Con il contributo di Sergio Corsucci
Cosa sarebbe l’uomo senza la fede, in questo caso potremmo domandarci cosa sarebbe stato l’artista senza la fede? Un incontro che avvenne con la conversione in età adulta. Un avvenimento fondamentale, quello dell’abbraccio con la fede cristiana e la nascita di una “amicizia operosa” che vede Mazzotta legarsi a diversi professionisti e artisti. Inizia così “un’avventura attraverso la conoscenza di tanti uomini che hanno a cuore l’amicizia per l’Altro”. E in questi rapporti si condensa tutta la sua vita e il suo produrre bellezza (che sa anche di buono). Proprio come nell’estetica classica era l’unione di bellezza e di bene una delle vie possibili per il raggiungimento della verità.
Albino Americo Mazzotta nasce a Collecchio, in provincia di Parma nel 1941 (data emblematica per la sua opera futura). Eccelle nel disegno, tanto che inizia ad andare a bottega presso un famoso pittore, Alessandro Gallucci e presso il pittore-ceramista Bruno Baratti entrambi pesaresi. Il padre lo incoraggia ad scriversi ad Architettura a Firenze, ma lascerà dopo pochi anni per dedicarsi anima e corpo alla pittura, passione che lo accompagnerà fino ai suoi ultimi giorni.
Nel 1981 un brutto incidente innesca una catena di “dolorosi interrogativi e riflessioni”, dal travaglio interiore nasce “Odissea”: una serie di quattordici dipinti a sanguigna su carta. Qui, sulle tracce di Ulisse, l’artista descrive la metafora della sua vita.
La sua prima importante commessa giovanile fu la decorazione di una pittura murale nella chiesa della Madonna del Rosario di Redecesio, a Milano: un’opera di 147 metri quadrati in monocromo e sanguigna, dedicata a “La battaglia di Lepanto”.
L’evento, che evidenzia la devozione alla Madonna del Rosario, è raffigurato in toni altamente drammatici, in una “tensione geometrica” delle figure umane assiepate attorno a linee convergenti verso il centro, con la croce che sovrasta l’altare. Qui lo “stile” di Mazzotta, quello dei grandi affreschi a contenuto storico, si legge nel realismo del disegno che dispone la moltitudine dei volti e dei corpi lungo assi longitudinali e trasversali in un movimento scenico che ricorda le salite e le discese del Giudizio Universale, di quello michelangiolesco in primis.
Il modello della “bottega” è parte del suo vissuto e dell’intimo desiderio di “fare scuola”, di trasmettere la propria esperienza ai giovani che volessero intraprendere la strada dell’espressione artistica. A Rimini nel 1989 dipinge la “piazza della Maieutica” adoperando la tecnica a sanguigna, ormai divenuta sua cifra pittorica ed espressiva. Una sorta di “Scuola di Atene” animata da personaggi tra i quali, Guitton, Ionesco e Tarkovskij. Con il famoso regista russo esule a Firenze, nacque una profonda e duratura amicizia, tanto che i due si incontravano spesso nella casa-studio di Mazzotta a Bagazzano , nei dintorni di Fiesole.
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Tra gli altri sodalizi artistici ricordiamo quello con l’architetto vetratista Calogero Zuppardo di Palermo, con il quale fonderà l’Associazione” Il Baglio”. Da qui avrà inizio la fase dedicata alla progettazione e alle pitture di vetrate. I viaggi sono parte integrante della sua vita, per ben 25 anni visiterà e sosterà in varie città d’Italia e d’Europa seminando amicizia e bellezza.
Suo l’affresco realizzato per l’ingresso dell’Università Lateranense – dove avvenne il suo incontro personale con Giovanni Paolo II – Ricordiamo anche il suo laboratorio di progettazione iconografica al Master di Architettura presso l’Università Regina Apostolorum.
In uno dei lunghi soggiorni siciliani, avviene l’incontro con L’architetto Molfetta – progettista della chiesa di San Giuseppe Lavoratore ai margini del campo di sterminio di a Oswiecim-Auschwitz –il quale gli propone di occuparsi della sua decorazione, che prenderà lentamente forma dal 1994 al ‘97.
