La ragione persistente del sogno di Le Corbusier, a sessant’anni dalla morte.

“Un futuro che non susciti l’attesa e la speranza finisce con il rivelarsi privo di senso perché, come aveva notato anche Heidegger, priva l’uomo di una delle sue funzioni fondamentali, che è quella di progettare” (A.Quarta)

“I due impulsi che formano il fondamento ontologico della vita: l’Apollineo e il Dionisiaco. La tensione alla forma perfetta il primo, la forza vitale, il senso caotico del divenire il secondo”.

Premessa

“L’arcipelago Le Corbusier” è formato da troppe isole note e da molte ancora da scoprire, a sessant’anni dalla morte, la sua inspiegabile parabola si configura sempre più luminosa per la profondità della ricerca, per l’intuizione, per insopprimibile necessità di far dialogare tutte le arti e tutte le scienze insieme.

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E’ il ritratto di un “Homme cultivé” , un “homme de lettres” quell’uomo colto, coltivato per dirla alla Pierre Vago, così distante e così lontana dalla nostra impolverata e misera quotidianità contemporanea, come si evince dalla professione indicata nella  sua carta d’identità.

Le Corbusier

Le Corbusier rappresenta con Picasso, Stockhausen, Einstein, Sartre e Freud, ma anche Joyce e Proust, l’impalcatura della nostra dispersiva ma persistente “volontà di potenza” che, oggi più che mai, spinge sotto le ceneri del fallimento di tutte le teorie raffazzonate e sequenziali successive che, non hanno mai scalfito tanta “possanza”.

Sotto quella cenere il fuoco arde ancora, e ancora arderà per molto tempo perché l’ultimo “Uomo Rinascimentale” è ancora in buona salute e i suoi detrattori meno.

Per analizzarlo come un ”insetto” misterioso e sconosciuto, userò le parole che vivificano il suo lessico immortale, una sintesi eponima, un omaggio, ma soprattutto una necessità.

Senza nessuna volontà di selezionare capitoli prioritari, argomenti o ambiti, questa “versione Le Corbusier” è un metodo attuale e immortale che deve tornare ad essere il “libro dei sacramenti laici” della formazione dell’Architetto, di oggi, di  domani e di sempre.

L’architettura, che è l’espressione dello spirito di un’epoca ha lanciato un ultimatum.  Pensate che i tempi non siano ancora maturi? Che terribili suoni, che squarci, che valanghe devono assalire le vostre orecchie, dunque, prima che sentano? Il tuono che adesso risuona per il mondo riempie il cuore del codardo di paura, e il cuore dell’impavido di gioia(….) E a voi, indolenti ricercatori del piacere e delle bugie, voi nelle vostre nicchie, conservatori, io dico: vedrò il necessario compito realizzato. Nel giorno in cui la società contemporanea, oggi così malata, sarà diventata propriamente conscia che solo l’architettura e l’urbanistica possono offrire la giusta cura alle sue malattie, allora verrà il giorno in cui la grande macchina sarà messa in moto.

Le Corbusier

Le Corbusier: viaggio, formazione, studi e Studio

Nel viaggio, nei viaggi che hanno occupato gran parte della vita di Le Corbusier si raggruma tutto lo spirito così umano ma divino di Odisseo, forse perché l’azione reiterata in mesi e anni diviene un’”epica della formazione e della conoscenza”, molto prima di varcare la soglia della Scuola di Belle Arti, e sempre immerso in una piacevole sensazione di meraviglia.

Nei Cahier d’Orient e i tutti gli altri quaderni, il disegno, compulsivo e necessario diventa il viatico per la professione, lui ancora non lo sa, ma di fatto sta re-inventando la professione di Architetto, osservando monumenti antichi, e luoghi che nella sua fervida immaginazione scientifica diventeranno i “Luoghi del Secolo Nuovo”, prima di passare da Auguste Perret o da Peter Beheren, scrivono nel cemento armato l’impronta sicura per il futuro.

