zaha hadid

Un anno che ci ha lasciato le carni vive esposte, vissuto a singhiozzo per mancanza d’aria e costretti a cambiare pelle, in un mondo in rivolta.

Un anno d’intenso lavoro per raccontare storie e dare voce ai protagonisti e alle protagoniste della cultura nel senso più libero e ampio possibile (quello più vicino, forse, alla descrizione dell’antropologo britannico E.B Tylor che abbraccia l’umanità, l’insieme di saperi, pratiche, abitudini che si apprendono in seno ad una società).

Alla vigilia della rituale festa della donna abbiamo pensato di raccogliere i nostri contributi, non un omaggio di maniera, ma uno spaccato sul ricco e vibrante universo femminile dal quale s’intravede il fondo ancora inesplorato. Come fece notare l’immensa Marguerite Yourcenar è difficile scrivere delle donne, perché la loro “vita è troppo limitata o troppo segreta”.

Questa ricerca ci ha condotto alla scoperta di gioielli preziosi, scavando a mani nude nel terreno della storia abbiamo riportato alla luce reperti ancora integri e frammenti di storie al femminile che brillano di luce propria.

Eccoci qui a maneggiare con estrema cautela e delicatezza i racconti impastati di emozioni, sogni e progettualità concreta: abbiamo volto lo sguardo in alto per ammirare grandi pianeti fiammeggianti che orbitano intorno alla terra da Zaha Hadid a Lina Bo Bardi, da Eileen Gray alla Signora Bauhaus, e non ci stanchiamo mai di ammirarle.

Non lontano da qui, abbiamo incontrato le coraggiose architetttrici, che a Colle Val d’Elsa – in Toscana – hanno gettato i semi di un festival di architettura per “abitare il mondo altrimenti”. Ci siamo imbarcati su un vascello (che assomiglia molto alla Villa Benedetta di Plautilla Bricci) sotto il cielo stellato di Zaha, alla volta di un’isola lontana (potrebbe essere quella di Utopia – non tanto come non luogo ma come luogo del bene – vergata da Tommaso Moro dalla forma di mezza luna) e non ci fermeremo fino a quando non l’avremo raggiunta. Qualora non dovessimo scorgerla all’orizzonte saremo chiamati a costruirla, mattone dopo mattone.

Sulle orme dell’architetto Maurizio De Caro continueremo a seguire le tracce di “Donne e architettura, qualche secolo di discriminazioni, derisioni, incomprensioni, isolamenti e luoghi comuni. Quando ancora non esisteva nemmeno una parola per definirle“.

Concludiamo con le sue parole: ci piacerebbe continuare ad indagare questo territorio ancora troppo sconosciuto, e comprendere le metodologie umane che sostengono ogni disparità e discriminazione, che ovviamente si sommano alle tante altre forme consolidate, anche con l’aiuto dei tanti che condividono con noi l’antica passione per la libertà espressiva del talento.

Non abbiamo più tempo per costruire recinti, ma solo edifici. Ci attende un nuovo tempo per ascoltare le storie di mille altre protagoniste sconosciute che tanto hanno fatto per questa professione. Dobbiamo imparare a pensare indifferentemente alle considerazioni sessuali, e capire perché siamo legati antropologicamente all’idea che un Presidente della Repubblica, un Capo può essere chiunque, basta che sia uomo.

Con buona pace dei troppi che diranno che non è così, perché sono le statistiche che parlano chiaro, per una Levi Montalcini, o Fabiola Gianoli, ancora troppe donne aspettano che venga riconosciuto il giusto talento, a parità di capacità professionali.

La volontà di queste donne che sono riuscite, da Plautilla a Zaha può aiutare, sommata a quella delle migliaia che hanno costruito la storia del mondo, della cultura e della creazione, ma dobbiamo toglierci la corazza retorica di dosso, dobbiamo combattere contro l’arcaismo dei sessi,
debole e/o forte, e soprattutto contro i ruoli culturalmente pre-confezionati.