L’autore racconta di uno dei momenti dello studio preparatorio alla realizzazione del lavoro per la chiesa «E poi le visite al campo… a vedere quei volti bellissimi; a scoprire, con stupore, le analogie con i nostri tempi… La commozione di fronte a quelle facce è stata il primo spunto. Guardandole pensavo a ciò che costituisce la vita di ogni uomo, la sua provenienza, gli affetti, le speranze, le amicizie, il lavoro, gli studi, i desideri che ciascuno porta con sé e costituiscono la nostra identità. Là tutto era reso informe e spariva inghiottito dai forni. Ma le facce sono restate e ti guardano. Non si finirebbe mai di contemplarle, come si fa con le persone care quando ti sono lontane».
Si trattò di un arduo incarico, per l’uomo più che per l’artista che scrisse: “ Così mi sono messo a studiare; di grande aiuto mi sono stati gli scritti di Francesco Ricci e Stanislaw Grygiel sull’Europa; la conoscenza della vita e delle opere di Massimilano Kolbe, di Edith Stein, di Primo Levi ed altri”.
Papa Woitila visitando il campo nel ‘79 l’aveva definito “il Golgotha del mondo contemporaneo”. Lì Cristo stesso era crocifisso assieme al suo popolo. In occasione di un primo viaggio sul posto, di fronte a tale dramma, Mazzotta si chiede: “Ma lì Dio dov’era?”. Con questa domanda e con un chiaro giudizio ripartirà da Auschwitz e elaborerà il tema suggerito: “il perdono”.
Lavora all’impianto iconografico complessivo; la pittura murale ha per titolo un versetto di Isaia, «Le vostre ossa saranno come erba fresca», il pittore raffigura il campo di concentramento, un corteo doloroso di ignudi che procedono silenti verso le camere a gas, uomini ombra destinati alla cenere: “Morte e Resurrezione”. Qui la storia diviene cammino di redenzione attraverso il dolore. In questo modo descrive le scene del campo di sterminio culminanti nel volo verso il cielo dei corpi, come trasfigurati; una grandiosa composizione monocromatica a sanguigna su fondo ocra, che riempie la superficie di duecento metri quadrati delle due absidi.
Interno della chiesa di San Giuseppe Lavoratore a Oswiecim-Auschwitz
Progetta le tre grandi vetrate dell’abside, “Il Golgotha” con la Crocifissione di Cristo e dei due ladroni tra i deportati nel lager, e la vetrata di San Giuseppe, poi in quattro episodi: il racconto di come la Polonia abbia salvato l’Europa attraverso “La battaglia di Vienna”del 1683, i fatti di “Varsavia” nel 1920, la vittoria disarmata di Solidarnos’c’ con Lech Walesa e il martirio di padre Jerzy Popiełuszko del 1983 e infine la “Terzo millennio adveniente” (Lettera apostolica) di Giovanni Paolo II, mentre le 14 finestre laterali ospiteranno le stazioni della via crucis.
Uno struggente incontro lo attende ad opera ultimata; il pittore è intento a scattare alcune fotografie all’interno della chiesa, sta uscendo quando vede parcheggiare una vecchia Fiat 500 e uscirne due anziani. Un uomo e una donna si rivolgono a lui in polacco, poi in inglese e alla fine in francese, lingua che conosce; l’uomo chiede di poter entrare, la donna tace; li accompagna all’interno e l’uomo dopo un lungo silenzio chiede chi abbia fatto quel lavoro, con un po’ di imbarazzo Mazzotta confessa di essere lui l’autore, allora l’anziano signore si tira su la manica della camicia e gli fa vedere i numeri tatuati sul braccio poi chinandosi gli prende le mani e con le lacrime agli occhi gliele bacia, anche la signora, un passo più indietro, piange silenziosamente.
