Lina Bo Bardi

Nessuna donna nella storia dell’architettura italiana del XX secolo ha mai raggiunto un’iconicità teorica, un progetto esistenziale, sentimentale e professionale globale come Lina Bo Bardi, la sua parabola cresce, si costruisce nell’ Italia fascista, dalla laurea nel 1939 a Roma, alle prime esperienze milanesi, dove arriva nei primi anni ’40.

A partire da Gio Ponti con cui si forma e dunque con l’incontro con quello che rappresenta uno dei più importanti critici d’arte dell’epoca, quell’autore della “tavola degli orrori” che nel 1933 mette alla berlina le forme più accademiche dell’architettura italiana, naturalmente inascoltato.

“vieni c’è una strada nel bosco, il suo nome conosco”

“C’è un gusto di vittoria e di meraviglia nell’essere semplici. “

“La produzione di massa, che oggi deve essere presa in considerazione come base per l’architettura moderna, esiste nella stessa Natura e, intuitivamente, nell’opera popolare.”

Achillina Bo

Pietro Maria Bardi è l’uomo e il compagno di una vita, l’artefice del suo destino, cinquanta anni in simbiosi, eccola la perfetta rappresentazione di una  professionista moderna, instancabile, curiosa.

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Milano, nonostante guerre, conflitti, condizioni generali molto complicate, vive un entusiasmo e una strana frenesia dove si concretizzano alcuni dei progetti di architettura più importanti del secolo, mentre Lina stessa lavora ad alcune grandi riviste indimenticabili.

Lina Bo Bardi

La conoscenza di Ponti la porta a Domus, di cui diventa co-direttrice con Carlo Pagani, e a Stile lavora anche per L’Illustrazione Italiana e nel 1943 fonda A-Attualità, Architettura, Abitazione, Arte, con il supporto di Bruno Zevi.

Il suo studio di via Gesù viene distrutto, e a quel punto col marito, immagina un cambiamento totale di vita, di professione, lontano dall’Italia e per sempre, altrove nella storia e nel mondo.

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Quando arrivano a San Paolo, invitati dal mecenate e collezionista Assis Chateaubriand, devono costruire un museo, inventarlo, creare una collezione e scegliere il meglio dell’arte europea, e su questo Bardi è molto competente, ma ancora non sa che sarà sua moglie a inventare “l’architettura paulista”, perché sarà Lina a dedicare tante energie al più importante museo del Sud-America d’Arte Contemporanea, mai realizzato.

São Paulo Museum of Art (MASP). Image © Pedro Kok

“Il tempo lineare è un’invenzione dell’Occidente. Il tempo non è lineare, è un meraviglioso groviglio dove, in qualsiasi momento, possiamo scegliere punti e inventare soluzioni, senza inizio e senza fine.”

“Il passato non ritorna. Sono importanti la continuità e la conoscenza perfetta della propria storia.”

Achillina Bo

Il lavoro dell’architetta romana, diventa quasi omologo al suo impegno culturale, sociale, antropologico, in quegli anni il sodalizio col marito-mecenate-gallerista e futuro direttore del MASP diventa talmente identitario da non avere eguali nei percorsi simili di quegli anni meravigliosi a partire dal lavoro alla facoltà di architettura di San Paolo.

Non è solo design modernista, non sono mostre o allestimenti, nasce un modo di pensare diverso, la contemporaneità che ha nel genio carioca di Niemeyer l’altro versante, diventa l’altra faccia della medaglia, l’approdo di un’altra modernità che non sarà mai contemporaneità, così incastrata concettualmente nelle vecchie avanguardie europee.

Mostra Lina Bo Bardi 100 – Brazil’s Alternative Path to Modernism

Il Brasile è il paese dove Lina Bo diventa concretamente progettista/architetta, assorbe una visione della società in formazione e compie le scelte che l’estetica deve ad una partecipazione culturale, nuova, ed è tutto così fortemente europeo, ma totalmente lontano, distante dai luoghi d’origine, Milano o Roma.

La nostra architettrice è pronta per uno dei suoi progetti che cambieranno la storia di una particolare idea di razionalismo brutalista, neo-sociale (non dimentichiamo la sua antica militanza anche in tempi non sospetti), nel senso più profondo, dove la costruzione dell’architettura definisce lo scenario più impegnato e condiviso, dove committenza, utenza e progettazione condividono il sogno di una società libera e solidale.

