Se siete a Bolsena non potete non fare una sosta ai piedi della sua monumentale rocca, il castello di Bolsena. Un’architettura intrisa di fascino e mistero, una fitta trama di leggende e fatti storicamente documentati si ordisce tra le sue possenti mura. Ogni visitatore potrà lasciarsi incantare da una storia diversa e seguirne il filo fin dall’origine, appassionandosi alla vita dei suoi protagonisti in carne e ossa oppure ritratti in un affresco.
Il Castello di Bolsena, noto anche come Rocca Monaldeschi della Cervara è una struttura risalente all’anno Mille, fortemente voluta dal Pontefice Adriano IV, la cui costruzione iniziò nel 1156. Questi era preoccupato per le sorti del territorio sotto la minaccia del grande Federico Barbarossa. Nel 1295 la Rocca passò ai Monaldeschi, nel XIV e XV secolo la fortezza venne ristrutturata e furono potenziate le sue mura difensive.
Bolsena è un piccolo gioiello collocato nel Lazio, in provincia di Viterbo. L’abitato, dominato dalla rocca Monaldeschi, si affaccia sull’omonimo lago di origine vulcanica (il più grande d’Europa). In centro si trova la magnifica collegiata di santa Cristina, datata XI secolo, e legata al miracolo eucaristico a cui accenneremo più avanti.
Con le sue maestose torri in pietra, che si specchiano nelle limpide acque del lago, la nostra visita al Castello inizia dal teatrale ponte di legno, che segna il passo d’ingresso al borgo medievale. Attraverso le sale del Museo e, salendo al secondo piano, incontriamo un ambiente dedicato alla storia, con reperti del periodo romano, etrusco e rinascimentale.
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Dalla sommità della mole, l’occhio si perde nella magia del panorama lacustre e dell’intera cittadina immersa in un intenso verde smeraldo. La costruzione è a pianta quadrata con torrioni angolari e coronamento a “sporto” su beccatelli di pietra. Nell’edificio sono stati inglobati l’antico muro di difesa della Rocca e la strada che saliva dal borgo sottostante.
Il castello, orgoglioso protagonista del centro storico, è ritratto in una affascinante cornice, adorno di numerosi vicoli e da un maniero. Il suo carattere medievale rappresenta l’autentica identità storica dell’intero territorio. Il suo corpo massiccio porta in sé traccia delle successive trasformazioni e adattamenti allo spirito del tempo, ricoprendo un nuovo ruolo di residenza signorile. Nel 1990 sono stati inaugurati i locali del museo all’interno del quale vengono allestite mostre ed esposizioni.
Oggi rappresenta un prezioso testimone di secoli di avvenimento storici e, il castello, per onorare la tradizione dei suoi pari, non poteva non essere avvolto da leggende, molte delle quali riguardano entità astratte e ectoplasmi. Si narra che delle ossa appartenute al cardinale Tiberio Crispo – misteriosamente scomparso- siano state rinvenute proprio in queste stanze, all’ombra delle spesse mura. Altri dicono che queste ossa appartengono al proprietario del castello, trucidato durante la ribellione al Signore del luogo. Qualcuno racconta, inoltre, che questo fantasma appaia di frequente nella stanza che ospita le pareti affrescate.
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Una volta discesi nei sotterranei, entrando nelle viscere della terra, un’inattesa sorpresa ci mostra un suggestivo acquario: ben venti vasche espositive con oltre 20.000 metri cubi d’acqua offrono una curiosa prospettiva sotto la superficie dell’acqua, che comprende sia l’ambiente fluviale che quello lacustre. Un viaggio immaginario alla Jules Verne per scoprire i protagonisti d’acqua dolce tra carpe, lucci, trote e le immancabili anguille. Tornando sui camminamenti possiamo ammirare da ogni scorcio la meravigliosa vista sul lago.
Da qui si può avvistare anche l’isola Martana, con la sua tipica forma a mezzaluna, dove sarebbe stata tenuta prigioniera Santa Cristina. Il padre, di religione pagana, era intenzionato a far ripudiare la fede cristiana alla figlia. Cristina però non abiurò mai e, per questo, venne condannata a morte. Proprio su questo piccolo verde lembo di terra, circondato da acque limpide, la giovane avrebbe subito un lungo e penoso martirio. Le sue spoglie riposano a Bolsena, dove vennero trasportate per volontà di Matilde di Canossa.
MUSEO TERRITORIALE DEL LAGO DI BOLSENA
Al suo interno trovano protezione reperti etruschi, romani, villanoviani raccontati attraverso nuovi supporti e tecnologie multimediali che contribuisco a immergersi in quei tempi lontani. L’esposizione si snoda su tre piani – e gode anche di un cortile esterno – all’ingresso ci sono i plastici e i reperti archeologici, al secondo ci sono i reperti provenienti dagli scavi e al terzo i reperti risalenti all’epoca Medievale.
Le varie sezioni presenti ripercorrono la preistoria, la protostoria e la fase etrusca fino alla conquista romana; sono inoltre inclusi un lapidario, alcuni cenni storici sulle attività vulcaniche della zona e sulla formazione del vulcanesimo, la storia della Rocca Monaldeschi e reperti medievali ritrovati nell’antico “butto” della torre maggiore.
IL MIRACOLO DI BOLSENA
Quale miracolo ne contiene un altro? Il Duomo d’Orvieto è un miracolo d’arte appositamente costruito per custodire degnamente al suo interno un miracolo di fede? Edificato per celebrare un evento fondamentale per l’intera Cristianità; la miracolosa Messa avvenuta probabilmente nella prima metà del XIV secolo “accadè miracolo che sopra del Corporale l’ostia diventò vermiglia et fecesi carne e sangue”.
