L’Africa-Madre come laboratorio antropologico, oltre l’architettura delle colonizzazioni.

Il Desiderio e il Cammino.(0.1)

Lesley Lokko la curatrice.(1)

(Lesley Lokko ha pubblicato il suo primo romanzo Il mondo ai miei piedi (2004), seguito da Cieli di zafferano (2005), Cioccolato amaro (2008), Povera ragazza ricca (2010), L’estate francese (2011), Un perfetto sconosciuto (2012), Una donna misteriosa (2013), Innocenti bugie (2014) e In amore e in guerra (2015) con un ottimo successo di pubblico, tutti per Mondadori

 Nel 2018, sempre con Mondadori, ha pubblicato Amiche sorelle.)

Si dice spesso

«Si dice spesso che la cultura sia la somma totale delle storie che raccontiamo a noi stessi e di noi stessi. Manca tuttavia in questa affermazione un qualsiasi riconoscimento di chi sia il ‘noi’ in questione. In architettura, in particolare, è stata storicamente dominante una voce singolare ed esclusiva, la cui portata e il cui potere ignorano enormi fasce di umanità – finanziariamente, creativamente, concettualmente – come se avessimo ascoltato e parlato in una sola lingua. La storia dell’architettura è quindi incompleta. Non sbagliata, ma incompleta». L.L.

Si sta delineando

“Si sta delineando un nuovo ordine mondiale, con nuovi centri di produzione e di controllo della conoscenza […]

Dopo due degli anni più difficili e divisivi che la storia ricordi, noi architetti abbiamo un’occasione unica per mostrare al mondo quello che sappiamo fare meglio: proporre idee ambiziose e creative che ci aiutino a immaginare un più equo e ottimistico futuro in comune.

 Parlando a voi dal più giovane continente del mondo.” L.L.

La curatrice(0.2)

La curatrice Lesley Lokko ha intitolato la diciottesima edizione della mostra di Venezia “Il laboratorio del futuro”.

A che serve una casa?

 A che serve una casa se non hai un pianeta tollerabile dove metterla?

H.D.Thoreau

La Biennale

La Biennale veneziana del 2023,non stupisce, almeno non nel senso classico del termine.

Tutti noi affrontiamo il  cambiamento climatico, lo sfruttamento, ma questo momento storico ci chiede di essere “professionisti altri”.

Con quella semplicità, che per molti può sembrare banale, ma che risponde alle due domande che aprono questo testo. Non vede l’architettura, non vede i progetti,, perché l’architettura non può esistere quando si fonda sulla dis-uguaglianza, e sulla prevaricazione di qualsiasi sfruttamento etico/estetico, dal Taj Mahal a ieri.

Eccetto l’esposizione creata da Sir  David Adjaye, vero protagonista architettonico “tradizionale” della Biennale, che è sembrato essere parte di un rovesciamento professionale, una sorta di ”lavacro culturale”, come Francis Kéré e tutti i facoltosi professionisti provenienti dai paesi non “occidentali”, ma di formazione prettamente occidentale(di cui parleremo nel secondo capitolo).

biennale 2023

Alla fine dei conti

Alla  fine dei conti Adjaye o Kerè non mostrano altro che alcune “practices troppo internazionali” e tradizionali, fatte di metri cubi costruiti in ogni parte del pianeta, sono identiche alle superstar mondiali, e non dimentichiamo la costante vicinanza tra tutte le Biennali che necessariamente sono sempre state illuminate da “star”, anche se apparentemente dimesse, corrette, ma sempre di star si tratta. Chapeau all’onestà intellettuale di Lesleye Lokko.

 Può l’architettura?

Può l’architettura essere un mezzo e non un fine nella costruzione delle città?

Cos’è lo spazio? Cos’è l’architettura? Oggi, domani, quando?

Domande che hanno molte risposte praticabili possibili, multipli scomposti di veri

 Hauntology (omaggio a Lacan, Derrida, Marx, Fisher e altre ontologie)

“L’unica cosa per cui ci si può sentire in colpa è cedere terreno riguardo al proprio desiderio”,

Jacques Lacan.

