“Proteggere la giungla è proteggere noi stessi”. (James Cameron – Avatar)
Il concetto di “giungla urbana” si è evoluto nel tempo. Inizialmente, era usato per descrivere la crescita incontrollata delle città e il loro impatto negativo sulla natura. Visione, questa, che rifletteva la paura che l’urbanizzazione avrebbe distrutto l’ambiente naturale e portato al declino della civiltà. Per secoli il Colosseo è stato un rifugio di biodiversità: a metà del XIX secolo contava 420 specie di piante, molte delle quali esotiche. Poco tempo dopo, però, quando gli antichi edifici di Roma furono restaurati per diventare monumenti e attrazioni turistiche, tutte queste piante furono strappate via.
Ma il concetto di “giungla urbana” può essere reinterpretato in un’ottica più positiva. “Le città – spiega l’autore -, pur presentando sfide significative, possono anche essere viste come ecosistemi complessi e dinamici dove la natura può coesistere con l’ambiente costruito, ecosistemi ricchi di biodiversità che si sviluppa negli spazi abbandonati e trascurati”.
Di fronte all’emergenza climatica, le città sono in una posizione precaria. A dispetto di tutte le loro meraviglie ingegneristiche, non sono progettate per gestire temperature più alte, tempeste imprevedibili e innalzamenti del livello del mare. L’ingegneria non basta a salvare gli abitanti delle città e ora l’attenzione si è spostata sulle cosiddette infrastrutture verdi. “E quando proviamo a figurarci le città del futuro – si augura Wilson -, più che a tecnologie ingegnose, macchine volanti e grattacieli dobbiamo pensare a fogliame che ricade giù dai palazzi, coltivazioni sui tetti degli edifici, prati urbani allo stato brado e boschetti impenetrabili”.
(1) Una teoria suggerita da Ford Madox Ford, scrittore nato in Gran Bretagna nel 1873 (il suo romanzo più famoso è “Il buon soldato”, 1915) e amico di Joseph Conrad e Henry James, propone che per giudicare un libro sia sufficiente leggerne la pagina 99, dove il tema è ormai delineato e la trattazione precisa. Perché non provare allora sul sito One a spostare la verifica a pagina 111?
[Ben Wilson: Giungla urbana. Pagina 111(1)] “La pianta, un noto cespuglio rotolante, fece la sua comparsa attorno a Bahnhof Zoo, che sarebbe poi diventata la principale stazione ferroviaria di Berlino Ovest. Il garofanino maggiore è anche chiamato “erba del fuoco”, perché ama la terra bruciata e cresce in abbondanza sulla scia degli incendi forestali. Edward Salisbury riteneva che i roghi provocati dalle locomotive e dai mozziconi di sigaretta gettati dai finestrini delle automobili avessero creato una pista bruciacchiata per questo arbusto, che aveva preso il volo dalle Highlands scozzesi e seguito le linee ferroviarie e stradali per raggiungere il centro di Londra nei primi anni del xx secolo. Il garofanino maggiore, facilmente riconoscibile dalle fitte chiazze rosa fucsia delle sue infiorescenze piramidali, era quindi simbolo di devastazione ma anche di speranza. Similmente, la buddleia venne introdotta in Europa dalla Cina negli anni Novanta dell’Ottocento come arbusto ornamentale e già nel 1922 se ne osservavano i primi esemplari crescere spontanei in natura. Opportunista pronto a sfruttare luoghi inospitali dove acquisire un leggero vantaggio, l’arbusto amava l’aridità dell’ambiente ferroviario, cresceva tra le rotaie e lungo le sezioni in sterro, si attaccava alle opere murarie sgretolate e correva lungo l’intera rete nazionale. Negli anni Quaranta del Novecento era quindi pronto a invadere i siti bombardati. Da allora, è l’emblema violaceo dell’incuria urbana, o dell’inattesa ricchezza ecologica dell’ambiente urbano, a seconda di come si vedono le cose. Le specie pioniere che colonizzarono i siti bombardati sono dette “ruderali”, termine che deriva dal latino rudus, “rudere”: erano piante che sfruttavano le macerie e i terreni colpiti da disturbi ecologici. I devastanti bombardamenti aerei avevano rilasciato grandi quantità di carbonio e di azoto nel suolo, e la malta usata nelle costruzioni aveva introdotto il calcio. I cu-“
TWITTA:Ben Wilson
Giungla urbana. Alla scoperta del lato selvaggio delle nostre città
Il Saggiatore, 2024
pp. 400
Isbn 9788842833956
Recensione di Danilo Premoli – Office Observer
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