Trovare sempre quella meraviglia è l’energia che lo sostiene nella sua frenetica attività, e non è neppure arrivato a Parigi, ancora tempo ci vorrà per entrare al n.35 di Rue des Sevres, corre in automobile, a cavallo, in treno, in nave e anche sull’ultimo Zeppelin, sempre verso qualche traguardo o qualche indizio che gli consenta di cominciare la più grande evoluzione che il mondo della produzione del progetto abbia mai vissuto.

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Può ben essere che ciò che abbiamo capito fin qui riguardo l’architettura e ciò che stiamo cominciando a capire di tecnologia siano discipline incompatibili. L’architetto che si prefigge di fondersi con la tecnologia sa che si troverà in una compagnia sicura, e che, per continuare, egli potrebbe dover emulare i futuristi e abbandonare il suo intero bagaglio culturale, incluse le vesti professionali attraverso le quali è riconosciuto come architetto. Se, dall’altra parte, decide di farlo, potrebbe scoprire  che una cultura tecnologica ha deciso di andare avanti senza di lui. E’ una scelta che le grandi figure degli anni Venti non riuscirono a compiere fino a che non lo fecero per caso, ma è il tipo di caso a cui l’architettura non può sopravvivere una seconda volta.

Reyner Banham. L’architettura della prima età della macchina

Ecco tornare tra le pieghe della memoria, la gloria di Vitruvio e la capacità costruttiva di Palladio, ma il nostro Corvo, non ancora Le Corbusier, vuole molto di più, vuole piegare la storia ai suoi desideri e convincere l’uomo che la sua Architettura rende liberi, felici e migliori. Capirete bene perché non ha bisogno di facoltà, di Accademie, o altre amenità mortali.

Formazione, studio e studi tutto è compresso nella sua attività poliedrica costante che farà di questo antico discendente dei Catari, un umanista medievale e immaginifico con la testa di Giotto e Piero ma con lo sguardo di Verne, e Wells, astronauta e argonauta al contempo, antichissimo e vero futurista (osservate bene le assonometrie, che scaturiscono da Chiattone e da Sant’Elia).

La “Rue des Sevres, a Parigi si avvicina mentre migliaia di pagine spiegazzate compongono il suo immenso “disco rigido”, la sua memoria ha già un andamento pericoloso, dovrà passare tutta la sua lunga vita professionale per far accettare idee e cambiamenti, innovazioni antropologiche e teorie.

Intanto scrive, scrive e disegna, progetta poco, a La Chaux de Fonds, ma già si intuisce la sua immensa capacità di fascinazione “leggi alla voce Josephine Backer che per tre giorni lo rapirà sul piroscafo Giulio Cesare, verso Rio de Janeiro, tratte lunghe, infinite, come erano i viaggi “d’antan”, tanta avventura, ma qui il viaggio è quello di un uomo di 42 anni famoso in tutto il mondo, ma quella passione per spostarsi nel pianeta non lo abbandonerà mai.

Se il “viaggio in oriente” del 1911, produce quasi cinquemila disegni, provate ad immaginare quanto tempo ci vorrebbe per analizzare le fonti, gli spunti e le relazioni tra antico e moderno, e gli sforzi di L’Eplattenier suo maestro e sodale all’Ecole de Beaux Artes, non possono trattenerlo. Le Corbusier non è ancora Corbu ma si muove come tale e rifiuta “il regionalismo” della scuola svizzera e parte ancora una volta ma questa volta non tornerà mai più sui suoi passi.

La triangolazione Berlino, Vienna, Parigi, finisce, e Le Corbusier ha scelto per sempre, resterà per molti decenni incatenato alla sua amata Ville Lumiere.

Le Corbusier: incontri, città, persone

L’humus culturale e sociale di Parigi lo affascina e lo incanta, anche perché capisce subito, siamo dentro la prima guerra mondiale, che otterrà quello che ha sempre desiderato, dopo l’infinito apprendistato della svolta tra i due secoli, La Chaux de Fonds è lontana e sicuramente dimenticata con il suo retaggio di quel sano provincialismo elvetico, calvinista. Ora è arrivato il momento di correre sempre più in fretta verso la luce, verso le luci della ribalta.

