Maurizio De Caro

Editrice il Quadrante

Un architetto atipico come Maurizio De Caro non poteva che produrre un testo visionario ai confini dell’utopia, unico nel suo genere, dove l’architettura viene spiegata attraverso l’udito. Suona strano? Qualcuno potrebbe arguire “perché non la vista?”

Ma se, come diceva Goethe, a cui fa eco Schopenhauer “la musica è architettura liquida, l’architettura è musica congelata”, l’equazione è presto svolta.

Maurizio De Caro

Mentre le arti colgono la Volontà in maniera mediata, cioè rappresentando le Idee, la musica è un’immagine immediata della Volontà nella sua trascendenza. Essendo quindi indipendente rispetto alle Idee, «la musica è del tutto indipendente anche dal mondo fenomenico, semplicemente lo ignora, e potrebbe in certo qual modo sussistere anche se il mondo non fosse più affatto, il che non può essere detto a proposito delle altre arti». Bella sfida per l’architettura contemporanea.  

Mi senti? è un Trattato sull’Architettura come Comunicazione Umana.

Un trattato imbevuto di spirito filosofico, frutto di un percorso di studio e di lavoro sicuramente lungo e articolato. La narrazione trae spunto sorprendentemente dalle tesi di antropologia strutturale di Lévi-Strauss e dagli archetipi di Elémire Zolla (saggista, docente universitario, esploratore ardito delle vie di conoscenza di Oriente, Occidente e dei mondi indigeni) per poi aprire la diga e inondare territori nuovi tramite un’analisi comparata del contesto socio-politico, economico, culturale nel mutamento di comunicazione dell’attuale realtà sociale.

Questo Trattato sull’Architettura come Comunicazione Umana è una provocazione, nel senso migliore del termine, per certo stimolo utile alla discussione fuori dagli schemi, un progetto di rinascita e speranza per il futuro, sulla volontà di ripensare una disciplina forse sempre più prossima ad una “crisi di nervi” culturale.

Entrando nel vivo dell’opera si prova la stessa all’emozione dell’ascolto del suono primigenio dell’universo mondo, perché “il silenzio conserva la memoria di tutti i rumori che l’hanno attraversato”.

Così scrive l’architetto, che forse voleva fare il musicista o lo è a tutti gli effetti, nella sua intensa trattazione, ricomponendo schegge narrative che danno forma al suo pensiero muovendosi disinvoltamente tra discipline, tecniche e linguaggi anche molto diversi tra loro.

Il rapporto con la filosofia era storicamente connaturato a questa antica disciplina,  ma la visione sul mondo e sui suoi comportamenti procedevano ad un andamento lento che si è consumato, sostituto da ritmi e tempi sempre più veloci e compulsivi, si è persa la condivisione di un sostrato comune di usi, abitudini, costumi.

Le correnti, proprio come quelle marine, durano solo per un periodo limitato, passano, lasciando detriti sulla battigia o tracce labili di elementi architettonici già superati.

La scelta di dissezionare lo stato di salute dell’architettura contemporanea è sicuramente coraggiosa, indipendentemente dai risultati clinici che fa emergere.

Ed è qui che la filosofia diventa non solo utile, ma necessaria. L’esplorazione filosofica serve per ragionare su temi che, in qualche modo, toccano gli architetti, ad esempio: lo spazio, l’invenzione, la città, la generazione della forma, il potere. Capire qualcosa di quei temi aiuterà a progettare con una maggior consapevolezza, o una più approfondita convinzione sulle ragioni del progetto, e a capirne meglio effetti ed esiti comunicativi.

In realtà il nostro eroe si spinge oltre, ci invita ad assaporare l’dea di un’educazione del pensiero al senso profondo dell’armonia e al suo reale significato. Sotto l’aspetto pratico ci apre la strada alla sperimentazione e al “riconoscimento”, a vari livelli di manifestazione, di questo senso dell’armonia, risvegliandone in questo modo l’autentico e insopprimibile bisogno che è racchiuso nell’umano.

E’ un’armonia che richiede la nostra partecipazione attiva, il nostro contributo costante e nessun modello d’esperienza come quello musicale ce lo può far comprendere in maniera così evidente e tale da toccare le parti più profonde del nostro essere.

L’armonia nasce dal dialogo tra consonanza e dissonanza, tra pause e silenzi, tra rumore e suono… Il musicista e uomo di pensiero a cui l’autore fa riferimento è John Cage, al suo percorso fatto di sperimentazione e casualità, organizzazione del suono e aleatorietà, astrazione e neorealismo, gestualità e autonomia del suono inteso come una delle due modalità di presenza del silenzio.

Verificato l’effettivo parallelismo negli sviluppi di musica e architettura, che, nonostante abbiano affinità anche con le altre arti, sono tanto vicine da avere in qualche modo la stessa origine nell’armonia delle sfere celesti dell’antica filosofia greca (e qui si torna al legame architettura-filosofia).

Nell’epoca contemporanea sono numerose le sperimentazioni fatte con lo scopo di mostrare la presenza della musica nella progettazione di un’opera architettonica, a volte forzosamente ricollegata ad una determinata composizione musicale.

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Come scrive di lui Luisa Debenedetti , “De Caro è tutt’altro che indulgente con gli architetti contemporanei, secondo lui servi compiacenti e vanesi del potere economico di cui ne rispecchiano vizi e virtù, chiusi nella loro torre d’avorio, volutamente incompresi e sordi nei confronti della quotidianità, ma così l’idea muore, non ha ossigeno, soccombe sotto la mediocrità elevata al rango di talento e la politica vuole architetti e artisti semplici e leccaculo perché danno poco fastidio, l’atto immaginifico è un disegno che ha la forza di una puntura d’insetto, e questo serve a questa società di servi”.

Il saggio è un trattato d’amore, un grido di riscatto nei confronti dell’architettura per tornare ad essere atto/ pensiero innovativo che può ridisegnare il mondo. Fatevi sentire, fate rumore ma melodioso!

I 42 lemmi (mi fanno pensare alle 7 proposizioni Wittgenstiane del Tractatus moltiplicate per un numero esatto) possono essere letti senza seguire un ordine preciso e si prestano a molteplici interpretazioni e chiavi di lettura; in questo modo, paradossalmente, il lettore diventa egli stesso autore; sono frammenti di suggestioni emotive, pensieri eccentrici e concetti scritti non solo per gli addetti ai lavori.

Unendoci alla voce di Luisa Debenedetti, consigliamo a tutti la lettura di questo trattato – addetti al settore e non – che parla di architettura umanista e molto altro. Affronta il tema universale del nostro “essere nel mondo”, del recupero del Dasein, del senso di “gettatezza” all’interno della storia, dell’uomo che si interroga sul significato del suo essere con spirito dialettico. “Potremmo perfino interrogarci  sul senso dell’architettura, perché siamo ciò che sentiamo e lo spazio in cui lo ascoltiamo”.

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