Così lontana, così diversa, così brasiliana.

Tanti momenti diversi, ma tutti vicini ad un’idea assoluta di progettazione che ha nel cuore il centro esatto dell’emozione: La casa di vetro, il Museo di San Paolo, il grande lavoro urbanistico a San Salvador de Baia, e i lavori della maturità, al ritorno a San Paolo.

Teatro Oficina Lina Bo Bardi & Edson Elito Image © Nelson Kon

Lina Bo bardi dedica un decennio ad ogni progetto, manifestazioni eponime di un suo particolare vocabolario delle forme, delle elaborazioni estetiche, molta antropologia culturale e riduzione all’essenziale delle funzioni, il suo programma è preciso, il suo obiettivo è il Brasile come metafora del mondo.

Nella casa di Vetro c’è lo spazio della vita, il luogo dove il teatro dell’esistenza si manifesta, diventa un’architettura, un pezzo di natura, di città, antichissima e modernissima, Lina e Pietro costruiscono la metafora della loro spiritualità sociale, ed hanno un paese intero per poterlo realizzare , dunque “a Casa” è il posto da cui non si potrà più partire ma solo ritornare, un approdo sicuro: vita e professione si equivalgono, politica e passione si sostengono.

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Niente da dichiarare, mezzo secolo da ricordare, in un lampo il razionalismo colorato torna essenza, si avviluppa in una impossibilità, non cede al senso, non sente, non vive nel sentimento dello spazio che possiamo condividere con altri.

L’allestimento di Lina Bo Bardi, Museu de Arte de São Paulo, 1968

É amore, è un tempo infinito da condividere fino alla fine, per raccogliere tutte le cose, belle o brutte di cui circondarsi, di tramonti, e albe e altre armonie segrete per dare all’architettura il senso compiuto che si merita, solo per chi ci ama e per chi amiamo.

Ora “donna Lina” è pronta per il Masp di San Paolo, un grattacielo orizzontale sull’Avenida Paulista, un cratere di cemento armato sospeso da terra otto metri e catapultato verso l’idea più pura di spazio culturale.

Una piazza al di sotto del museo per far vivere la città, per costruirne le relazioni più semplici: dentro o fuori, rumore confuso della città e luogo urbano dove mettere in scena la rappresentazione più semplice dell’arte moderna e dell’arte contemporanea.

La megalopoli si avviluppa dentro la concretezza del cemento, rosso, come per volersi allontanare da ogni contesto, un recinto sacro per dare vita al mondo casuale che lo attraversa.

Il MASP è vivo, si trasforma, respira diventa l’architettura potenziale, il recinto magico dove ascoltare il suono arcaico e contemporaneo dell’arte del mondo: un amplificatore di bellezza che regala ad ogni istante, la natura stessa del nostro esistere.

Sesc Pompéia. Image © Pedro Kok

Il Brasile di Lina è la metafora del mondo, la grandezza delle nostre essenzialità, il punto esatto dove abbiamo deciso di fondere oriente e occidente, passato e futuro, adesso e mai, per questo i musicisti tropicalisti la spiano da lontano, Gilberto Gil, Caetano Veloso e gli altri l’adorano, ma non hanno il coraggio di fermarla.

Lei vuole pezzi di città da trasformare in spazi pubblici, in “momenti senza costo”, piazze coperte, e tavolini, ragazze col tutù e grandi vecchi che estinguono le loro giornate inventando strategie per gli scacchi, teatri, mense popolari, momenti nati per esprimere il calore dell’arte che pulsa in quell’istante, e che libera di tutte le paure.

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San Salvador de Bahia è troppo lontana da San Paolo, e le carcasse delle fabbriche abbandonate possono raccontare gli istanti che hanno l’aspetto di un nuovo urbanesimo romantico, colorato e caldissimo, la fonte delle nostre possibilità, la grandezza di un’idea che deve ricordare, che sente il cuore, ascolta il flusso irregolare della città, dove ci ritroviamo naturalmente per costruire relazioni.

L’architettura di Lina Bo Bardi, è la prova necessaria di conservare quella bellezza per l’umanità, per renderla patrimonio degli uomini, nel XX o in tutti i secoli precedenti, per raccontare il significato del nostro stare qui, ed ora ed in questo momento, quando progettare aveva ancora un senso antropologico, e gli uomini si ri-trovavano per raccontare e raccontarsi lo Spazio e le Storie.