L’architettura è il gioco sapiente mirabile e corretto dei volumi assemblati sotto la luce”

Le Corbusier

L’elenco degli incontri e delle collaborazioni intellettuali, sociali e materiali è impressionante, a partire da Amedeè Ozenfant, critico d’arte, al cugino Janneret, ma la predisposizione di Le Corbusier è verso l’alta società parigina, sempre più desiderosa di mettersi in mostra attraverso attività che spaziano dal Collezionismo d’arte e al Mecenatismo verso le forma più ardite di creatività.

Tra molti ricordiamo il Visconte di Noailles, grande amatore delle avanguardie e finanziatore dei film surrealisti, come l’Age d’or, di Bunuel/Dalì, suo cliente potenziale come altri banchieri (Charles de Bastegui), per i quali costruirà i primi episodi rivoluzionari della sua nuova scrittura razionalista, perle concatenate di un diadema di meravigliose gemme.

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Nei primi anni di soggiorno parigino si consolida anche la configurazione e l’organizzazione seminale dello studio che approderà al 35 in rue de Sevres, indirizzo mitologico della storia delle arti del Novecento, dal 1922, alla morte.

Nella “città delle luci” l’atmosfera è caotica e sembra perfetta per impiantare nuove teorie, nuove riviste, nuovi progetti, nuove tendenze, non dimentichiamoci mai che Le Corbusier si definisce anche pittore e certamente non dilettante perché dipingerà per tutta la vita e utilizzerà la scultura e altre forme plastiche come i bassorilievi presenti in molte sue opere successive, vere espansioni concettuali della sua attività principale.

Le Corbusier: piccolo e grande, medio e gigantesco

Da sempre Le Corbusier ha avuto l’ambizione di modellare gli spazi minimi dell’architettura abitativa ma spingendosi ad immaginare costantemente forme di spazio urbano per il futuro, la sua attività di urbanista non è meno importante di quella di architetto.

Da una parte dunque la necessità già profonda di costruire l’unità minima per abitare, a partire dalle sperimentazioni della “maison dom-ino”, legata allo studio profondo dei grandi innovatori dell’inizio del novecento, da Beherens a Perret ,ma il suo tragitto ideale lo conduce ad una serie di varianti della Ville Industrielle di Tony Garnier.

La città è teorica come la Villa e geometricamente essenziale, gli anni venti rappresentano la sperimentazione del catalogo delle funzioni, in tutte le possibili varianti delle forme.

E’ una sorta di sacralità geometrica, dove l’impianto matematico e fisico conduce verso l’approdo teorico: una macchina per abitare, una città per vivere, ma niente sarà più come prima, perché ville e città vivono nella loro profonda contemporaneità, come se il passato fosse argomento archiviato, dal confronto col nuovo programma progettuale.

Dunque grande o piccolo hanno la medesima valenza, sono facce della stessa medaglia in una continua costruzione di un paesaggio artificiale che avrà un’influenza unica nella storia dell’architettura di tutti i tempi, perché renderà superata, passata la parabola di quanti lo hanno preceduto, o i progettisti coevi incapaci o terrorizzati dall’idea di imitarlo.

Il suo enorme lavoro determinerà l’acquisizione di una nuova coscienza modernista, funzionalista e anche purista che si rivolgerà ai suoi colleghi, ai committenti ed agli utenti finali, cambia l’idea stessa di vivere, nasce un mondo nuovo, attraverso questa rivoluzione pacifica ed ideale.

Le Corbusier: Il mio terreno d’azione è il mondo, la nascita dell’archi-star

Le Corbusier fin da giovanissimo ha come punto di riferimento il mondo intero, è il primo vero internazionalista dello stile e nell’approccio progettuale, incurante delle latitudini, e delle considerazioni storiche dei contesti geopolitici, il suo spazio d’azione concettuale e materiale è illimitato.

