Si sovrapporranno parole, termini, concetti più o meno profondi, per il Salone del Mobile 2021 ecco rincorrersi fiumi di: Rinascita, Rinascimento, Milano motore del paese, creatività indiscussa, volontà di uscire dal tunnel.
Tutto previsto ma la verità è che la data per il salone confermata per settembre, ci impone quell’entusiasmo della ragione, consapevoli che niente sarà come prima e quindi la manifestazione assumerà un carattere realmente innovativo, etico, sociologico , in poche parole: un Nuovo Salone.
“Non solo stand ma racconti”, non solo “oggetti ma progetti”, tutto rivisto dopo l’isolamento pandemico che non ha mai fiaccato lo slancio commerciale e la spinta concettuale della grande Kermesse che sarà altro ma, non sappiamo esattamente cosa.
Il Neo-Salone dovrà partire da esigenze diverse, da considerazioni meno formali, estetiche per dare risposte etiche all’universo degli oggetti che “curano” la nostra vita, modificandola e rendono meno problematico il nostro attraversamento del pianeta.
Non sarà una questione di stile, di stili, di neo-Bauhaus contemporanea ma, ogni paradigma dovrà trovare la condizione di necessità semantica, prima della defatigante ricerca dell’ossessione paranoica del bello, una collaborazione tra discipline, tecniche, culture del progetto.
Tutta la storia recente ci parla costantemente di questa necessità, come se l’aspetto commerciale fosse una conseguenza marginale dello spirito estetico che impone continue e imprevedibili vitalità formali, funzionali e creative.
«Volevamo creare oggetti viventi attuali, adatti a un nuovo stile di vita, c’era un enorme potenziale di sperimentazione: era essenziale definire il nostro mondo immaginario, modellare la nostra esperienza attraverso materiale, ritmo, proporzione, colore e forma»
Gunta Stölzl
Questo l’avevamo già sentito (quasi un secolo fa) ma oggi, anzi a Settembre il mondo avrà poco tempo, diciamo cinque giorni, per interrogarsi sul significato profondo di senso, di spazio, di teorie, di case e di ospedali e residenze per anziani, perché l’apocalisse ci ha dettato l’agenda, e non sono previste variazioni sui tempi di risposta intellettuale ed imprenditoriale.
Dunque il “mobile” è molto più di quello che sembra, ed è molto più di quello che vorrebbe far crede di essere: l’encefalogramma fisico delle nostre aspirazioni intime, un inter-faccia corporeo ma artificiale che non ammette rinunce e sottovalutazioni perché l’universo degli oggetti ci condiziona. Come affermava Pasquale Panella: ”son le cose/ che pensano/ ed hanno di noi/ sentimento/ esse t’amano e non io”.
L’uomo come il polpo o la marmotta hanno necessità tutt’ora non spiegata dagli antropo-etologi di arredarsi lo spazio in cui vivono, dopo aver risolto il problema del freddo, è l’immensa proposta milanese continua ad essere il tentativo per spiegare questa necessità biologica.
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Come un “salon de bien-être”, “creme” e “mascara” nei padiglioni di Rho/Milano, la ritualità del design italiano assurge alla post-mitologia dell’uso, nessuna definizione possibile, niente che rimandi a un concetto chiuso, completo, e in questa semiologia elementare c’è tutto lo slancio del vecchio Barthes, sempre attuale, sempre oscuro nella sua semplicità.
“E’ sterile ricondurre l’opera a qualcosa di puramente esplicito, perché allora non c’è, immediatamente, più nulla da dirne e perché la funzione dell’opera non può consistere nel chiudere le labbra di coloro che la leggono“.
Roland Barthes, Critica e Verità
Finalmente una “fiera campionaria” può diventare una gigantesca opera filosofica, un nuovo incominciamento spazio-temporale che impone, sollecita nuove responsabilità e diverse argomentazioni lontane dalla retorica consolidata dell’annuale successo milanese, il Re è morto: viva il Re (della forma e dell’idea).
La festa deve rimanere perché siamo tutti come Madame de Staël e non ci suicidiamo perché dobbiamo stimolare la nostra frivolezza, sentimento nobile e creativo anche se possiamo renderlo denso di ricerca, di stupore, di nuove necessità, in poche parole noi non abbiamo bisogno di oggetti, ma dobbiamo produrre continuamente idee, forme, indipendentemente dalle loro funzioni.
Una sedia o un divano, un tritacarne, una lampada o un tavolo hanno l’esigenza di cambiare il loro stato esistenziale, di essere altro, di essere nel mondo, ”diventare necessari”.
Dunque ci piace molto questa sfida estrema, ideologica, una metafisica del piacere che può riscrivere il vocabolario delle “parole-segni” esauste, rivitalizzarle partendo dalla loro incoercibile inutilità, che produce centinaia di milioni di euro solo per dichiarare ogni anno quello che noi siamo, siamo stati e che saremo, comunque, oltre le guerre o le pandemie correnti.
“La Wassily era così nuova. Le persone ci saltavano sopra in una mostra per distruggerla. Hanno pensato che il mondo intero stesse per finire con questi mobili “.
“L’architettura moderna non è uno stile ma un atteggiamento”.
Marcel Breuer
Tutto accadrà troppo in fretta per darci le risposte che aspettiamo, e non possiamo sperare che la società trovi nella splendente capitale del design, il viatico per ridisegnare una società in crisi di nervi prima che di identità, ma il Salone rimane una delle poche certezze di questo Paese e noi faremo come professionisti e innovatori, la nostra parte.
Soprattutto se la posta in gioco è alta, e la base critica è bassa, dunque approfittiamo dello spirito del tempo che ci conduce verso altre forme di “vita”, tra funzioni che si riposizionano e modelli consolidati che svaniscono ”come lacrime nella pioggia”, perché è tempo di cambiare, è il ritorno all’avventura dopo la crisi.
“Uso l’espressione post-design perché penso che oggi siamo ben oltre l’espressione form follows function, la forma che deriva dalla funzione, comandamento del Movimento Moderno, quando negli anni Venti e Trenta il design prendeva forma e il Bauhaus diceva basta alla licenziosa dittatura degli stili”.
Mario Bellini
La sfida è stata raccolta, non da tutti ma da tanti che credono ancora che attraversare nuovi territori imprenditoriali e progettuali sia un’esigenza insita nel nostro essere creatori di forme, di città, e non c’è altra modalità per dare senso ad ogni forma di attività umana e questa data segna una linea di demarcazione concettuale.
L’esperienza del “prima e del dopo” sarà utile per interrogarsi sui principi fondativi della cultura del progetto e stabilire priorità, processi e forme di narrazione perché il Salone del mobile deve indicare nuove strade, nuove esigenze, illustrando le esperienze che più hanno capito le trasformazioni della contemporaneità.
Senza troppi lustrini, riducendo gli “happyhour” e gli effetti speciali perché le idee, quelle vere, non hanno bisogno di sostegni artificiali e vivono dentro di noi solo per ricordarci quanto sia importante la qualità della vita e la nostra capacità di renderla degna di essere vissuta “tra soggetti e per gli oggetti”.
“Il fine principale delle arti belle è quello di risvegliare un vivace sentimento del vero e del buono ; perciò la loro teoria deve essere fondata sulla teoria della conoscenza indistinta e delle sensazioni”.
Johann Sulzer, Teoria generale delle belle arti, 1771-74
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