Hauntology (crasi anglosassone di “haunting” e “ontology”, ovvero “fantasma”/”ossessione” e “ontologia”) è un concetto coniato dal filosofo Jacques Derrida nel suo libro “Spettri di Marx” del 1993.

Il concetto di hauntology fa riferimento alla situazione di dis-giunzione temporale, storica e ontologica in cui la “presenza apparente dell’essere” è sostituita da una “non-origine” rinviata, rappresentata dalla figura del “fantasma come ciò che non è né presente, né assente, né morto”.

 Il concetto è derivato dalla prassi metodologia decostruttivista di Derrida, in cui qualsiasi tentativo di localizzare l’origine dell’identità o della storia, deve inevitabilmente trovarsi dipendente da un insieme di condizioni linguistiche sempre esistenti, rendendo così “inquietante lo stato come tale”.

In anni più prossimi, il concetto è stato ripreso dalla critica in riferimento ai paradossi trovati nella postmodernità, in particolare il persistente riciclaggio della “retro-estetica” e l’impossibilità di sfuggire dalle vecchie forme e formule sociali, quella nostalgia dei principi filosofici  che aggredisce la volontà di potenza di ogni potenziale trasformazione sociale e politica.

 Critici musicali,e/o filosofi come Mark Fisher e Simon Reynolds hanno usato il termine, per descrivere l’arte atterrita da questa disgiunzione quantistico-temporale che si traduce in una “nostalgia permanente per il futuro perduto”,si vedano i testi Retromania o Realismo Capitalista

“L’effetto dell’instabilità strutturale permanente, della fine della visione «di lungo corso», non può che essere stagnazione e conservazione, altro che innovazione”. M. F.

“„Ciò che mi intrigava nella parola retromania comunque era il fatto che ci fosse “mania”, una cosa che indica immediatamente allarme. Ti dice subito che in tutta questa passione per il passato probabilmente c’è qualcosa di assurdo, di sbagliato, che è andata fuori controllo, è diventata un po’ folle.“ S.R.

Mark Fisher

Mark Fisher, uno dei controversi teorici della contemporaneità, ha affermato come per Lacan, il desiderio fosse sostanzialmente “desiderio di desiderare”, per poi aggiungere che “la distonia capitalista della cultura del ventunesimo secolo non è qualcosa che ci è stata semplicemente imposta: è stata costruita attraverso l’appropriazione dei nostri desideri”.

Da qui la celebre teoria di Fisher sulla “perdita del futuro,anzi, dei futuri”, e il suo indagare l’hauntologia, ossia le “tracce fantasma” di ciò che è stato e di ciò che avrebbe potuto essere, mai sapremo), cercare barcollando sulle possibili strade per costruire una società sociologicamente avanzata.

 Gli spettri di Marx e di Derrida non muoiono mai come si vede e la visione di Mark Fisher si è interrotta perchè si è suicidato nel 2017

Il tema del desiderio che Baratta ha posto come ambizione, una vera e propria “macchina, una macchina del desiderio”(dentro e dopo Lacan), in grado di restaurare la domanda senza risposta di architettura, dopo o contemporaneamente: l’arte, la musica, il cinema, la danza e il teatro

Il desiderio di architettura,

Il desiderio di architettura, questa mappa l’architettura ha inciso, sia sotto forma di rilancio del desiderio sia di vera e propria disciplina chiamata ad affrontare i problemi del mondo, quello fuori dal nostro rassicurante tinello di casa .

Nel 2016 Alejandro Aravena ha raccontato il “fronte del mondo” e le storie di coloro che “sono stati attori di una prospettiva più ampia”, di un allargamento dello sguardo sui possibili ambiti di risposta del lavoro dei progettisti, una nuova e diversa antropologia del progetto

 Partendo dal presupposto che “l’architettura si occupa di dare forma ai luoghi in cui viviamo. Non è più complicato, né più semplice di così”.

