Andrea Martiradonna

Attualità programmatica dei Premi In/Arch (1961/2023)

Discorso di Bruno Zevi alla fondazione dell’in/arch (estratti)

L’idea di costituire un Istituto Nazionale di Architettura è emersa nel seno della sezione italiana dell’Unione Internazionale degli Architetti. Non è un caso. Soltanto l’Italia non ha un organismo del genere, una casa dove coloro che producono l’architettura si ritrovano, concordano il loro lavoro, dibattono problemi, predispongono strategie per incidere, negli orientamenti della classe dirigente, nella vita del paese, nell’opinione pubblica.

Ma c’è subito da domandarsi: sentiamo veramente il bisogno di un simile Istituto? A questo interrogativo risponderete voi.

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L’architettura non ha un suo organo propulsore, non ha una propria rappresentanza. E’ chiaro, nessuno lo ha proposto, perché nessuno difende l’architettura. Non parliamo di eventi culturali: muore Frank Lloyd Wright, uno dei massimi geni della vicenda architettonica, o scompare Bernard Berenson, uno storico il cui pensiero e costume critico incidono largamente anche in architettura; ebbene, in Italia non vi è una sola commemorazione solenne di queste due personalità.

Vantiamo un record di brillantissime iniziative, dai premi Olivetti ad alcune riviste qualificate e diffuse, ma esse non creano un costume, non garantiscono una crescita e uno sviluppo, perché manca un centro di coordinamento e propulsione, un Istituto Nazionale di Architettura.

Se avessimo in architettura un istituto paragonabile a ciò che è l’INU per l’urbanistica, disporremmo di una forza immensa, travolgente; ve ne potete rendere conto paragonando il peso di un piccolo nucleo di urbanisti che svolge un’azione contro corrente, alla potenzialità delle migliaia di professionisti attivi in architettura; un Istituto Nazionale di Architettura può dunque avere un prestigio e una fortuna nemmeno pensabili, per ora, nel campo urbanistico.

In un’intervista pubblicata sul settimanale “L’Express” di Parigi, il celebre romanziere Arthur Koestler constatava che lo slittamento verso una cultura uniforme e stereotipata è divenuto un fenomeno irresistibile.

La classe degli intellettuali e degli artisti, che dovrebbe dominare il tempo libero finalmente elargito dal progresso industriale alla maggioranza degli uomini, proprio quella classe che ha stimolato nel mondo la curiosità degli spazi, e gli spazi ha descritto e figurativamente rappresentato, nell’ora del suo trionfo è in stato di disfacimento e liquidazione.

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La scissione tra cultura ed economia nel campo architettonico è oggi tale da indurre a definire l’età in cui viviamo come l’età del paradosso.

Registriamo infatti questa incredibile situazione: gli architetti e l’industria edilizia sono non solo separati, ma agli antipodi. I produttori dell’architettura sono così in continua polemica con le forze che permettono di produrre l’architettura. E poiché l’iniziativa economica è assai più pressante e veloce di quella culturale, gli architetti sono ridotti alla periferia del fenomeno edilizio, in stato di passività, servono l’iniziativa economica ma senza convinzione profonda e perciò senza vera possibilità di ispirazione poetica.

É la sclerosi dell’architettura come atto di cultura integrata. Il divario tra cultura ed economia è divenuto un baratro, e allora la cultura si ritira in astrazioni, cessa di essere engagée, cade nel solipsismo e nel pessimismo, mentre l’economia si tra-sforma in bruta speculazione e, là dove incrocia la politica, contribuisce alla corruzione e al sottogoverno.

Cosa farà l’Istituto Nazionale di Architettura? Qual è il suo programma? Nessuno lo sa. E’ il luogo, il tavolo intorno al quale si incontrano le forze che producono l’architettura: industriali, banchieri, costruttori, ingegneri e architetti, fino ai critici d’arte e agli amatori di architettura. Ci confronteremo, esamineremo in condizioni di parità, e non in quelle di subordinazione tra cliente e architetto, fino a qual punto i vari interessi possono conciliarsi.

