La Biennale di Venezia ha appena comunicato che la XVII Mostra Internazionale di Architettura, per cause di forza maggiore legate all’emergenza Covid19, è rimandata di un anno, al maggio 2021. Anche se la decisione è comprensibile, per le complesse esigenze organizzative della mostra più importante al mondo per la nostra disciplina, non è lo stesso una buona notizia.

Biennale di Venezia
Ingresso Arsenale di Venezia

L’architettura, anche nella sua espressione progettuale “in progress”, nel suo farsi immagine e cultura attraverso la sua rappresentazione, va vista ed esperita con tutti i sensi, e non solo la vista o al massimo l’udito, come consentito oggi dalle infinite tecniche multimediali e popolarissime, siano esse Zoomate, Googlate o altro.

Proprio la capacità di dare a un esercito di visitatori – quasi 300.000 nel 2018 – questa esperienza multisensoriale, ha fatto della Biennale di Architettura di Venezia un luogo fisico e mentale unico, insostituibile: dove al piacere di ritrovarsi con persone e idee, si unisce quello di un’opportunità di aggiornamento e ragionamento sul progetto globale di edifici, città e territori, impossibile anche sul più fantascientifico sito o app web.

Così, se da un lato è condivisibile la scelta di Biennale di non tentare surrogate avventure online (improbabili considerata la pletora di incontri in diretta o in differita cui dovrebbe sottoporsi ormai ogni giorno il vasto pubblico del progetto) dall’altro intimorisce la prospettiva di un futuro – o meglio, di quel Presente Continuo che l’ha sostituito – in cui ad ogni nuovo virus che si diffonda, possa vacillare la possibilità dell’incontro pubblico sociale reale, il fondamento stesso della cultura e civiltà umana.

Se c’è una morale positiva nell’angoscioso lockdown che ha tenuto ferma per tre mesi l’Italia, i suoi cittadini e quelli di molte altre nazioni (non tutte e non del tutto, per la verità) questa sta proprio nella riconferma che senza incontro personale, fisico, l’esistenza individuale e collettiva perde di significato, di sostanza: e solo i legami più forti, personali, professionali o sentimentali, resistono al venir meno dell’Altro reale, in carne e ossa, che poi siamo, psicologicamente, noi stessi.

Non si può certo fare una colpa di questa decisione, per molti versi obbligata, alla Biennale di Venezia, al suo nuovissimo Presidente Cicutto, ad Hashim Sarkis, curatore della mostra prevista per il 2020 e ora passata al 2021 con tutte le incognite del caso. Ma le istituzioni centrali dello Stato preposte avrebbero potuto contrastare, se non prevedere, un’emergenza simile, mettendo subito in campo azioni di protezione del progetto Biennale? Il lockdown di strutture e persone poteva essere meno ciecamente restrittivo?

Per la mostra di architettura più importante del mondo (e va detto, anche molto redditizia per la Biennale) si sarebbe potuta fare un’eccezione controllata e attivare tutte le risorse, organizzative ed economiche, necessarie a raggiungere l’obiettivo del primo rinvio, il settembre 2020?

Tutte domande legittime, ma che per ora, e forse per molto ancora, non hanno una risposta, se non nelle congetture individuali o nell’indignazione – questa sì comprensibile e necessaria – verso una politica miope, che nel Paese che dalla cultura è nato e si nutre da millenni, si ostina a considerarla, nella migliore delle ipotesi, come una ruota di scorta dell’economia e della società.

Sicuramente questa emergenza nell’emergenza (peraltro non ancora conclusa, ma solo sfumata e incerta negli sviluppi) deve essere di avviso, anzi di allerta alla politica e ai cittadini, per dotare la Biennale di Venezia, e con essa tante altre importantissime istituzioni culturali che sostengono l’Italia e la sua immagine nel mondo, di nuove, reali, immediate, controllate e rinnovate risorse, non di elemosine.

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Perché ci si può trastullare con l’idea e le immagini (magari fake) di una Venezia deserta ma con pescioni e pesciolini che nuotano nell’acqua quasi tersa del Bacino Orseolo. Si può essere esaltati da un incontro online tra decine, centinaia di persone riunite ad ascoltare ognuna nel suo soggiorno i soliti noti, che pontificano sui destini dell’architettura e del mondo. Si può – e si deve, certo – utilizzare con tutte le sue potenzialità l’Information Technology per mantenere comunque vivi i legami necessari all’esistenza, anche nelle ansie del Presente Continuo.

Ma nessuna miracolosa app, o smartphone o invenzione a venire, potrà mai sostituire l’incontrarsi dello sguardo intellettuale, o semplicemente estetico e perfino epicureo, del/della progettista, o semplice spettatore/spettatrice dell’architettura, con il suo mondo, rinnovato e risorgente dalle ceneri di un biennio, lungo i viali ombreggiati dei Giardini o nell’emozionante, inarrivabile grandezza di un Arsenale antico eppure sempre nuovissimo: con tutti i suoi 800 anni, ben portati.


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