Il programma professionale è molto ambizioso fin dall’inizio, ma lui saprà costruire le condizioni generali per fare di se e del suo lavoro un punto costante di riferimento, attraverso l’incessante attività di scrittura, di disegno, di proposta, di incontri, di conferenze che lo renderanno a quaranta anni uno degli intellettuali più famosi del pianeta, conosciuto, stimato ma spesso denigrato in ogni punto del globo.

Forse è con Le Corbusier che nasce la figura dell’archi-star planetaria, un uomo e un architetto così influente da superare il recinto delle proprie frenetiche attività, e lo studio nato dai due fondatori, diventa un grande centro di incontri, di discussioni, ma sempre una bottega rinascimentale dove il Maestro forgerà molte generazioni al Verbo della purezza e della bellezza dell’era contemporanea.

Il tempo non trascorre sulla pelle delle sue architetture, anzi ne manifesta nuove viste, particolari, intuizioni che inizialmente non si erano potute metabolizzare, proprio perché visioni.

“È un peccato dover mettere “razionale” da un lato della barricata per poter lasciare a colpo sicuro “l’accademico” dall’altra parte. Si dice anche “funzionale”. Per me, il termine “architettura” ha qualche cosa di più magico che non il razionale o il funzionale, qualcosa che domina, che predomina, che impone.”

Le Corbusier

Le guerre, la fama

Le Corbusier attraversa due guerre devastanti sfiorandone tragedie e profondi disagi, ma il suo status di cittadino svizzero (sempre detestato, fino alla nuova cittadinanza) lo rende immune dalle tante limitazioni, perché durante la prima, viaggia lontano dai pericoli e dopo la seconda ha un ruolo importante e istituzionale nella ricostruzione.

Questo atteggiamento non deve dare adito a considerazioni sulla notoria insensibilità di Le Corbusier, rispetto ai massacri planetari delle due guerre (oltre alle polemiche molto postume sulla sua adesione ai regimi dittatoriali), ma ci fa intuire quale fosse l’atteggiamento generale rispetto ai contesti storici, l’Architetto ha un ruolo fondamentale e deve attivare ogni potenziale attività per conseguire i risultati che si è prefisso.

Questa è una lezione certamente cinica ma che focalizza il voler sviluppare collaborazioni e iniziative che gli hanno creato problemi politici, soprattutto in fase di revisionismo storico, Le Corbusier è stato accusato di trasversalismo, per aver cercato di vendere le sue visioni a Stalin, o Mussolini, senza la minima riserva etica.

Certamente il suo pensiero politico non era aderente alle dittature e ai dittatori cui si rivolge cinicamente (come accade a molte star contemporanee) per realizzare le sue città, anzi Stalin lo riceve, Mussolini no.

Ma è tra le due tragedie del novecento che la sua fama raggiunge l’apice inaspettato.

E’ invitato a coordinare progetti internazionali, ha fondato i CIAM (congressi internazionali di Architettura moderna), ha già scritto decine di libri (di successo) e tantissimi articoli sui quotidiani più importanti di Francia, committenti da ogni parte lo chiamano, di fatto il suo carattere spesso conflittuale e sprezzante non si può dire che non gli abbia dato il tanto agognato successo.

Xenakis, la musica, e le arti plastiche

C’è più nell’uomo e la musica che nella matematica, ma la musica comprende tutto ciò che è nella matematica. Questa mi è servita a formulare meglio i miei pensieri e le mie intuizioni e a dominare i dati tecnici. I dati matematici in se stessi non possono esprimere qualcosa, ma possono essere utilizzati per esprimere, a condizione che l’artista discerna nel loro meccanismo una «teleologia», diciamo una «promessa» artistica.

Yannis Xenakis

Yannis Xenakis, nasce in Romania da una famiglia greca che quasi subito si trasferisce in patria, la sua formazione al Politecnico di Atene non lo allontana dalla necessità di fare pericolose attività nella resistenza greca contro il nazismo che gli causeranno una grave malformazione all’occhio sinistro per lo scoppio di una granata.

