“La Torre Bianca vince il premio in/architettura 2020 per la nuova costruzione“
Committente: Allegra Figus e Lorenzo Grifantini
Progettista: Lorenzo Grifantini
Impresa: Das Impresit e Impresa Ginevra srl di Pier Paolo Caputo
A volte un premio d’architettura serve a definire e riconoscere i caratteri che danno qualità agli spazi dell’abitare.
A volte consente di monitorare la produzione architettonica in un territorio, valutandone espressioni, tendenze e linee di ricerca.
A volte un premio può servire anche a rafforzare una tesi.
Ad esempio: si può sostenere il diritto dell’architettura contemporanea di esprimersi in contesti storici, di insediarsi in porzioni di città consolidata, contribuendo con la sua presenza ad innestare processi di rigenerazione urbana, senza negare o stravolgere i valori identitari di un luogo?
La “Torre Bianca” – opera vincitrice del premio In/Architettura 2020, promosso da in/arch e ANCE, nella categoria “nuove costruzioni” – offre, a mio parere, una risposta affermativa al quesito. Nei nostri centri storici “non basta – citando Bruno Zevi – preoccuparsi di salvare l’antico; occorre anche difendere il nuovo. Le due operazioni sono culturalmente connesse”.
Questo manufatto di-mostra, appunto – l’importanza del “nuovo” anche in ambiti storici; un nuovo che si esprime con opere di qualità, che possono essere realizzate non solo nei grandi agglomerati urbani ma anche in piccoli centri periferici.
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La Torre Bianca è una residenza privata di vacanza per la famiglia del progettista: un caso singolare in cui committente e progettista coincidono.
Progettata dall’architetto Lorenzo Grifantini – dello studio “Dos architects”con sede a Londra – in un piccolo comune del Salento, Gagliano del Capo, a metà strada tra la costa Adriatica e quella Ionica, nel parco naturale regionale Costa Otranto-Santa Maria di Leuca.
La casa è costruita all’interno di un vuoto urbano a pochi passi dalla piazza del paese e dalla sua chiesa principale, San Rocco, sospesa fra il limitrofo centro storico del paese e il sentiero del Ciolo, storico percorso di campagna che sfocia in un meraviglioso fiordo.
L’edificio mostra una straordinaria capacità di instaurare un dialogo intelligente con il contesto in cui si colloca, senza cedere alla tentazione di facili mimetismi o di banali contestualismi, rifuggendo, per usare ancora un’espressione di Bruno Zevi, l’imbroglio del «classico modernizzato» o del «moderno ambientato»,
Il protagonista principale di questa architettura è il vuoto: sono la corte centrale e le corti accessorie distribuite lungo il confine del lotto a caratterizzare lo spazio ed i modi di abitare questa casa.
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Una sorta di piazza domestica, una sequenza di piccoli slarghi intorno ai quali, reinterpretando una consolidata tradizione tipologica dell’architettura rurale pugliese, si articolano una serie di volumi semplici e rigorosi, distribuiti in un lecorbuseriano “gioco sapiente, corretto e magnifico” sotto la luce netta e pura del Salento.
Tra questi volumi spicca una torre alta 12 metri ed articolata su tre piani, che ospita alcune camere da letto: una struttura che “alza” lo sguardo verso il mare attraverso piccole aperture, dialoga con la torre campanaria della chiesa di San Rocco e richiama le masserie fortificate di questi territori, in cui la torre di difesa rappresentava l’embrione intorno al quale si sviluppavano gli altri corpi di fabbrica per le funzioni residenziali e produttive.
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Gli spazi interni, sapientemente disegnati e arredati dalla moglie di Grifantini, Allegra Figus, diventano un naturale proseguimento degli spazi esterni, grazie anche a grandi superfici vetrate a scomparsa che smaterializzano il confine tra i due ambiti. Si pone così, in questa architettura, un continuo rimando tra – parafrasando Cesare Brandi – l’internità dell’esterno e l’esternità dell’interno.
Anche gli aspetti distributivi della residenza rispondono alla logica della centralità del “vuoto” della corte: i percorsi di collegamento tra la zona giorno e la zona notte non sono concepiti come corridoi chiusi ma attraversano la corte protetti da una leggera struttura in ferro e bamboo.
Resta infine da sottolineare la particolare attenzione posta al tema della ventilazione naturale degli ambienti ottenuta non con artifici tecnologici giustapposti ma attraverso la stessa struttura architettonica dell’edificio: le altezze interne particolarmente accentuate per favorire “l’effetto camino”, la sopraelevazione di un metro dal piano di campagna, lo spessore delle murature.
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