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Secondo la stessa sacra rappresentazione e la tradizione popolare da essa scaturita, nell’estate del 1263 un prete dell’Alta Magna in Boemia – Pietro da Praga -, tormentato dal dubbio circa la reale esistenza del corpo e del sangue di Cristo nell’ostia consacrata (transustanziazione), si recò in pellegrinaggio a Roma per espiare questa mancanza di fede e chiedere di essere rafforzato nel suo credo.
Facendo tappa, sulla via del ritorno, a Bolsena ottenne di celebrare la messa sull’altare di S. Cristina; al momento della consacrazione, dopo aver implorato il Signore di fugare ogni sua incredulità, vide stillare dall’ostia spezzata delle gocce di sangue che bagnarono il Corporale. Appena la notizia del prodigioso evento raggiunse l’orecchio del Papa, (residente nella città della rupe dal 1262) fu inviato il vescovo di Orvieto a prendere possesso del “sacro lino”.
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La reliquia fu, dunque, trasferita ad Orvieto e il suo ingresso venne accolto da una solenne processione di prelati, clero e popolo guidata dal pontefice, che, inginocchiatosi, lo adorò e, dopo averlo mostrato ai fedeli, lo consegnò ai custodi della cattedrale di S. Maria Prisca. Il delicato incarico di comporre l’Ufficio del Corpus Domini fu affidato a S. Tommaso d’Aquino e l’11 agosto 1264 il papa promulgò la Bolla “Transiturus” che introduceva ufficialmente la Festa del Corpus Domini.
Bolsena: alcuni cenni storici
Cruciale nodo stradale lungo la Via Cassia, Bolsena rappresentava nell’antichità una tappa obbligata per i pellegrini in viaggio verso Roma. In età romana, grazie al passaggio di questa importante via di comunicazione, la cittadina godeva di uno status privilegiato sia dal punto di vista economico che da quello strategico.
Nel periodo medievale Bolsena fu teatro delle continue dispute tra Orvieto e il dominio papale: nel 1294 la città fu assediata e saccheggiata dagli Orvietani, i quali non volevano essere assorbiti nel già vasto impero di San Pietro. Nel 1269 si raggiunse infine l’accordo con il quale Bonifacio VIII ratificò il dominio di Orvieto sulle terre di Val di Lago e il paese passò sotto il dominio dei Monaldeschi. Nel 1493 fu nominato governatore Giovanni de’ Medici, che restò in carica fino al 1513, quando salì al Soglio Pontificio col nome di Leone X.
La città passò in seguito sotto l’egida di una figlia di Paolo II Farnese e, con lei, raggiunse un’insperata fase di tranquillità dopo secoli di sanguinose vicende.
Una curiosa storia di peccati di gola lega questi luoghi, ed in particolare il lago di Bolsena, ad un Papa citato da Dante:
“…Purgo per digiuno
l’anguille di Bolsena e la vernaccia”.
Questo è il verso del Purgatorio della Divina Commedia, che si riferisce ad un voracissimo papa ghiotto di anguille: Martino IV, al secolo Simon de Brion nato nel 1220.
Voluto a tutti i costi sul soglio pontificio dal re di Francia Carlo d’Angiò, fu incoronato ad Orvieto, che con Montefiascone divenne la sua residenza.
È passato alla storia più per l’appetito che per l’impegno pastorale, e molti commentatori dell’epoca sembrano concordare con Dante sulla sua personalità.
Per esempio Iacopo della Lana lo dipinge così: “Fu molto vizioso della gola e per le altre ghiottonerie nel mangiare ch’elli usava, faceva tòrre l’anguille dal lago di Bolsena e quelle faceva annegare e morire nel vino alla vernaccia…”.
Nell’Ottocento lo scrittore Tommaseo, commentando il verso ventiquattro del XXIV canto del Purgatorio, cita anche un epitaffio che si diceva scolpito sulla tomba di Martino IV:
“Gaudent anguillae quod mortuus hic jacet ille qui, quasi morte reas, excoriabat eas” ossia “Gioiscono le anguille perché giace qui morto colui che, quasi fossero colpevoli di morte, le scorticava”.
Ma quale ragione sottende questo accanimento “letterario” nei suoi confronti, considerato che molti sono stati nelle varie espoche i papi dotati di uno spiccato gusto per le delizie del palato?
La nomea di Martino IV si deve forse all’oggetto della sua voracità, un essere “molle” dalla vescica natatoria, che molto somiglia a un rettile. Nel Medioevo l’anguilla rappresentava – per forma e sembianze – al serpente, simbolo del peccato originale, e per questo era considerata una ghiottoneria proibita. Mostrare un’irrefrenabile e indisciplinata predilezione per questa immonda creatura da parte di un Papa (seppura annaffiata da un ben noto vino locale), non poteva non suscitare scandalo scatenando dimostrazioni di plateale condanna.
Martino IV morì a Perugia nel 1285 e secondo alcuni storici la causa fu “grassezza ed indigestione di saporito pesce del lago di Bolsena cucinato e annaffiato con vernaccia”.
Per un antico e rigoroso cerimoniale, la sua salma sarebbe stata lavata con vernaccia riscaldata e aromatizzata d’erbe segrete specialissime dal farmacista pontificio.
Una leccornia da provare in una delle prossime tappe dei nostri viaggio dell’Atelier; i tempi sono cambiati e nessuno si scandalizza più per una solenne indigestione di anguille arrosto abbinate ad un bicchiere di vernaccia del lago di Bolsena. I peccati di gola, temo, siano scesi di molto nella graduatoria dei mali del nostro secolo.
Fonte: calino.it/turismo/umbria/Orvieto_miracolo_eucaristico.pdf
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