La fuga a Parigi e l’incontro con Le Corbusier sono folgoranti, entrambi amano la musica anche se Xenakis dopo aver abbandonato la sua promettente carriera da architetto diventerà uno dei più grandi compositori del ‘900.

Lo snodo è il Padiglione Philips dell’esposizione universale di Bruxelles, Xenakis e Le Corbusier concepiscono uno spazio a forma di paraboloide iperbolico di inarrivabile modernità che sorprende ancora di più all’interno, con l’istallazione di elementi sonori di diffusione e proiezione.

Per il progetto Xenakis, compone un’opera per percussioni varie dal titolo Metastaseis (Metastasi).

E’ inutile dire che questa architettura di rara modernità avrà un successo mondiale e darà ai due autori ancora maggior fama, anche se il compositore abbandonerà lo studio di Rue de Sevres, per i soliti contrasti col maestro.

Il progetto di Bruxelles ha un importanza eponima nello sviluppo degli spazi espositivi perché per la prima volta fonde arti plastiche, architettura, geometria , musica e elementi ed effetti visivi.

Una vera opera globale che come sempre in Le Corbusier anticipa tempi e modalità, anche per la metodologia progettuale del programma, potremmo dire che in quel padiglione nasce la progettazione multimediale integrata (siamo nel 1957/1958).

La musica è una delle sue tante passioni, come la pittura la scultura, ma anche la scrittura (per la cronaca e per la saggistica), al punto che anche nelle fasi in cui lo studio raggiunge dimensioni importante, ogni mattina della sua vita, la dedica alla realizzazione di dipinti e successivamente di sculture con l’uso di vari materiali.

Ecco l’uomo rinascimentale, artigiano, artista e scienziato che convivono mirabilmente nella sua lunga giornata, nessuna delle discipline avrà mai il sopravvento sulle altre.

Teorie, parole, libri

Teorie, su teorie, una ricerca continua quotidiana estenuante, un’ossessione che nasce dalla sua idea di dover riscrivere oltre al linguaggio, ogni parola di questo nuovo vocabolario, parole raggrumate su fogli sparsi o su testi articolati e complessi, ma anche saggi brevi, articoli, appunti per conferenze, trattati, programmi, decaloghi metodologici.

Tutto per lui va catalogato, registrato, commentato ed è fonte di ulteriori sviluppi e di altre possibilità formali, funzionali e materiali, oltre ai libri non possiamo dimenticare le riviste “l’esprit nouveau” in primis, vero vademecum per il perfetto uomo di cultura contemporanea, che uscirà in otto importanti e corposi numeri.

Dunque l’auto-definizione “homes de lettres” è quanto mai giusta e calzante, perché quella funzione letteraria, umanisticamente fa parte del progetto, delle prassi progettuali, come in un quadro cubista o futurista.

Questa abitudine come la pittura avrà un ruolo determinante nella sua vita anche perché rappresenta un veicolo permanente per diffondere e consolidare le sue idee nel mondo.

Una città nuova, una nuova città finalmente

Dopo decenni di studi, di progetti, di tentativi non riusciti, Le Corbusier finalmente riesce in maniera rocambolesca ad avere l’incarico per progettare una città, per una serie di condizioni fortuite e di vari cambi di programma ma alla fine degli anni cinquanta il governo dello stato del Puniab che si è appena separato dalla Madre India decide di fargli costruire gli edifici amministrativi e politici di Chandigarh.

L’atteggiamento di Le Corbusier anche rispetto a questo incarico è di freddo distacco, come se fosse la cosa più semplice del mondo realizzare una nuova capitale.

Ma di fatto dimostra la sua capacità di affrontare qualunque tema, in poco tempo e di dare le risposte perfette che la committenza istituzionale attende, sarà un altro grande successo interplanetario, e segnerà la realizzazione di tutti i punti programmatici elaborati dall’inizio del secolo, ma declinati da un’ulteriore immersione nella nuova contemporaneità.

