, 2012

Questo è identico a New York e ad Istambul, in Cina o a Montecarlo.

È chiaro in questa serie di esempi che ogni progetto vive nella sua unicità, ha la fierezza di essere irriproducibili e di non avere memorie da ricordare, in una sorta di perfetta contemporaneità: l’unico tempo che possiamo vivere, ed è l’unica modalità creatrice che vogliamo esprimere.

Ecco forse il suo insegnamento più grande, vivere quell’attimo dove l’estetica è contemporaneamente memoria, segno e sogno, senza una relazione vincolante col tempo che l’ha prodotta, essenziale perché sempre attuale, come solo  le opere dei grandi maestri.

In questa direzione “l’Opera” è molto più importante delle opere singole per quanto grandi e significative perché compongono un’identità concatenata di momenti che, contribuiscono a descrivere un linguaggio definito a perennemente in divenire, dicevo prima dell’idea del “cantiere permanente”.

Come si evince chiaramente sfogliando anche velocemente la sequenza corposa e continuamente iconoclasta dei progetti, dove è difficile intravedere una linea semantica di connessione tra i vari elementi, ed è questa la sfida del critico del futuro: scrivere un romanzo formato da episodi apparentemente contraddittori ma profondamente interconnessi.

L’architettura di Dante O. Benini ha avuto all’estero una gratificazione molto significativa con una presenza costante del progettista-viaggiatore che conosce profondamente le poetiche dei paesi (e sono tantissimi) dove va ad operare e ogni suo intervento dovrà essere complementare ma non sempre aderente agli stilemi locali.

Per il principio che indicavamo prima per cui l’ultima opera entra nell’ultimo e più recente capitolo del Romanzo Tecnico-Estetico.

Per questo motivo il progettista non riuscirebbe mai a selezionare le opere da esporre in una ipotetica collettiva sul suo lavoro perché ogni istante creativo ha una valenza assoluta nel suo lungo percorso, è una mostra a parte, compiuta.

Diverso è l’approccio sulla definizione di un ipotetico stile perché fino ad ora nessuno ha dato una definizione di questo approccio, neppure Zevi che, per comodità, inserisce Dante O. Benini nella grande famiglia organica “ad honorem” ma sarebbe troppo semplice non individuare in una lunga serie di realizzazioni il tentativo riuscito di andare molto oltre le scuole classiche e di mantenere dei vecchi maestri un ricordo rispettoso ma tenero.

Questo rende il nostro lavoro di critici, molto più complicato ma al contempo stimolante, come se dovessimo individuare nuove evoluzioni  del passato prossimo e del presente in una luce e in una veste di autonomia concettuale e linguistica.

Sceglierò dunque, comunque, dieci immagini che focalizzino l’attenzione del lettore su altrettanti spunti che la complessità degli interventi realizzati da DOB possono esprimere, e non ci sono altre possibilità che rimandiamo, forse, ad un progetto monografico futuro, chissà.

In questa nuova rubrica di ONE vogliamo indagare non solo sulle immagini più o meno classiche (e spesso retoriche) dei maestri ma cercare di spostare l’attenzione sul loro lavoro, visto come implicito insegnamento per le nuove energie creative in formazione.

Dante O. Benini & Partners Architects con Mario Arlati, Pavshino Living Art Towers, Mosca, 2014

Queste poche righe servono per creare curiosità e per ritrovare nel lavoro di chi ci ha preceduto ma che è ancora profondamente nostro contemporaneo, la forza, il coraggio e la volontà di sfidare le convenzioni e le consuetudini, come sempre è stato e sempre sarà.

La critica dovrebbe occuparsi concretamente di questo per affermare di aver  raggiunto l’obiettivo più grande: spiegare il mistero della creazione architettonica e i processi per poterne spiare gli aspetti più significativi.

Per questo e per tanto altro non possiamo che ringraziare Dante per quello che ha fatto e per quello che per molto tempo ancora ci regalerà.


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