Ascoltare, percepire, esperire i “luoghi comuni” della città contemporanea.
“Vi è un compito politico che il nuovo disegno urbano deve assumersi ed è quello della ricostruzione del valore dello spazio pubblico. La capacità di superare la crisi storica, di senso, dello spazio pubblico ormai ridotto allo spazio del commercio e dei mercati è uno dei compiti più difficili che il disegno urbano deve oggi affrontare” .
V .Gregotti. Le scarpe di Van Gogh,1994.
Se lo spazio suona, e di questo ne siamo certi : ”la fonte da cui emana il mondo è sempre una fonte acustica”(Marius Schneider, La Musica Primitiva),probabilmente il luogo dove si manifesta l’esperienza pubblica, comune suona in tutte le direzioni possibili e immaginabili, ma soprattutto è, o almeno dovrebbe essere in armonia con noi.
In principio fu la piazza, l’agorà dove discutere dove prendere decisioni e dove dare giudizi sulla gestione elementare e poliedrica della città, ma in quel luogo si esprimono le forme più alte del pensiero politico di ogni tempo, e non è necessario fare riferimento alla Piazza del campo di Siena o a quella di Palmanova o alle tante Piazze del Duomo, che costruiscono la corona preziosa dei nostri borghi, grandi e piccoli, nordici o mediterranei.
Certo l’andamento tettonico e geografico del nostro paese consente di costruire un abaco generale di tutte le possibilità, un catalogo di forme di spazi e di tempi, di dominazioni e contaminazioni, di forme arcaiche moderne e antiche frutto di speranze democratiche e di involuzioni autoritarie.
L’architettura è la giustificazione multi-funzionale della politica che la rappresenta e la costringe al sacrificio dell’accettazione dei modelli che una società vuole e deve esprimere, per rendere più sopportabile una quotidianità che nella ricerca del progetto ambisce ad entrare nella storia.
Lo spazio pubblico marca un territorio, da voce alle esperienze formali e urbane di ogni realtà, letteratura di pietra o di legno, di vetro o di ferro, ma profondamente incastonata, prima dell’avvento dell’Archi-Star Magnum, alle profonde identità che hanno consentito di esser-ci, e di essere edificate nel mondo. “Il luogo comune” è il momento temporale di congiunzione dialettica tra progetto e forma urbana, tra costruito e pausa, tra pieno e vuoto, spesso in contrasto, ma qualche volta sequenza armonica di quel suono che tutti ci fa vibrare.
“Il sistema urbano trova la sua costituzione proprio negli spazi non costruiti della città, dove la definizione del profilo interno diventa elemento di stabilità e di connessione tra le parti separatamente concepite e la complessità del resto della materia urbana che circonda e si fonde con esso”.
V. Gregotti. Della Modificazione. Dentro l’architettura,1991.
Piazze con arte, piazze senz’arte
Il decoro della città ha qualche cosa di traumatico perché è sempre frutto di un “provincialismo bricoleur”, di amministratori poco illuminati e molto intraprendenti, che hanno voluto lasciare una traccia del loro passaggio, inserendo nelle nuove agorà contemporanee, forme artistiche di dubbio rilievo, certo non sempre, ma spesso, il progetto complessivo viene consegnato dall’urbanista all’artista, affinché si possa assistere al solito duello tra narcisismi incrociati che hanno devastato la concezione dello spazio contemporaneo.
Un massacro simile all’abusivismo anni cinquanta e sessanta . Certamente non tutte le città possono essere piccoli o grandi sogni di menti illuminate come all’origine della nuova Gibellina di Corrao ad esempio, ma preferirei che l’artista selezionato partecipasse al progetto della piazza, dello slargo o di qualsiasi altro momento/frammento della contemporaneità urbana, piuttosto che inserire suoi pezzi d’arredo alla scala monumentale.
La piazza non può che essere un paesaggio progettuale cristallizzato, incatenato dentro un’idea originale di architettura che ambisce a diventare città come nel sogno di Aldo Rossi, uno scenario multiforme e variabile nel tempo, che consente di ripristinare la concezione contemporanea del nostro vivere, dentro un tempo, dentro uno spazio e proprio in quel luogo condiviso. Una teoria progettuale “del noi” al posto della compressione semantica “dell’io”, la politica invece che l’estetica.
“In luogo dell’uno, dunque significati molteplici. Solo assumendo come reale tale pluralità nascosta si riuscirà a infrangere il feticcio si condensa attorno a un segno, a un nome, a un linguaggio, a un’ideologia”. M. Tafuri, La sfera e il labirinto,1980.
Verso un’urbanistica ambientale e solidale.
Lo spazio pubblico diventa la cartina di tornasole dello sviluppo urbano per il futuro, definisce la capacità di una comunità di essere un “modello di società”, in questa strategia intellettuale della nuova pianificazione , l’architettura è la componente di tutte le sequenze percettive, capitoli di un romanzo esistenziale.
Le due discipline, unitamente a quelle che fanno da corollario alla scientificità del progetto di città, concorrono a dialogare, lavorano, o dovrebbero lavorare fino alla concezione di un’armonia urbana per i nostri tempi e per una nostra idea di futuro, ed ecco perché ogni singola architettura anche quella più piccola si pone nella condizione dialettica con lo spazio esterno che la contiene senza soluzione di continuità.
Momenti percettivi interagenti che riconosciamo come volumi intrisi della nostra storia e della nostra condizione sociale di uomini di questo tempo, l’estetica di ogni manufatto dovrà in futuro fare i conti con il contesto che lo delimita ma, che al contempo, lo determina, architettura dopo architettura, luogo pubblico dopo luogo pubblico.
Non si tratta di una ricerca impossibile di omogeneità, ma di dare una vivacità morfologica sia agli elementi testuali del “luogo intimo, privato” che al mantenimento di senso per ogni contesto, qui la capacità dell’architetto muta per acquisire ogni indicazione che possa giungere dal mondo, dal tempo, dalle idee. Il paesaggio artificiale incontra il momento più alto quando natura e cultura parlano e si ascoltano reciprocamente, ed in questo incontro si produce il segno più innovativo di ogni città contemporanea, ma anche antica.
“(…)Il nuovo concetto di paesaggio corrisponde ad una diversa idea della città, un’idea che privilegia la molteplicità ,l’eterogeneità ,il contrasto, l’accostamento di elementi diversi tra loro. Non si tratta di costruire dei paesaggi omogenei, ma dei paesaggi ibridi, concepiti a partire da una nuova idea dello spazio. M. Zardini , Paesaggi ibridi,1996.
La fascinazione della “città nova”, passa tutta da qui dal superamento disciplinare e dalla nuova attenzione ai rumori di fondo che ogni società continua a inviarci, chi ha orecchie per intendere, intenda.
“solo apparentemente , quindi, parleremo d’altro.”
M.Tafuri
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