“Il libro delle case” è stato selezionato per la cinquina finale del Premio Strega, e Andrea Bajani si riconferma come uno dei più stimolanti scrittori delle ultime generazioni (è nato nel 1975),ma questo testo, denso e intrigante ci spinge anche a pensare al senso stesso della Critica, come impulso ad una nuova centralità umana nell’analisi dei luoghi che abbiamo attraversato. La letteratura, il racconto dello spazio umano rende l’architettura molto più legata ai personaggi (non è secondario che si chiamino: IO, MOGLIE, PADRE etc) come a voler riassumerne i caratteri universali. Bajani ci appare come il primo esponente di una neo-critica estetica inconsapevole che lega la letteratura a tutte le altre forme espressive, architettura compresa.

Il protagonista è semplicemente IO. Ed è l’autore ad assumersi questo elevato rischio, imprescindibile della tecnica narrativa, perché raccontare la vita di un essere umano non è altro che elencare le case, gli spazi in cui ha vissuto, amato, sofferto, abbandonato o sognato.

La letteratura colta di Andrea Bajani, prolifico e premiatissimo autore romano, si impone di essere critica senza averne la necessità, affonda la sua capacità di vivisezionare l’esistenza dando all’architettura minima, intima di ogni personaggio, quella profondità che la descrizione funzionale ed estetica non potrà più avere, quando il romanzo di una vita diventa la sequenza ininterrotta degli scenari che abbiamo attraversato.

“IO” sono lo spazio, pieno di emozioni, stanze, arredi, umori, profumi, dove cresco, cambio, produco empatie e violenze private, ma così private da diventare esempi, e mi sposto nello spazio e nel tempo tra luoghi reali, immaginati, sognati oppure semplicemente dimenticati, tra ricordi e segreti, tra piaceri e sconforti.

La casa è “il mondo del mondo”, è l’unità di misura delle nostre antropologiche necessità, il punto di partenza e di arrivo, dove non c’è mai il “per sempre”, il definitivo che ci possa contenere, perché le nostre emozioni, le emozioni di IO sono sempre mutevoli e cangianti verso territori e spazi inconoscibili, tra superflui sopportabili e necessità imponderabili.

Il libro delle case come manuale di architettura intima, diviene l’impianto storiografico di una minuscola comunità che percepisce e si rapporta all’universo, attraverso la produzione delle sue “tane transeunti”, suoni e vapori che scompaiono o si trasformano nella sequenza degli “spiriti dei tempi” che abbiamo attraversato.

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Andrea Bajani – Il libro delle case

Un testo geniale, essenziale e poetico, come solo la grande letteratura può essere, fatto di una scrittura profonda, musicale e apparentemente semplice, con un IO narrante che tanto ci assomiglia e in cui tanti si ritroveranno per le passioni, le delusioni, le amarezze e le poche illusioni.

E’ un libro che andrebbe letto dai progettisti e dai critici perché li (e ci) stimola ad un’immersione nei paradigmi dell’abitare, nel mistero dello spazio che scegliamo e amiamo, come estensione del nostro “sentire”, non condivisibile e difficilmente raccontabile, al di fuori della narrativa che ci permette di “vedere”, quanto è nascosto il nostro IO che guarda quella parte di mondo che ha deciso di abitare.

L’architettura come strumento di narrazione, e la casa come archetipo di ogni racconto umano, preso nella sua purezza di contenitore indifferenziato di oggetti ed emozioni, che vive anche al di fuori della nostra presenza che ha un’anima anche senza di noi che lo abbiamo colonizzato con le nostre abitudini, con le consuetudini del vivere.

La cultura letteraria di Bajani ci consente di mettere in discussione le nostre capacità critiche, le specializzazioni professionali che garantiscono una separazione tra il progetto esistenziale, e quello tecnico, estetico, insomma l’evidente ritorno alla descrizione della vita, che occupa lo spazio che ogni architetto ha avuto la presunzione di pensare, per tutti gli altri che poi, sono quelli ne percepiranno la vera essenza, in solitudine.

Perché ogni casa è un’idea di luogo personale, fisico, una parte del corpo di IO, un organo misterioso che ha spasmi e necessità di cure, che possiamo amare o odiare soltanto perché i ricordi lo possono permeare di bellezza o di angosce, e noi siamo consapevoli che lo scrigno dei nostri pensieri volubili ci condizionerà per un minuto o per tutta la vita.

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Settanta sette volte l’autore parla della casa, e delle case che IO ha abitato in meno di cinquanta anni di vita, case fisiche o virtuali, luoghi di omicidi e di prigionie eccellenti, di abitazioni sopportate nell’ansia della fuga e di tenerezze, di trasgressioni e di noie irrisolvibili, in poche parole l’esistenza spiegata in tutte o molte sue declinazioni.

Ogni IO dunque è il mondo o almeno la sua metafora più alta, e ogni casa rappresenta l’idea più semplice e complessa dell’umanità, che possa essere descritta.

Il merito dunque di Andrea Bajani è naturalmente quello di averci aperto un mondo parallelo, un manuale delle emozioni, capace di riportarci a riflettere sul significato di ”casa” e sulla potenza della parola “IO”, che poi è il destinatario di tutte le nostre ricerche estetiche e di qualche antica convinzione, un saggio sull’umiltà del progettare, che in fondo è solo un servizio al benessere di chiunque.

L’architettura serve solo ad alleviare le nostre vicissitudini quotidiane e dare conforto volumetrico al nostro agire scomposto e spesso incomprensibile, ma almeno la tana, il ventre esterno alla Madre è l’unica certezza, per dare un senso compiuto alla nostra quotidianità e renderla degna di essere vissuta.

La letteratura come la poesia rimane nella sua essenza, la modalità più semplice e irrinunciabile per indagare l’esistenza e continuare a darci consigli che, per giusti o sbagliati che possano essere, rappresentano l’unico modo per far crescere le nostre necessità intellettuali che danno il senso più alto alla cultura del progetto, prima che alla volontà dell’ abitare.


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