Con Paolo Portoghesi scompare oggi, 30 maggio 2023, l’ultimo intellettuale dell’impegno, anche in architettura, che ha segnato una lunga stagione della cultura in Italia. Geniale come progettista per ispirazione alla natura, ineguagliabile per talento nella scrittura critica (il suo libro su Francesco Borromini del 1967 è insieme saggio e romanzo), pronto a passare dall’occupazione, come preside, della facoltà di architettura del Politecnico di Milano nel 1971 – in solidarietà con le famiglie di occupanti – ai fasti della mondanità, Portoghesi per molti rimarrà famoso soprattutto per l’invenzione nel 1980 della Biennale di Architettura di Venezia, come la conosciamo oggi. Spettacolare e retorica, provocatoria e imprescindibile, unica e proteiforme, la Biennale di Architettura gli deve ancora grandissima parte del suo prestigio e identità.

Paolo Portoghesi
Paolo Portoghesi

In ricordo del suo impegno culturale e sociale, pubblichiamo qui un breve estratto di un articolo pubblicato sul quotidiano domani nel maggio 2021.

Ora ci si augura e si attende presto una degna celebrazione di Portoghesi alle Corderie dell’Arsenale. S.C.

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Un po’ di storia.

La prima Biennale di architettura (più esattamente “Mostra Internazionale di Architettura”) si apre a Venezia il 28 luglio del 1980 e fa subito scandalo tra i benpensanti modernisti, dominata dalla “Strada Novissima” una provocatoria installazione di facciate in scala reale alle Corderie dell’Arsenale: che per la prima volta vengono restituite alla città e al mondo, grazie al coraggio e all’entusiasmo di Paolo Portoghesi, figura già importantissima per la cultura architettonica italiana, ora da molti anni ritiratosi in una bella e grande casa a Calcata, quasi dimenticato.

La “Strada Novissima” alla Biennale di Architettura di Venezia “La Presenza del Passato”. Al centro, la facciata disegnata da Portoghesi.

A proposito di quella storica Biennale intitolata “La presenza del passato” c’è un contradditorio a viva voce, riascoltabile dagli archivi di Radio Rai, tra Portoghesi e il suo alter ego/nemico Vittorio Gregotti. Portoghesi sostiene la sua posizione a favore del post-modern e dice quello che tutti già pensavano ma non avevano il coraggio di affermare.

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Il Movimento Moderno era già morto già decenni prima (con Auschwitz, aggiungerei, e il funzionalismo post-Bauhaus dei produttori di forni crematori Topf): così morto che già nel 1980 non aveva più senso sperare di resuscitarlo in architettura o, peggio, in urbanistica. Intenzione di Portoghesi era riprendere invece proprio un discorso sulla città, immaginata provocatoriamente con quelle facciate disegnate da un gruppo eterogeneo ed eccezionale di progettisti: da Bob Venturi/Denise Scott Brown a Hans Hollein, Arata Isozaki, Ricardo Bofill e gli allora quasi sconosciuti Frank Gehry e Rem Koolhaas. In pratica, molti degli autori che nei trenta/quarant’anni successivi avrebbero dominato la scena dell’architettura internazionale. Gregotti invece, da accademico e intellettuale di sinistra engagé nella costruzione di interi quartieri, nel suo intervento è naturalmente molto critico sull’idea di post-modern, inorridito dall’idea della Strada Novissima: critica che però già nella sua voce alla radio sembra meno convinta e ancor meno convincente.

Un montaggio di alcune facciate per la “Strada Novissima” alla Biennale di Architettura di Venezia

Nella replica, Portoghesi ne distrugge le premesse, denuncia gli esiti catastrofici del formalismo modernista trasmutato in periferie orrende in tutto il mondo, a iniziare dall’Italia: rivendica il diritto a un rinnovamento radicale di atteggiamenti e comportamenti di architetti e utenti, anche soltanto con il recupero della memoria del passato. Anche appunto con la straordinaria azione di guerriglia urbanistica con cui Portoghesi stesso sottrae alla rovina e all’incuria della Marina Militare un’estesa area monumentale urbana e la restituisce a Venezia e all’Italia.

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La polemica sul postmodernismo può a distanza di tanti anni apparire futile. Siamo tutti postmoderni, anzi post-umani come ha spiegato bene il curatore (poi gallerista) Jeffrey Deitch nella geniale mostra “Post Human”, una trentina d’anni fa. Eppure quella discussione alla radio tra Portoghesi e Gregotti rende bene il senso di una fase storica in cui l’architettura italiana e internazionale poteva discutere di sé stessa, mettersi in crisi e prendersi perfino in giro, ma senza rinunciare alla propria specificità.

da Stefano Casciani, Il linguaggio dell’arte ha infettato l’architettura. XVII Biennale d’Architettura di Venezia , in domani, 23 maggio 2021


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