L’incrollabile mito attorno all’abbazia di San Galgano a Montesiepi resiste indenne al passare dei secoli, così come la leggenda di Re Artù e del sacro Gral (nata intorno alla Tavola di Camelot, rotonda come la forma che disegna i contorni dell’eremo) ci porta- incredibilmente – in un remoto angolo di Toscana.
La storia di San Galgano a Montesiepi
Alcuni infaticabili seguaci, arrivano perfino ad ipotizzare che nell’Eremo di Montesiepi sia celato il Santo Graal (ostinatamente ricercato dai cavalieri arturiani, occultato in una cavità segreta sotto il pavimento a cui si accederebbe muovendo una pietra nell’anticamera della cappella). Cosa ha che fare questa affascinante storia con un pavimento in legno? Continuate a leggere per scoprirlo!
Un borgo, immerso nelle verdeggianti e solitarie colline, presso il quale la leggenda e il mistero si fondono, creando uno dei luoghi più suggestivi della spiritualità toscana: a Montesiepi, piccola località nel comune di Chiusdino, in provincia di Siena, è possibile scoprire l’antica storia di San Galgano e del suo eremo che, assieme agli imponenti ruderi dell’abbazia, costituiscono il più importante complesso religioso-monumentale del territorio e uno dei più rilevanti esempi di architettura gotico-cistercense in Italia.
L’eremo sorge in un angolo di terra solitaria e silenziosa, affascinante e raccolta, lungo la valle del fiume Merse. Secondo le fonti, durante il Medioevo qui non esisteva alcuna fortificazione: il toponimo Montesiepi, documentato fin dall’XI secolo, potrebbe derivare dal latino mons-saeptum, con l’accezione di recintare e contenere[1].
Galgano di Guidotto, il cavaliere ed eremita
Fin dai tempi più antichi l’eremo è stato associato alla figura di Galgano di Guidotto, cavaliere ed eremita vissuto nel XII secolo. La leggenda racconta che Galgano «passò la sua gioventù nelle sregolatezze del vivere, dalle quali […] fu redento per una visione che ebbe a Siena dell’Arcangelo S. Michele»[2]. Galgano era infatti destinato fin dalla nascita a diventare un cavaliere esperto nell’arte della guerra; era quindi un giovane arrogante e violento, fino a quando non decise di seguire una vita di penitenza ed eremitaggio. «Nel tempo del sonno gli apparve l’Arcangelo S. Michele, e con misteriose immagini gli fè conoscere che doveva indirizzarsi al Monte Siepi, quattro miglia circa distante da Chiusdino, in quel tempo solitario, e ricoperto di folto bosco»[3].
Il giovane, profondamente colpito, si ritirò a Montesiepi nel 1180. Per prima cosa cercò di tagliare della legna con la sua spada per fare una croce, ma non riuscendoci gettò l’arma per terra, che si incastonò in una roccia[4]. L’elsa divenne così il simbolo della croce a cui il cavaliere, divenuto eremita, rivolse le sue preghiere. Inoltre trasformò il suo mantello in un saio e rimase in quel luogo per tutto il resto della sua breve vita. L’esperienza eremitica di Galgano, infatti, durò solo undici mesi; morì a Montesiepi il 30 novembre 1181.
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L’eremo di San Galgano possiede una singolare forma cilindrica; l’esterno presenta un paramento murario realizzato con bozze di travertino disposte a filaretto; sono visibili anche alcune fasce bianche e rosse. L’interno presenta invece un basamento circolare in pietra, mentre la grande volta emisferica è composta da anelli concentrici: questo tipo di realizzazione è riferibile all’ambito del romanico pisano-lucchese. Una volta a crociera, presente nella cappella laterale, sovrasta gli affreschi realizzati, agli inizi del Trecento, da Ambrogio Lorenzetti[5]: affreschi prima staccati, restaurati e poi ricollocati nella loro sede insieme alle rispettive sinopie, venute alla luce durante i lavori di restauro.[6]
Il fascino delle antiche pietre di Montesiepi, con i suoi colori, si riflette nella collezione parquet Heritage filigrana. Un pavimento in legno illuminato dalla natura, autentica interprete di armoniosa bellezza senza tempo.