Nel 2018 Yvonne Farrell e Shelley McNamara hanno lanciato il manifesto di “Freespace” “Siamo convinte che tutti abbiano diritto a beneficiare dell’architettura. Il suo ruolo, infatti, è offrire riparo al corpo ed elevare lo spirito con generosità”.

La capacità fondamentale dell’architettura è creare e promuovere un momento ontologico tra persone e spazio”.

Nel 2021, Hashim Sarkis ha scagliato nell’universo un progetto  incentrato sulle possibilità di “vivere ancora insieme, Non possiamo più aspettare che i politici propongano un percorso verso un futuro migliore, mentre attraverso l’architettura possiamo offrire modi alternativi di vivere insieme”.

. Ancora il futuro, come forma di “apprendistato faticoso alla speranza” e il desiderio e “la forma desiderante come spettro”( e Marx  e Derrida libera nos a malo).

La curatrice Lesley Lokko(0.3)

La curatrice Lesley Lokko, architetta, docente e scrittrice ghaneana-scozzese, si è immersa nel mare molto mosso della sua Biennale scegliendo di intitolarla “Il laboratorio del futuro”, ma forse avrebbe dovuto chiamarla “il futuro del laboratorio”

Le domande sul presente del capitalismo, sulle prospettive perdute, nella ricerca scientifica e letteraria di Lokko, ci ri-portano in Africa, che, per demografia, crescita, ambiente, un’ipotesi di futuro, un desiderio irrisolto, di pericolosità permanente nella maternità di un continente cui tutti apparteniamo, sia per nascita che per storia

 “Qui in Europa parliamo di minoranze e diversità, ma la verità è che le minoranze dell’occidente sono la maggioranza globale: la diversità è la nostra norma”.

 Lokko parla di due macro-fenomeni che si caratterizzano, come gli iper-oggetti del filosofo Timothy Morton, per non riuscire a comprenderli se non modificarli: la de-colonizzazione e la de-carbonizzazione

. “Parliamo di spazi democratici”, scrive Lokko, “ pubblici, di energia pulita e di spirito umano.

Perfetta analisi dell’incubo complessivo in cui la contemporaneità si è trasformata.

Il futuro della Biennale dal 2025 sarà un Post-College Universale della de-colonizzazione culturale e della de-carbonizzazione planetaria

 “Ovviamente non sarà un momento per formare architetti a costruire edifici”, ha scritto il presidente Cicutto, “ma sarà un college nel quale si discuterà di come concepire l’architettura oggi, temi che già erano stati espressi da Aravena.

 Io penso che in questo iper-college si metterà l’accento su come si possa “parlare di architettura”, ma principalmente insegnarla, una continuità con le precedenti  tre edizioni, ma fondamentalmente un passo avanti”(Roberto Cicutto)

Si scandiscono soavemente le buone parole, come “laboratorio” e “futuro”, ma anche l’abusata: “speranza”.

Fisher, che ora si vedrà riconoscere un pezzo dell’idea di futuro, qui e ora, in questa metafora dell’idealismo in versione africana, qui e ora la domanda senza risposta di qualsivoglia contemporaneità.*

Il laboratorio del futuro, diciottesima mostra internazionale di architettura, Biennale di Venezia, 20 maggio – 26 novembre 2023

*

(Questo testo/saggio è diviso in quattro parti:

  • Il Desidero e il Cammino.
    • Tracciati consapevoli
    • Espressioni linguistiche e letterarie nelle contraddizioni
    • Contributi alla costruzione dei diversi futuri possibili)

(**desidero ringraziare per le loro illuminanti analisi culturali e metodologiche ,tra gli altri Paola Menaldo e Diego Terna che con i loro interventi su Living(Corriere della Sera)e Gli Stati Generali, e per l’appassionato racconto della Mostra, sono stati fonte ispiratrice per la mia modesta trasposizione critica e teorica. e naturalmente Marx, Derrida, Lacan, Fisher. MDC)


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