La Giuria di In/arch ha assegnato all’unanimità il Premio per la Carriera a Giuseppina Grasso Cannizzo con la seguente motivazione: per il suo essere una figura tanto isolata nella recente architettura italiana quanto ostinatamente dedicata a una personalissima ridefinizione della figura dell’architetto come autore, come progettista che non si fa semplice mediatore di esigenze economiche ma vuole catalizzare cultura, memoria e materia in forme diverse del costruire e dell’abitare.

Impossibile da catalogare nelle sovrapposte tendenze del design dell’involucro come beau geste foto/grafico, concentrata in poche opere tanto scarne quanto ben stagliate sul suo paesaggio di elezione, affilata e abbagliante come una lama al sole, l’architettura di Giuseppina Grasso Cannizzo può anche avvicinarsi al confine con l’arte: come quando, raramente “si espone” a raccontare il proprio lavoro e nel sottile spessore del semplice foglio di carta carica i molti significati di un corpus di progetti che – come lei stessa dichiara – sono  realizzati al 2% e per il restante “archiviati in fase esecutiva”.

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Cosciente del dilemma che affligge tanti altri progettisti, tra architettura della crisi e crisi dell’architettura cui molto reagiscono scompostamente, con l’esibizionismo formale o la propaganda verbale, questa autrice preferisce allontanarsene mentalmente: non che nel suo lavoro non appaiano sintomi della sindrome da carenza di occasioni per l’espressione – perché è impossibile non esserne contagiati in Italia – ma forte dello spirito del tempo e del milieu internazionale da cui viene e che alberga nella sua ispirazione, la progettista non ne fa un manifesto, ne rifugge la retorica e ne deriva opere distintamente pedagogiche.

Fuori da ogni metafora, il lavoro di Giuseppina Grasso Cannizzo indica la ricerca paziente, oseremmo dire pazientissima, e soprattutto “la resistenza come condizione unica di sopravvivenza per il progettista e la sua poetica”.

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La mirabile presentazione – in occasione della cerimonia di premiazione – si è arricchita di riflessioni intime e personali, promanate dalla cogente domanda “A cosa siamo disposti a rinunciare per costruire un mondo con meno conflitti, meno disuguaglianza, meno sprechi, alla ricerca di un nuovo equilibrio tra l’uomo, le altre specie e la natura?”.

La progettista ritrae “l’architettura come un organismo vivente, che ha un’aspettativa di vita, che accetta la propria fragilità e che è disposta a subire alterazioni, modificazioni, amputazioni, adattamenti a nuovi usi impressi nel tempo da circostanze impreviste e comportamenti.

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E’ necessario che, in questo preciso momento, l’obiettivo del progetto sia la definizione di un dispositivo in movimento, capace di trasformarsi assumendo all’occorrenza forme, ruoli e configurazioni diverse permeabili in ogni punto, impenetrabile pur celando cavità segrete e possibili varchi di attraversamento. E allo stesso tempo deve essere cangiante, incantatore, non rinunciando a dispensare nutrimento all’immaginazione”.

Accompagnata dalla narrazione per immagini – tratte dal suo libro LOOSE ENDS (Edited by Sara Marini) – la Cannizzo conclude la sua dissertazione con la poetica descrizione dell'”edificio di fogli di carta”, il processo che conduce all'”edificazione” di un oggetto/progetto di architettura prende originariamente forma su un foglio bianco. L’dea di fondo trasmessa dall’autrice è che non ci sia “nulla di stabile, che tutto è vulnerabile come lo siamo stati noi in questo momento e, quindi, suscettibile di continue modificazioni, cambiamenti a seconda di quello che avviene intorno a noi”.

La sua personale idea di architettura non prevede di realizzare progetti desinati a rimanere per sempre; anzi, da raffinata ed acuta intellettuale qual’é, attende di vedere suoi progetti “alterati da altri”, spazi da lei occupati andare incontro a modifiche e variazioni non previste dai suoi piani progettuali. In conclusione – o forse è proprio questo un nuovo inizio – la Cannizzo si augura che questo evento “metamorfico” prima o poi avvenga e che, in qualche modo, le sia permesso assistere alla demolizione, anche parziale, di sue architetture per creare una diversa “rioccupazione dello spazio”.

Fonti testuali Istituto Nazionale di Architettura.

Contenuti fotografici tratti dal libro Loose Ends edito da Sara Marini


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