Cosa vogliono gli operatori economici? Guadagnare costruendo: è forse illegittimo?

 Cosa vogliono i critici d’arte? Difendere il paesaggio urbano e rurale: è sacrosanto. Ma è mai possibile che, per costruire, occorra rovinare le città o, per difendere i monumenti, sia necessario vietare le costruzioni?

Sull’educazione dei clienti non occorre indugiare. L’Italia è l’unico paese del mondo civile i cui fruitori di architettura non siano oggetto di attenzione, di pressione didattica. Il risultato è che la nostra storia architettonica appare, sempre più, ingemmata di occasioni perdute. Organizzeremo mostre nelle grandi città e in provincia, inviteremo i maggiori architetti stranieri, esporremo esempi di ciò che si fa all’estero nei vari campi, valorizzeremo i progettisti italiani e le loro opere più qualificate, istituiremo premi in ogni regione. Solo un Istituto Nazionale di Architettura può affrontare il compito: è nell’interesse di tutti ampliare e qualificare i consumatori di architettura, la massa di gente che usa i nostri prodotti.

Nel futuro ci troveremo di fronte ad iniziative massicce, a programmi edilizi che investono centinaia e centinaia di ettari. Gli intellettuali, ingegneri e architetti, devono scegliere: porsi ai margini delle realtà, o alla testa delle forze imprenditoriali.

C’è qualcuno che possa tentare da solo? No, il tentativo può essere compiuto unicamente da un Istituto Nazionale di Architettura che nasca su questa ispirazione. Avrà successo? E’ dubbio. Ma è chiaro che da questo Istituto e dalla sua fortuna dipende, in larga misura, l’avvenire dell’architettura, ed anche dell’urbanistica italiana.

Non a caso, tra i colleghi presenti, si contano molti urbanisti. Io credo che il bilancio culturale dell’INU sia decisamente in attivo. Ma se l’efficacia del suo operato non è proporzionale alla passione e all’intelligenza dimostrate dagli urbanisti, ciò dipende dal fatto che, una volta elaborato un piano regolatore, anche il miglio- re dei piani, esso non trova rispondenza nell’iniziativa economica, non riesce a farsi realtà. Un Istituto di Architettura è la necessaria integrazione dell’Istituto di Urbanistica e ne rafforza l’azione.

Tra il piano regolatore e il lavoro degli architetti vi è uno iato, un vuoto che sconfigge il piano e sminuisce il senso e il significato dell’attività architettonica. Questo è l’obiettivo massimo: pianificare la libera iniziativa economica in modo tale da sostanziare la pianificazione urbanistica. Se ciò acca- desse, finalmente cultura, economia e politica troverebbero un punto di convergenza.

Diciamolo francamente; poiché i vari protagonisti della produzione architettonica vivono in compartimenti stagni, contro l’idea di un Istituto Nazionale di Architettura che spezzi gli attuali frazionamenti, e porti il discorso su un altro livello, sono schierati tutti:

  • sono contro i tradizionalisti perché temono che questo Istituto cada nelle mani di una minoranza di architetti moderni, facinorosi, eversivi;
  • sono contrari gli architetti moderni, che non riescono a capire perché chi più si oppone alla cattiva architettura auspichi l’ingresso nell’Istituto di tutti i professionisti, anche dei peggiori;
  • sono contrari gli architetti nel loro insieme, monumentalisti e moderni, perché vedono nella presenza forse soverchiante degli ingegneri edili nell’Istituto una condizione di inferiorità;
  • ma gli ingegneri sono a loro volta contrari, perché sospettano che gli architetti, in un Istituto di Architettura, prevalgano, e già alcuni hanno fatto il calcolo di quanti ingegneri appartengano al comitato promotore rispetto agli architetti;
  • ingegneri e architetti nel loro insieme sono poi contro l’Istituto di Architettura perché non vogliono i costruttori, oppure non vogliono i critici d’arte e meno an- cora gli amatori di architettura, dizione che chiaramente include anche i geometri;
  • i costruttori sono contro. Per varie ragioni: anzitutto, perché non intendono sottoporre agli architetti e agli ingegneri le loro iniziative; poi perché, nel loro stesso ambito, i piccoli temono di essere soffocati dai grandi, e i grandi temono che i piccoli, alleandosi con gli ingegneri e gli architetti, acquistino troppo peso;
  • sono contrari anche i banchieri, gli industriali, gli operatori economici, avendo il vago sentore che, in un Istituto del genere, saranno degli eterni accusati, e perché attribuiscono agli architetti ogni qualità tranne la ragionevolezza.

