Il Buen Retiro di Todi e la sua eredità.
“Anche così è’ stato breve, il nostro lungo viaggio” (Eugenio Montale)
Un viaggio dell’anima che ha portato Beverly Pepper dagli Sati Uniti al sublime Borgo di Todi, dove ha vissuto una parte significativa della sua vita, fino alla veneranda età di 97 anni.
“Nella mia vita – ha dichiarato – ho viaggiato in tutto il mondo ma la sola cosa di cui non sono riuscita a fare a meno è la mia casa-officina di Todi. La mia Berverly’s Hills sulle colline umbre”.
In una delle sue ultime interviste televisive inneggia al coraggio, spronando i giovani ad intraprendere con impavido senso di “gettatezza” la propria vocazione artistica. Perché il coraggio è la dota suprema per un’artista, ancor più dell’arte stessa.
L’età poteva aver minato la sua salute e limitato il raggio d’azione, ma la sua Fondazione procedeva spedita, portando avanti con reiterata passione le febbrili attività legate alla Biennale di Venezia, con la mostra all’Arsenale dedicata alla storia delle Todi Columns, e la recente inaugurazione del Parco di sculture «verdi» a lei dedicato e da lei fortemente voluto e sostenuto nella città umbra (che l’aveva eletta cittadina ad honorem, quale onorificenza poteva essere più degna di un personaggio così vertiginoso).
Una vita condivisa con il marito, giornalista e scrittore Bill Pepper, conosciuto a Roma negli anni ’40 durante il suo primo viaggio europeo, e all’amico-rivale Alighiero Boetti. L’aneddotica sulla loro amichevole litigiosità è parte integrante della storia dell’artista americana, nata nel quartiere di Brooklyn, a New York, nel 1922. Come molti studenti d’arte statunitensi giunti in Europa in quegli anni, si allontanò precocemente dalle discipline emergenti quali la pubblicità, il design e la fotografia per dedicarsi alla ricerca pura. Sul proprio cammino trovò – proprio a Roma all’inizio degli anni ’50 – le avanguardie principali del secondo dopoguerra, avvicinandosi agli artisti di Forma 1, Consagra, Accardi, Dorazio, Turcato. Incontri fatali che dovevano mutare per sempre la sua arte. E alla fine di quel decennio, nuovi modi produzione la condussero a scelte radicali.
L’ossessione di Beverly Pepper
Un’anima soggiogata dalla scultura: il suo interesse artistico era divorato dal desiderio di possedere forme primitive, usando materiali poveri e deperibili, come legno e argilla. Le dimensioni delle sue opere non toccano ancora quelle vette di monumentalità che la renderanno immortale sia al di qua che e al di là dell’Oceano. Torna qui il tema ricorrente del viaggio, pur risiedendo in Umbria, continuò a viaggiare imperterrita e a tornare con particolare frequenza a New York.
L’incandescente celebrità venne raggiunta quando Giovanni Carandente le aprì le porte del progetto collettivo per la realizzazione di Sculture nella Città per la V edizione del Festival dei Due Mondi di Spoleto. Consagra, nella sua autobiografia, ricordava lucidamente l’evento: «Nel ’62 tutto era felice nella vita dell’arte. Carandente era riuscito a organizzare a Spoleto la più grande manifestazione di scultura internazionale nella città. Il massimo godimento mai avuto con tanti scultori nel traffico quotidiano.
Il miracolo Carandente si era potuto verificare avendo suscitato l’interesse della cittadinanza, degli industriali e degli artisti». Una mostra en plen air ormai entrata a pieno titolo nella leggenda, che renderà – con il concorso dell’alta levatura degli artisti chiamati a raccolta dal critico – possibile la coesistenza e il dialogo tra fatti artistici, effimeri o meno, e le prerogative urbanistiche di una città. Ricordiamo sommessamente che le sculture di Calder, Consagra, della stessa Pepper sono ancora a Spoleto, proprio lì dove furono collocate originariamente.