L’arte per Mazzotta ha un compito al cospetto della storia , trasfigurare non già l’effimero ma ciò che è mortale. Essa non è in sé redenzione ma vi anela e questa, quando è autentica , brilla come un lampo di redenzione: ancora una volta colui che guarda è coinvolto nella visione, l’artista non dipinge solamente un soggetto dato, lo rivive, lo rende presente.
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Per la St. Joseph Catholic Church di Nairobi, ad opera dell’architetto Luigi Cioppi, Mazzotta viene chiamato a dare un suo personale contributo intervenendo sulla pavimentazione della chiesa con la raffigurazione dell’Eden, che lascia ampio spazio alla raffigurazione di animali delle più svariate specie.
Dichiara l’artista: “E’accaduto che nel mio peregrinare nelle periferie del mondo abbia incontrato isole di umanità, oasi e fortezze che sussistono e che insieme costituiscono la testimonianza che la memoria non è spenta, che il desiderio di buono di bene e di bello è pur sempre vivo nei popoli.
A più riprese dal 2001 al 2011 è impegnato a dipinge le pareti di fondo delle cappelle nella nuova ala del Cimitero Monumentale della Misericordia di S. Maria dell’Antella a Bagno a Ripoli, progettato dall’architetto Adolfo Natalini.
Il programma iconografico fa parte del ciclo dedicato ai Misteri del Rosario, che prevedeva 60 opere (3 scene diverse per ogni mistero), di cui l’artista ne realizza dodici; la decorazione complessiva è rimasta incompiuta a causa della morte dell’artista.
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La vista dei vari affreschi sia dal piano terra con il prato, che dal primo piano, assumono il ruolo di fondale delle varie cappelle e sembrano essere dipinti per un luogo diverso da un cimitero. Nelle singole cappelle le persone che si recano a rendere omaggio ai propri cari, possono sedersi alla base dei dipinti e grazie ad una panca, fermarsi in preghiera e in meditazione.
Un’opera, questa, che risulta tra le più complete e complesse della ricerca estetica e formale del pittore, oltre a formare la sua eredità artistica. L’artista, attraverso vari interventi, ha lavorato complessivamente al Cimitero della Misericordia dell’Antella per oltre venti anni.
Inizia, poi, una fase di “ voluta solitudine” a Figline val d’Arno, in concomitanza con la scoperta di una grave malattia, che sarà interrotta solo dalla compagnia dei tanti amici che lo andranno a trovare. A luglio del 2020, il giorno del suo ultimo compleanno, alcuni amici sono andati a fargli festa e lui, commosso, ha consegnato ai presenti il suo commosso testamento umano: “Ho vissuto una vita bellissima, ho servito con orgoglio il mio Signore, e ho l’orgoglio anche di avere tanti amici”.
Sarà ricoverato nel Hospice di San Felice vicino Firenze, dove ritrova una certa serenità che gli permette di eseguire ben 177 disegni – prima della sua dipartita verso il cielo – avvenuta nel novembre dello stesso anno.
Il progetto di erigere un memoriale in suo ricordo presso il Cimitero Monumentale della Misericordia di S. Maria dell’Antella è volontà degli amici rimasti su questa terra.
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L’opera consiste di una lastra di pietra serena di un’altezza di tre metri con al centro un ‘apertura, una vera e propria finestra, dove è posto un gruppo di persone, fuse in bronzo che guardano verso l’alto. Non possiamo svelarne tutti i segreti ma ci auguriamo che presto possiate volgere lo sguardo verso di essa, dove la scultrice Paola Ceccarelli ha voluto appoggiare tre elementi: il cappello del pittore, i pennelli che configurano la croce e che ne identifica l’appartenenza alla fede cristiana, e la tavolozza del suo lavoro.
Con Galileo Chini (uno dei più insigni artisti del Liberty in toscana e nel mondo) e lo stesso architetto Adolfo Natalini (che curò l’ampliamento del cimitero dal 1988 al 2008). Mazzotta è uno degli artisti che negli anni ha contribuito ad arricchire con le sue opere il cimitero monumentale e ora, con gli altri due artefici, riposa nel cimitero che ha reso luogo di bellezza.
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