Siamo grati per i 10.000 ascolti di 50 puntate Podcast, grati ai numerosi lettori, oltre 100 mila, che hanno scelto di seguire e condividere i nostri articoli con protagoniste femminili e non.

Riportiamo di seguito tutti gli articoli che raccontano un anno intero di ricerca e studio sul ruolo di tante donne, così diverse tra loro, ma unite da un invisibile “fil rouge” nel mondo dell’architettura e del design.


Donne e architettura, qualche secolo di discriminazioni, derisioni, incomprensioni, isolamenti e luoghi comuni

Solo poche righe per iniziare a raccontare la storia grande (a puntate) di una piccola sequenza di donne-architette, “architettrici” che sono riuscite ad affermare la propria personalità umana e professionale a ridosso dei secoli passati o che stiamo vivendo.

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Scelte eponime, contrastanti, molto diverse tra loro ma accomunate dalla stessa forza di volontà e passione che le rende tutte figlie e nipoti orgogliose e appassionate di Plautilla Bricci, o Briccia come si firmava, in quanto figlia di Giovanni Bricci.


Perché l’assegnazione del Premio Pritzker 2020 a due architetti – architette – donne fa ancora notizia?

Infrangere il tabù, , quindi possiamo evincere che il tabù ancora esiste e non sono bastati illustri “predecessori” di genere femminile a farlo cadere- in 40 anni di storia sono state solo tre le vincitrici prima di loro, ovvero sua maestà Zaha Hadid nel 2004, Kazuyo Sejima nel 2010 con Ryue Nishizawa e Carme Pigem nel 2017 con Ramón Vilalta e Rafael Aranda ). La battaglia sul campo dell’empowering femminile è ancora accesa e trova nel duo Irlandese due scintillanti, nuove paladine!


La scomparsa di Nanda Vigo, architetto, artista e designer (e nell’ordine che volete voi)

Nanda Vigo ci teneva molto a raccontare quell’humus culturale che l’aveva prodotta e che lei aveva contribuito a creare, in una Milano priva di lustrini al limite degli anni cinquanta, un mondo di enormi talenti brulicava le terre desolate delle avanguardie italiane, cercando sprovincializzare la più grande provincia del mondo: l’Italia.

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Nel cielo stellato di Zaha Hadid

La prima volta che l’ho vista, sarà stato il 1983, era seduta sul pavimento di cemento del suo studio, con attorno due o tre assistenti, davanti ad un pannello di due metri per due, dove stavano dipingendo a tempera(sic!) alcune tavole del concorso del Peack di Hong Kong.

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La stanza era satura del concerto per pianoforte e orchestra n.23 di W.A. Mozart, ma ad un volume soffice, leggero, un vero sottofondo aristocratico.


Lina Bo Bardi, “il Brasile è il paese dove voglio vivere”


Nessuna donna nella storia dell’architettura italiana del XX secolo ha mai raggiunto un’iconicità teorica, un progetto esistenziale, sentimentale e professionale globale come Lina Bo Bardi, la sua parabola cresce, si costruisce nell’ Italia fascista, dalla laurea nel 1939 a Roma, alle prime esperienze milanesi, dove arriva nei primi anni ’40.

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A partire da Gio Ponti con cui si forma e dunque con l’incontro con quello che rappresenta uno dei più importanti critici d’arte dell’epoca, quell’autore della “tavola degli orrori” che nel 1933 mette alla berlina le forme più accademiche dell’architettura italiana, naturalmente inascoltato.


Dannati Architetti, un podcast con accento al femminile

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Eileen Gray, la passione, il delirio e la genialità al potere

Niente è come appare nella tormentata e aristocratica irlandese Eileen Gray, che sia pure come una luminosissima meteora attraverserà uno dei periodi più straordinari ma terribili della creatività europea del secolo scorso.