La grande svolta
Un avvenimento culturale di tale portata e di indubbio appeal internazionale, lanciò a missile la carriera di Beverly Pepper e lei stesse diede inizio ad una biforcazione nella sua ricerca artistica, una sorta di shifting che le permise di muoversi liberamente tra discipline e forme espressive diversi tra loro, ma non necessariamente in contrasto: dalla land art al minimalismo di matrice statunitense, fino alle intersezioni «green» degli ultimi anni, pur mantenendo una coerenza di fondo nell’impiego di materiali ad uso delle sue “sempre più colossali opere”, protagonisti monumentali in grandi manifestazioni come la Biennale di Venezia, Documenta di Kassel o create ad hoc, come va di moda oggi site-specific, in contesti urbani, piazze e giardini.
Il suo era un dialogo intimo con la letteratura e con il genius loci, l’ambiente e il paesaggio umbro in particolare operò una forma di conversione sulla sua anima laica e attenta osservatrice della storia, un ripensamento della spiritualità francescana e del misticismo di Jacopone nelle sculture di alcuni sagrati di chiese.
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La sua grande dote, di donna e di artista, di tessere relazioni personali e professionali a più livelli, le permise di rinnovare il linguaggio e la cifra della sua opera. Sue testimonianze sono esposte al Metropolitan Museum of Art di New York, Il Museo d’Arte Moderna di Barcellona e lo GNAM di Roma.
L’eredità Umbra
Porta il suo nome – Parco Beverly Pepper – il primo parco monotematico di scultura contemporanea in Umbia ed unico firmato dall’artista nel mondo, mirabile impresa curata dall’architetto Paolo Luccioni, un percorso urbano-naturalistico che collega il Tempio di Santa Maria della Consolazione al centro storico. Concepito e disegnato personalmente dall’artista e costellato di sue opere e sculture donate alla città.
La sua realizzazione ha comportato l’iniziale bonifica del parco e l’installazione definitiva delle opere per consentire un dialogo costante tra esse e il contesto paesaggistico che le circonda. In questo flusso ininterrotto le San Martino Altars e le Todi Columns, suoi monumenti iconici, si ricongiungono idealmente alle venti sculture facenti parte della sua collezione privata – plasmate in materiali diversi ed appartenenti a diversi periodi della sua vita – che l’artista ha donato alla comunità.
L’opera monumentale è raccontata nel libro Il Parco di Berly Pepper
“L’area di intervento – ci ha raccontato l’architetto Paolo Luccioni, che ha diretto i lavori – interessa una parte significativa del parco della Rocca, che dalla Chiesa di San Fortunato si estende attraverso un percorso che comprende il Mastio della Rocca e l’ambito naturalistico del viale della Serpentina, fino al bramantesco tempio di Santa Maria della Consolazione.
Il progetto si caratterizza per l’installazione delle sculture che Beverly ha donato alla città, da lei scelta come seconda casa. Con Beverly è stato condotto uno studio dettagliato delle visuali e della situazione orografica per individuare i siti più idonei per posizionare ogni scultura secondo il concetto base della ricerca tematica che l’artista ha da sempre condotto: il rapporto con il luogo, sia esso naturalistico che urbano, l’integrazione-interazione tra l’opera/contesto/paesaggio.
Il percorso può essere affrontato nei due sensi senza che ne siano alterati gli aspetti artistico e scientifico. I protagonisti del parco e del percorso sono la scalinata di San Fortunato, le mura medievali, il Mastio della Rocca, il tempio della Consolazione.
Le sculture dialogano e si coniugano con essi. Il Mastio segna lo snodo del parco con le visuali verso la città murata ed il percorso naturalistico lungo il viale della Serpentina, dove le opere di Beverly si richiamano l’un con l’altra e sono in costante relazione visiva con il paesaggio e con la cupola della Consolazione”.
Con questo visionario progetto, l’architetto umbro con studio a Foligno, si è cimentato con un’opera unica nel suo genere che lo ha promosso sul campo custode dell’immortalità; una legacy destinata ad essere orgogliosamente tramandata di generazione in generazione, rendendo questo segreto angolo d’Umbria uno scrigno, semmai possibile, ancora più prezioso.
Photo Credits Giovanni Tarpani
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