 Sono contrari tutti, perché un Istituto di Architettura infrange i privilegi di categoria, non fa gli interessi di nessuno,

E concludo. Che cosa avverrà ora? I casi, come sempre, sono due: o questa assemblea conferma che la nostra iniziativa è opportuna e urgente, ed allora nella cronaca e nella storia dell’architettura italiana si leggerà: 1959, ottobre 26: si costituisce l’Istituto Nazionale di Architettura. Oppure, niente.

Diceva Teodoro Herzl, fondatore non di un Istituto, ma di uno Stato: “I sogni non sono poi così diversi dalla realtà, come qualcuno crede; tutte le imprese degli uomini, all’inizio, sono dei sogni”.

Bruno Zevi, Roma 26 ottobre 1959

I Premi(1961/2023)

“I premi IN/Arch, oltre a segnalare, evidentemente, quegli architetti  che hanno compiuto un lavoro di sintesi e di risoluzione finale di tutte le componenti di forza nella componente ultima……cioè nell’opera d’arte, sono rivolti anche a premiare personalità politiche, funzionari di Enti, produttori, critici d’arte, istituti e imprese, cioè l’intera sfera di attività e di interessi, al centro della quale si pone il risultato artistico. E’ poi molto importante che anche i premi che sono destinati agli edifici, premino non solo l’architetto ideatore ma anche il committente e il costruttore…”

Con queste parole Giulio Carlo Argan presentava nel 1961 la prima edizione dei Premi Nazionali IN/Arch che, per molti anni, hanno rivestito un ruolo di grande importanza nel dibattito architettonico italiano.

I premi IN/Arch  1961 al 1972

dal 1989 sino al 1992 , articolati in Premi Nazionali e  Premi Regionali.

Nel 2005 sono stati rilanciati i Premi Nazionali di Architettura IN/Arch-ANCE, fino al 2014.

Dal 2020 con i PREMI IN/ARCHITETTURA 2020 promossi da IN/Arch e ANCE in collaborazione con la piattaforma digitale Archilovers.

Un premio unico in Italia per una peculiarità che lo ha sempre caratterizzato: per la loro natura e la loro struttura i premi IN/Arch prima e i premi IN/Arch-ANCE poi hanno sempre affermato con chiarezza che la qualità di un’architettura non è circoscritta a questioni estetico-linguistiche ma è l’esito di un processo complesso che coinvolge tutti i passaggi della filiera produttiva: domanda, esigenze, programma, norme, risorse, progetto, realizzazione, controllo, gestione, manutenzione.

Di qui la scelta di premiare l’opera e i tre principali protagonisti che sono alla base della sua realizzazione: committente, progettista, costruttore.

I Premi, quindi, anche come occasione di confronto e dialogo tra mondo imprenditoriale e mondo della progettazione.

“..per questo motivo il sistema dei premi è anzitutto un sistema di denuncia, effettuato attraverso la messa in evidenza delle interrelazioni a monte, a livello di cause. Per questo motivo i premi sono una dizione da chiarire: non si tratta di premiare il meglio, se mai di denunciare il contesto attraverso le eccezioni. Per questo motivo non diciamo che stiamo distribuendo dei premi: diciamo che stiamo tracciando il panorama della condizione italiana attraverso le sue architetture.:”

Queste parole usate da Vincenzo Cabianca per presentare l’edizione del 1966 dei Premi IN/Arch aiutano a cogliere un ulteriore aspetto del nuovo ciclo di Premi.