Tutto, come sempre comincia per caso, e con l’Esposizione di Parigi del 1900, trionfo del progresso in un Ballo Excelsior permanente dove la giovane Eileen respira un’aria che non è un’atmosfera e tocca l’impalpabile gioia di poter partecipare, di essere dentro pur non essendoci in quel mondo che non “pensa ancora cubista”, ma che “respira impressionista”.


Semi di rigenerazione: architettrici

l progetto Architettrici è un progetto ambizioso, che ha come sua ultima finalità la creazione del più grande archivio sul lavoro delle donne nell’Architettura. Un archivio di posizioni biografiche, di documentazione fotografica e scritta, di saggi, articoli, disegni e progetti. Una “Quadriennale” dell’Architettura femminile a respiro globale; in questo senso, fonte preziosissima di notizie e materiali, a beneficio di studenti, studiosi, architetti e storici.

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Esiste un filo rosso che lega le opere delle architettrici nel tempo? Esistono invarianti? Esistono tematiche privilegiate? Si può parlare a diritto di Architettura al femminile, oppure è soltanto un’altra maniera, senza presunzione di genere?


L’amore, il sogno e la storia tra Ise Frank e Walter Gropius

Si incontrano per caso, ad una conferenza all’Università di Hannover, spinta dalla curiosità di un’amica architetta, Walter Gropius ha quaranta anni e Ise Frank ne ha compiuti ventisei.

Non si è mai occupata di architettura ma ha speso gran parte della sua vita a scrivere recensioni ed altro, e la letteratura occupa, oltre all’impiego in una piccola casa editrice di Monaco, le sue giornate.


Patricia Urquiola. Design, rigore, creatività

La sua produzione spazia a 360° dall’architettura al design e ci dà atto della forza della creatività. Gioco e sperimentazione sono due facce della stessa medaglia e permettono di aprire la mente nella percezione della realtà. Come ha sviluppato questo approccio?

Patricia Urquiola – Un buon designer è un buon lettore e traduttore della società. Negli ultimi anni tutto è diventato un po’ più grande, veloce, complesso, diversificato, ma il processo è lo stesso. Penso mi abbia aiutato molto l’insegnamento dei miei maestri. Oltre a credere che la soluzione sia solo alla fine di un processo. Il difficile è rimanere onesti, capire quando spingere e quando fermarsi. Si potrebbe continuare un progetto per sempre, migliorarlo fino all’ultimo secondo, ma bisogna rispettare il tempo per farlo entrare nel mercato.


Giuseppina Grasso Cannizzo riceve il prestigioso Premio alla Carriera In/Architettura 2020

Impossibile da catalogare nelle sovrapposte tendenze del design dell’involucro come beau geste foto/grafico, concentrata in poche opere tanto scarne quanto ben stagliate sul suo paesaggio di elezione, affilata e abbagliante come una lama al sole.

L’architettura di Giuseppina Grasso Cannizzo può anche avvicinarsi al confine con l’arte: come quando, raramente “si espone” a raccontare il proprio lavoro e nel sottile spessore del semplice foglio di carta carica i molti significati di un corpus di progetti che – come lei stessa dichiara – sono  realizzati al 2% e per il restante “archiviati in fase esecutiva”.


Donne e arte per il pensiero forte

Un Museo e una Donna. Joseph Beuys e Lucrezia de Domizio Durini.

La conosco da decenni ed è l’unica persona che mi stupisce ad ogni incontro per la sua imprevedibilità e per la forza che infonde al pensiero e alla sua immutata volontà d’azione, ai progetti e alla sperimentazione culturale.

Lucrezia è un solido geometrico complesso, sfaccettato, pieno di segreti nascosti e di potenzialità ancora inespresse, simile a quando cominciò ad occuparsi d’arte contemporanea, attraverso la sua Galleria, e quindi successivamente, dopo l’incontro fondamentale con Beuys.


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