Meno funzionalista ma più legata ad aspetti simbolici e decorativi, prima poco esibiti, a parte le opere della maturità ( chiesa di Ronchamp, convento de la Tourette, etc),nonostante i cambiamenti continui di programmi e di budget.

Chandigarh rimane una roccaforte concettuale e simbolica del più alto sforzo che un essere umano abbia mai concepito per segnare il territorio con “i luoghi dell’adesso, del qui e ora”: la modernità di tramuta in divenire, in presente permanente, e l’architettura indipendentemente dalle dimensioni diventa arte assoluta, globale, completa.

Tempo assoluto, tempi moderni, lo spazio dentro e fuori di me

Il concetto di tempo è implicitamente molto sentito da Le Corbusier, ma non solo per il furore con cui aggredisce fino alla fine del suo percorso terreno gli spazi da progettare, ma come se sentisse la missione del demiurgo, del rabdomante concettuale, del filosofo oscuro che deve dare più informazioni possibili affinchè il suo “disegno universale” si compia.

Questo è il più grande progettista dei tempi moderni, che aiuta a celebrare e cantare dando all’architettura il ruolo di aedo, per raccontare la bellezza mostruosa (direbbe Koolhaas) del suo e del nostro momento storico.

Nel corso del tempo, Le Corbusier ha prodotto “il suo spazio interiore” per catalogarlo nelle infinite varianti che voleva far esistere e splendere fuori di se, quell’enorme diamante purissimo che segna e segnerà per sempre il suo passaggio sul pianeta.

L’architetto umanista e artista, scienziato e inventore, ha ridato al secolo breve la meraviglia rinascimentale della geometria, un Luca Pacioli moderno, prestato alle arti plastiche, lo spazio coltivato dalla sua anima illuminerà per sempre le nostre esistenze confuse, come insegnamento e come monito perché la bellezza non potrà mai essere un prodotto casuale.

Dopo la vita, verso il Mare Nostrum

Alla fine dell’estate del 1965, il 27 agosto, al mattino, per l’esattezza, Le Corbusier si appresta a prendere il solito bagno sulla spiaggia di Roquebrune, dove molti anni prima ha costruito il suo cabanon/ tomba/ mausoleo/ loculo, che riassume la sua estremizzazione essenziale dello spazio costruito: abitabile.

Le Corbusier ama moltissimo il mare ma quel giorno un attacco cardiaco mette fine ai suoi giorni umani, ha 78 anni è un fisico invidiabile, ma il destino lo rivuole nel mare nostrum che ha avuto la possibilità di scandagliare ogni centimetro di costa nei decenni precedenti, dalla Spagna, all’Italia, dalla Francia alla Grecia, all’Africa.

Da un punto di vista simbolico appare come il luogo perfetto per la fine, come un “coup de théâtre”, ha fatto colazione, ha disegnato e scritto, ha preso il sentiero verso la spiaggia, dando l’ultima occhiata alla villa di Eleen Gray, e poi il nulla.

Il Nulla.

Naturalmente rimane una tale quantità di opere, di scritti, di disegni e di filmati che la sua esistenza a quasi sessant’anni di distanza ci appare vivida e stimolante, sia per i colleghi progettisti, che per i committenti che per gli amministratori pubblici, cui l’architettura si rivolge.

Un insegnamento così profondo e attuale che pare ancora da scoprire, e potremmo vederlo, da un momento all’altro, riemergere, creatura misteriosa degli abissi del Mediterraneo per farci ancora qualche lezione su come dovrebbe essere una casa, una città o il mondo.

«Le Corbusier ha cambiato l’architettura. E l’architetto.»

Questo vibrante elogio funebre di André Malraux, Ministro della Cultura Francese

Grazie Le Corbusier, con sincera ammirazione.

(Il saggio è dedicato alla memoria di Colin Rowe e di Rayner Banham, maestri indiscussi della critica del ventesimo secolo.)


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