Si chiama Alberni tower l’ultimo grande progetto by Kengo Kuma: un grattacielo in fase di completamento nella città campione di sostenibilità del Canada.
La torre, con vista su uno dei parchi cittadini più estesi dell’intera nazione, è destinata ad ospitare ben 181 unità residenziali con aperture su ampi patii, spazi commerciali e un ristorante stellato.
Alberni solletica un curioso gioco linguistico: togliendo la n ci troviamo di fronte alla sorpresa di leggere Alberi. Forse perché è nelle corde di questo raffinato intellettuale dell’architettura giapponese progettare silhouette arboree, leggere e flessuose, accarezzate dal vento ed illuminate dal sole?
Nella realtà, Alberni Street prende il nome dal colonnello spagnolo Pedro de Alberni – membro della spedizione nel Nord Pacifico capitanata dal navigatore ed esploratore Francisco de Eliza nel 1790- ingiustamente accusato di tradimento e detenuto sull’isola di Vancouver. Si deve a lui l’introduzione, in questo territorio selvaggio, del giardinaggio e della prima mucca.
Tutto ciò accade in una delle metropoli mondiali dall’anima più verde, patria di Greenpeace, dove il Greenest City Action Plan è applicato da oltre un decennio e il futuro prossimo è denso di impegni e ambiziosi progetti raccolti sotto l’ombrello del Climate Emergency Response (veicoli a zero emissioni, comunità pedonali, ecosistemi locali e molto altro).
Il mesmerico incontro sotto il cielo della filosofia contestualista esprime l’intima vocazione di Kuma per un’architettura calata nel proprio contesto, all’interno di una progettazione urbana attenta all’ambiente, in particolare umano, nella sua molteplicità di scale. Un complesso ecosistema vivente raccontato attraverso la poesia degli haiku giapponesi.
Tra le sue opere di maggior successo potremmo citare la Bamboo House in Cina, sotto la Grande Muraglia, la Lotus House in Giappone, ma lavora anche in Francia e in Italia (con il progetto per la Stazione di Val di Susa). Una coerente esistenza professionale, che lo porta ad incarnare all’età di oltre 60 anni, ciò che Frank Lloyd Wright identificava con lo spirito intimo dell’architettura giapponese: «dove tutto è natura».
Il terreno di sfida che avvicina queste due grandi personalità appartenenti ad epoche diverse, sembra essere l’integrazione tra abitazione e natura. Nasce qui la curiosità e passione per quella tecnica costruttiva a base di asticelle di legno shingle-style, che sembra liberamente ispirata all’architettura giapponese, come lo stesso Wright annota nella sua autobiografia:
“Avevo infine trovato un Paese sulla terra in cui la semplicità, in quanto ‘naturale’, regna suprema. I pavimenti di queste dimore giapponesi sono tutti costruiti per viverci: per dormirci, per inginocchiarvisi e mangiare, su soffici stuoie di seta, e meditare. Pavimenti sui quali suonare il flauto, o sui quali amare”.*
Kengo Kuma ha saputo scavare, fare ricerca e sperimentare con materiali ancestrali così come con tecniche tradizionali del suo paese, quel paziente saper fare manuale/artigianale applicato a progetti diversi per essenza e scala. La scelta della materia utilizzata sembra accompagnare spontaneamente la sua autentica vocazione costruttiva. Da vero maestro non cede agli eccessivi rigorismi del naturale a tutti i costi, né alle fantasie tecnologiche più spinte, ma rimane nel rispetto dell’equilibrio e dell’armonia dove passato e presente (a volte futuro) possono e sanno convivere. Amante della materia legno nella sua autentica sostanza, il nobile corpo ligneo si trova modellato con devozione in molte sue opere.
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La torre di 43 piani, un volume stratificato che sembra assecondare il movimento di leggera torisione, con balconi profondi che incidono la facciata, trasuda spirito giapponese. Anche se si tratta della prima grande opera in Nord America dell’architetto giapponese – in collaborazione con il developper del lusso “concettuale” Westbank – riverbera il senso spaziale del Sol Levante. Un’aura poetica avvolge l’intero progetto destinato ad essere svelato nel corso di quest’anno. L’atmosfera è parte integrante del soggetto architettonico, l’occhio del visitatore può essere colto da una sorta di sindrome di Stendhal ammirando la costruzione nel suo diorama di prospettive, il vuoto stesso è pensato, progettato, misurato.