In ogni edizione la selezione delle candidature da sottoporre alle valutazioni della Giuria è stata   un ’ occasione per effettuare un vero e proprio monitoraggio– seppur parziale e certamente non esaustivo – sullo stato dell’architettura italiana, per individuare altresì opere di qualità anche poco conosciute perché non inserite nel circuito mediatico delle riviste di architettura, spesso pigramente adagiate sui soliti nomi dello star system.

I Presidenti In/Architettura

Sen. Emilio Battista

On. Ugo La Malfa

Dott. Aurelio Peccei

Prof. Paolo Savona

Ing. Paolo Baratta

Prof. Domenico De Masi

Ing. Adolfo Guzzini

Ing. Andrea Margaritelli

Fin qui la storia e la necessità di tenere viva l´emozione con cui questi uomini, così diversi hanno voluto portare fino a noi queste istanze estetiche, sociali, politiche ed economiche, indagando su uno dei processi più complicati dell´ umanità la produzione dei luoghi, attraverso la costruzione dell’architettura, come patrimonio comune e come “profezia” come indicava Zevi.

Fin dall’atto della sua fondazione che ho voluto riprendere negli estratti più significativi, la ricerca e la salvaguardia diffusa della modernità appaiono irrinunciabili, e nonostante le complicazioni che nel corso di questi sessanta anni si sono succedute, il Premio dell´ Istituto nazionale di architettura rappresenta un passaggio prodromico nell’indagine sui territori variegati della penisola.

Più che un premio è sempre stata considerata una segnalazione di eccezioni nelle diverse aree geografiche e dunque per questo motivo elemento determinate per capire lo stato di salute diffusa dell’architettura italiana realizzata, nelle diverse fasi dal 1961 ad oggi.

Questo ci ha permesso di valutare nel tempo le fasi che dal secondo dopoguerra ad oggi si sono susseguite, a prescindere dagli stili, dalle mode e dalla capacità dei progettisti di utilizzare sempre più massicciamente la comunicazione.

È per altro un fondamento etico, sociale e professionale dare il giusto rilievo anche a chi non ha sempre accesso ai nuovi sistemi multimediali, come è stato nel tempo e nello spirito dell´ indimenticato fondatore.

Ovviamente esistono altri momenti e occasioni di promozione della professione e della cultura del progetto ma qui si avverte la fondamentale empatia tra i soggetti della pratica architettonica: cliente, impresa, progettista, uniti da un comune sentire e da un risultato che rappresenta una crescita generalizzata per gli attori che concorrono ad ogni realizzazione.

Uno spirito che si è conservato nonostante i cambiamenti, le pause e le varie interruzioni e che è un paradigma intellettuale condiviso e condivisibile, che aiuta fortemente la promozione dell’architettura, che stimola l’amore e la passione per tutte le infinite forme di bellezza siano esse nelle grandi città o nei borghi più sperduti.

Un` indagine antropologica che ha sempre avuto l´ ambizione di portare alla luce le qualità migliori del disegno e dell’ingegno italiani, spostando l’attenzione dagli addetti ai lavori, ai cittadini tutti, alle istituzioni a tutti gli ambiti allargati della cultura, che vede nello sviluppo del progetto uno dei punti più alti di ogni civiltà e di ogni tempo.

L´ architettura seguendo l’insegnamento di Zevi deve condurre ad una “felicità sociale”, perché nasce per dare ad ogni periodo storico,(è stato così nei secoli e nei millenni), lo specchio dove ogni cittadino può condividere, l’identità e l’appartenenza a un territorio, variegato e pieno di magnifici stupori.

Questo è un progetto (e un programma) che ambisce ad essere molto di più di un semplice Istituto, per diventare la cassa di risonanza della nostra perenne e indissolubile volontà di bellezza.


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