Emanuel Pimenta è un gentiluomo settecentesco, viaggiatore instancabile, scienziato visionario, musico, per caso nato, anzi per fortuna nato nel secolo breve, proprio per sperimentare il limite di queste attività, di queste discipline.
Architetto per passione, e ideatore di flussi sperimentali musicali, a poco più di sessanta anni, occupa, e da più di quaranta, un posto importante nella cultura mondiale a cavallo del XX e XXI secolo.
Ha lavorato con le menti più illuminate del pianeta, da Cage a Rauschenberg, da Yona Friedman a Peter Cook di Archigram, a Merce Cunningham, sempre attento a preservare la sua specificità, la sua identità intellettuale, con una generosità che lo rendono anche umanamente una figura d’altri tempi.
Basti ricordare il suo fondamentale contributo al decennale lavoro di Lucrezia de Domizio, su Joseph Beuys, e l’impegno nelle più importanti fondazioni culturali del mondo.
Voglio ringraziarlo per aver accettato il mio invito e per averci regalato un “poema visivo”,che oggi pubblichiamo su ONE, ma che presenteremo alla Listone Giordano Arena quando sarà possibile affinché possa essere condiviso come “nutrimento culturale” da quanti vorranno prenotare nel nostro Ristorante Mentale, dopo la fine della pandemia.
Grazie caro Emanuel. (MDC)
OK
emanuel dimas de melo pimenta
2020
a Maurizio De Caro
Mandrake, ricordi cosa una volta Clemenceau disse sulla guerra?… Ha detto che la guerra era troppo importante per essere lasciata ai generali. Quando lo disse, 50 anni fa, avrebbe potuto avere ragione. Ma oggi la guerra è troppo importante per essere lasciata ai politici. Non hanno né il tempo, né la formazione, né la propensione al pensiero strategico. Non posso più sedermi e permettere all’infiltrazione comunista, all’indottrinamento comunista, alla sovversione comunista e alla cospirazione comunista internazionale di affinare e impurificare tutti i nostri preziosi fluidi corporei.
in Dr. Strangelove (1964) (Stanley Kubrick)
La gente vuole classificare e dire: “OK, questo è un film di gangster”. “Questo è un Western”. “Questo è un…” Sai? È facile classificarlo e fa sentire le persone a proprio agio, ma non importa, non importa davvero.
Martin Scorsese
Nel 2011 la BBC ha pubblicato un articolo sostenendo che OK era, possibilmente, la parola più usata e riconosciuta nel pianeta Terra.
È una parola intensamente utilizzata dal oriente al occidente, dove è nata.
Significa: “va tutto bene”.
Apparve per la prima volta nel 1839, già con il significato attuale, come abbreviazione di “oll korrect”, e reso popolare come slogan elettorale del OK Club di Boston che sosteneva Martin Van Buren, allora presidente degli Stati Uniti, che era molto conosciuto come il Older Kinderhook (che significava il più vecchio angolo per bambini), o semplicemente OK. Era l’ottavo presidente degli Stati Uniti e uno dei fondatori del Partito Democratico Americano.
Van Buren ha perso la rielezione.
Ora abbiamo un virus, e niente è “tutto a posto”.
Maurizio De Caro mi ha chiesto di scrivere qualcosa sui momenti in cui viviamo tutti insieme.
Una guerra globale, ma di natura diversa.
Così, ho preso la prima pagina di un importante giornale di Locarno, in Ticino, dove abito da tanti anni. Dalla prima pagina di quel giornale, ho scelto, con uso di operazioni al caso, in un periodo di quattro mesi, parole con le quali ho realizzato un poema – che è dedicato a De Caro, un amico che ho conosciuto attraverso Lucrezia De Domizio negli anni ’90.
È un poema di solo quattro pagine.
Quattro era il numero magico, nell’antichità classica per indicare la dinamica della vita.
Ogni pagina è un mese, da gennaio ad aprile 2020.
Mesi del virus!
La dimensione di ogni parola è determinata dalla quantità di volte che viene ripetuta nel testo del giornale – svelando alcune delle preoccupazioni o l’attenzione delle persone.
È una specie di “radiografia” che non usa la radio e, quindi, potrebbe essere chiamata una poesia “notizio-grafica”, senza storie o fatti, ma solo immagini di un popolo, una mente collettiva e un tempo.
Persone che sono, tutti, collegati in un pensiero collettivo, in sconfinamento, in prigione senza colpa, senza peccato, senza niente.
È un poema concreto nel suo senso più profondo, che ricorda i metodi usati nella musica concreta.
La poesia è l’immagine della mente.
Ed è OK
Emanuel Dimas de Melo Pimenta
aprile 2020
Emanuel Dimas de Melo Pimenta (nato a San Paolo, in Brasile, nel 1957) è musicista, architetto, fotografo brasiliano-portoghese (residente in Svizzera dal 2003).
Le sue opere, che collegano arti e scienze, sono state incluse in collezioni d’arte e sono state riconosciute da istituzioni come il Whitney Museum di New York, l’Ars Aevi Contemporary Art Museum, la Biennale di Venezia, il Kunsthaus Zürich, la Bibliothèque nationale de France a Parigi, il MART – Museo di arte moderna e contemporanea di Rovereto e Trento, e la Collezione Shöyen.
Emanuel Pimenta ha studiato con Hans-Joachim Koellreuter, Conrado Silva, Eduardo Kneese de Mello, Decio Pignatari, Lygia Clark, e con Kenzo Tange, Burle Marx, Yona Friedman, Peter Cook (Archigram) e Oscar Niemeyer.
Pimenta sviluppa musica, architettura e progetti urbani utilizzando la realtà virtuale e le tecnologie del cyberspazio. I suoi concerti integrano musica,architettura e l’arte visiva e sono stati eseguiti in vari paesi negli ultimi vent’anni, a partire dal suo concerto alla Biennale d’Arte di San Paolo, nel 1985, con John Cage, Francesco Clemente, Sandro Chia e Robert Rauschenberg.
Pimenta ha collaborato con John Cage, come compositore incaricato per Merce Cunningham tra il 1986 e il 2009, fino a oggi è rimasto compositore del Merce Cunningham Legacy Project.
È stato compositore per diverse compagnie come la Appels Company di New York. I suoi concerti sono stati eseguiti al Lincoln Center and The Kitchen di New York, al Palais Garnier, all’Opéra Bastille, alla Fenice, allo Shinjuku Bunka Center di Tokyo, al Festival di Aix en Provence e al Museo d’Arte di San Paolo, tra molti altri .
Nel 2012, Emanuel Pimenta ha coordinato 38 eventi, in 11 paesi, per celebrare il centenario di John Cage.
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