L’intero corpo residenziale, incluse le prestigiose penthouse, si vestono della diafana bellezza del rovere. Così come avviene per la realizzazione di un capo sartoriale, il primo passo è la selezione della migliore materia prima, che viene poi drappeggiata in tessuto ligneo illuminato dai colori Michelangelo. La palette varia dalle gradazioni tenui a quelle più intense. Listone Giordano conosce in profondità essenza e personalità di ogni sua creazione.
Alla base dell’edificio, proprio lì ove le radici affondano nel terreno, è prevista la messa a dimora di una foresta di bambù e muschio, una personale trasposizione della filosofia del giardino giapponese, protetta da alte cupole intersecanti. “Il design celebra la presenza della natura a Vancouver: in questo progetto, i dettagli minimi del vetro e il paesaggio stratificato sfocano i confini convenzionali per migliorare il senso di continuità”, ha raccontato l’architetto presentando il progetto agli stakeholder.
Il progetto ha come baricentro la sensazione di movimento di un volume dinamico in costante cambiamento, capace di assumere volti diversi in base all’angolazione da cui lo si guarda. Questa volta, parte della facciata rivestita in alluminio anodizzato e vetro a copertura delle sezioni concave della costruzione, catturerà riflessi di cielo e porzioni di edifici adiacenti.
La scultorea silhouette del grattacielo è modellata lavorando sulla materia per sottrazione, apportando il vuoto nel pieno, con un rimando dicotomico, che risale quasi per l’intera altezza del volume architettonico, scavato simmetricamente dal susseguirsi armonioso di terrazze e patii interconnessi da ponti di legno.
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Spettacolare la lobby e area accoglienza della reception, secondo il masterplan presentato dal Maestro, dove troneggia un pianoforte Fazioli unico nel suo genere. Lo strumento, disegnato dallo stesso Kuma, sarà circondato da una radura, giochi d’acqua e delimitato da sipari costruiti da intricati tessuti arborei (reminiscenza dell’intreccio dei cesti in bambù), illuminati da effetti di luce cangiante nel corso della giornata e nello scorrere delle stagioni. L’intreccio vegetale, tipico di alcune costruzioni archetipe, viene riproposto in chiave contemporanea attraverso inserti che rievocano la tecnica ad incastro Jiigoku Gumi – che consiste nell’incrociare elementi in legno verticali e trasversali della stessa lunghezza al fine di creare un reticolo – senza l’utilizzo di colle e chiodi.
Le infinite potenzialità del legno sono state esplorate dall’architetto nel corso dei decenni, applicando questa materia in molte sue opere con sorprendenti effetti ad alto impatto visivo; sia nella veste di articolate strutture che, delicatamente complicati, rivestimenti (come la costruzione Cidori dello showroom Sunny Hills a Tokyo, dove ha fondato lo studio KKAA negli anni novanta).
Ho sempre voluto avere un progetto in Canada per la sua vicinanza alla natura” – ha dichiarato l’architetto -“Tipologicamente, questo è un progetto su larga scala in Nord America, un sogno per qualsiasi architetto straniero. Abbiamo realizzato torri, ma non su questa scala e livello di dettaglio.”
Lì dove la torre tocca terra prende vita una coppia di cupole intersecate che cingono il suolo, così la sagoma curva si delinea attraverso due profili rientranti, creando il trompe-l’œil di archi sospesi.
Un mirabolante impatto visivo a tutto vantaggio di un progetto di design che evoca un flessuoso carattere di connettività, leggerezza, trasparenza e armonia sfidando il peso della materia in un funambolico esercizio strutturalista dove le parti sospese vengono controbilanciate da quelle in aggetto dei piani inferiori.
In soli tre versi nei poemi haiku si libra un’esplosione di immagini naturali, infinitesimali dettagli al mutare delle stagioni; così ritroviamo qui, in questa poetica sintesi architettonica, la capacità di imprimere la rotazione di richiami tra pieno-vuoto, luce-ombra, materia-forma, natura-artefatto, in una creazione specchio dell’antica arte giapponese.
Il silenzio
penetra nella roccia
un canto di cicaleBashō Matsuo
* Una autobiografia di Wright, Frank L., Crippa, M. A., Loffi Randolin, M., Oddera
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