All’interno dell’eremo, protetta da una teca, è ancora oggi visibile la spada del Santo. La fortuna dell’abbazia di San Galgano durò nei secoli proprio grazie alla popolarità della spada incastonata nella roccia e all’eco del mito arturiano, secondo cui il condottiero britannico Artù avrebbe estratto la magica e misteriosa spada proprio da una roccia.
Perche l’abbazia di San Galgano è senza tetto?
Nel 1786, un fulmine colpì il campanile della chiesa, facendo crollare anche il tetto. I monaci scelsero di non ricostruire la copertura trasformandola, dopo una necessaria sconsacrazione, in stalla.
Molti hanno pensato, sbagliando, che quella presente nell’eremo di San Galgano fosse proprio la spada di Artù. Galgano però è un personaggio realmente esistito – come attestano vari documenti – mentre Artù appartiene all’affascinante mondo della leggenda. Inoltre è bene sottolineare che gli atti del processo di beatificazione di Galgano risalgono al 1185, data precedente a quella del Perceval di Chrétien de Troyes, opera che diede origine al ciclo arturiano, e quasi venticinque anni prima dell’opera Parzival del cavaliere medievale e poeta tedesco Wolfram von Eschenbach.
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Poco lontano dall’eremo sorge l’abbazia circestense. Consacrata nel 1288, nel corso dei secoli fu protetta da personalità illustri come l’imperatore Enrico VI, Ottone IV e persino Federico II; anche papa Innocenzo III esentò l’abbazia dalla decima. L’abbazia visse una vita lunga e felice, ma la situazione cominciò a peggiorare con l’arrivo prima di una carestia e poi con il terribile flagello della peste, che vide i monaci duramente colpiti.
La chiesa presenta un’abside rivolta perfettamente a est e una facciata semplice e lineare a doppio spiovente. La pianta è a croce latina e si conclude con un ampio transetto.
All’interno dell’abbazia la sala più importante era quella capitolare: attraverso un portale ad arco a sesto acuto, si accede in un vasto ambiente, diviso in campate, con colonne che sorreggono delle volte a crociera. Qui si riuniva il capitolo dei monaci per deliberare gli atti che riguardavano il governo della comunità.
Anticamente l’abbazia di San Galgano era ricoperta da un vasto tetto; oggi, invece, la sua maestosità e grande peculiarità è proprio la mancanza della copertura. La luce del sole entra solenne nella navata, facendo risplendere la struttura in tutta a sua bellezza. Al tramonto, i toni caldi del giorno morente filtrano attraverso il rosone centrale della facciata e, durante le notti d’estate, un cielo stellato, quasi dipinto, fa da tetto all’intero edificio.
[1] V. Volta (a cura di), Rotonde d’Italia. Analisi tipologica della pianta centrale, Editoriale Jaca Book, Milano, 2008, p. 115.
[2] Memorie Storiche di Massa Marittima compilate dal prof. Stefano Galli da Modigliana, Cittadino Massetano, edite per cura di Olinto Comparini con note, documenti ed illustrazioni, Parte Prima, Tipografia A. Dionigi, Massa Marittima, 1871, p. 395.
[3] Compendio della vita di S. Galgano, Firenze, 1835, p. 13.
[4] G. Ortolano (a cura di), 101 luoghi misteriosi e segreti in Italia, Newton Compton Editori, Roma, 2012.
[5] Toscana, Umbria, Marche, Torin Club Italiano, Milano, 2020, p. 237.
[6] M. Marini (a cura di), Chiusdino. Il suo territorio e l’abbazia di San Galgano, Siena, Nuova Immagine Editrice, 1995, pp. 100-101.
In collaborazione con About Umbria
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