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Sembra avere tanto tempo (e poi il tempo che cosa rappresenta, in quella parte del mondo?), vecchie fabbriche da trasformare, teatri, mostre, allestimenti e una corsa verso un tavolo da disegno dove trovare qualcosa che assomigli ad una soluzione.

Architetta fino in fondo, donna incapace di frenare la sua irragionevole volontà di produrre stupore, di realizzare sogni condivisi, di superare limiti e teorie fino a costruire una personale, personalissima idea di città, fatta pochi luoghi essenziali.

Come nei suoi disegni gentili, delicati ed essenziali, tanto ammirati nel mondo e conservati nella casa di vetro, oggi avviluppata dall’incontrollabile vegetazione e nell’immutata forza razionalista, paulista, oggi catalogati a migliaia da archivisti solerti e preziosi (oltre 7500).

Lina Bo Bardi, SESC Pompéia

Questa è un’altra donna che abbiamo ammirato per l’eleganza, la forza, l’spirazione cristallina e la potenza del gesto, ”Donna Lina” ha costruito dall’altra parte del mondo, la sua precisa idea di estetica.

Ha voluto regalare all’architettura una diversa concezione politica, culturale solo per dare contenuti nuovi ad una pratica antica, per portarci un più lontano, dove l’emozione, la passione e l’amore possono restituirci nuova vita, nuovi colori, un’idea diversa di socialità.

La sua missione è compiuta, ma comunque breve, ha avuto il tempo Lina Bo, di ricordare “la tavola degli orrori”, dove Pietro Maria Bardi ha raccontato sinteticamente la negazione della ricerca, le ha ispirato il tracciato verso l’essenza della progettazione, verso la natura essenziale di quel nuovo mondo, dove ragione e sentimento si re-incontrano nelle forme più pure, quelle uniche che non riusciremo mai a dimenticare.

La “Tavola degli orrori” alla Mostra d’Architettura Razionale

Ecco la cosiddetta “Tavola degli Orrori” esposta alla Mostra di Architettura Razionale attualmente aperta alla Galleria di Roma in via Veneto. Nel rimetterci questa fotografia P. M. Bardi, direttore della Galleria stessa, unisce il seguente trafiletto nel quale sono spiegati gli intenti polemici della composizione:

Ad un certo momento del secolo scorso, quando dell’idea architettonica s’era ormai perduto persino l’odore, nacque l’architetto culturalista. Nacque forse nel botteghino d’un rivendugliolo di stampe antiche, da padre eclettico e da madre accomodatutto. Crebbe il piccino con il latte di cento balie, ed alla scuola con le lezioni di cento precettori: aveva il ragazzo da impluteare nella zucca un’enciclopedia di nozioni architettoniche, poiché l’angiolo aveva svelato ai genitori in sogno che il loro parto avrebbe avuto il ruolo, nel secolo, di architetto culturalista.

Conoscere: fu questo il motto che il giovinetto incise nel suo ex-libris. Comporre: fu questo l’impegno ch’egli si assunse di fronte al prossimo. Erigere delle case: fu questo l’incarico che l’attonita borghesia, fiduciosa di lui, affidò al nuovo leone. Giorni memorabili trascorse l’annunciatore in mezzo alle città, con la letizia dell’uffizio adempiuto con quella serietà di propositi che conduce alle soglie del paradiso. Ogni uomo ha nel capo il suo paradiso, composto delle sue preferenze ideali, dei suoi amori, delle sue sottili e godute conquiste morali. E l’architetto culturalista ebbe il suo paradiso: non se ne ebbe mai la chiave di quel limbo misterioso e pochi, pochissimi indagatori riuscirono a penetrare in qualcuna delle camere d’aspetto del complicato labirinto.

La storia del gusto, per suo conto, indagò a più non posso per rivelare quel patetico mondo del tipo assunto ormai alle celebrità incontrovertibili: ma fu tempo perduto. Abbiamo, oggi, noi il privilegio di svelare quel segreto: è andata così: abbiamo ammazzato l’architetto culturalista, gli abbiamo aperto il cranio, ed abbiamo accuratamente ricavato tutto il suo paradiso. Lo abbiamo ricomposto minuziosamente e fotografato, per darne notizia accurata ai nostri lettori. Ecco, finalmente, di che si tratta.

P. M. Bardi


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