Città della Pieve, con il rosso brunito delle sue facciate di mattoni a vista è magnificamente situata su un colle, a circa 500 metri di altitudine, dominante la Val di Chiana.
Le sue origini restano avvolte dal mistero; si sa che fu colonia etrusca della vicina città di Chiusi e che raggiunse la dimensione di città nel Medio Evo.
Negli oscuri anni del medioevo subì assalti e distruzione a causa dei Goti di Totila e minacciata dalle incursioni barbare fino a che Città della Pieve fece atto di vassallaggio all’Imperatore Federico II, a Perugia ed alla signoria di importanti famiglie. Il rapporto di dipendenza nei confronti del Comune di Perugia, ne ha influenzato lo sviluppo; cambiando il corso del destino che i notevoli insediamenti monastici “extra moenia” fra i secc. XIII e XIV (di francescani, clarisse, agostiniani ecc) avevano tracciato lasciando intravvedere importanti prospettive di sviluppo.
Dal sec. XIV al sec. XVII, il nome viene accorciato a “Castrum Plebis” e nel 1600 circa, il Pontefice Clemente VIII la eleva a città, chiamandola “Città di Castel della Pieve” (in latino: “Comunitas Civitatis Castri Plebis“) ma, tale denominazione, perché troppo lunga e facilmente confondibile con Città di Castello, venne quasi subito sostituita con l’attuale “Città della Pieve“.
Nel 1600 entra a far parte dello Stato Pontificio divenendo un centro amministrativo e religioso importante; e rimane sotto il dominio della Chiesa sino al 1860 (salvo la parentesi napoleonica) quando, con la nascita dello Stato Italiano, diventa italiana.
Con l’elevazione al rango di città e l’innalzamento a sede vescovile disposta da Clemente VII proprio nel 1600 si cambia registro, e questa ascesa sembra quasi preannunciata dall’intensa attività artistica di illustri pievesi da Pietro Vannucci (è quanto meno curioso che il suo illustre figlio sia universalmente riconosciuto come il Perugino ) a Niccolo Circignani (il Pomarancio), che hanno lasciato considerevoli opere in città, fino a Giannicola di Paolo.
LEGGI ANCHE – Civita di Bagnoregio, tra calanchi e orizzonti infiniti
Gli interventi di alcune famiglie nobiliari, ma soprattutto delle Confraternite, hanno inciso notevolmente sulla qualità dell’ambiente urbano, reso unico ed inconfondibile nel tempo grazie al particolare uso del laterizio.
Dal fitto tessuto di “edilizia civile” emerge il prospetto dell’Oratorio di S. Maria dei Bianchi, prezioso per l’affresco del Perugino, che ne orna l’interno.
Opera dell’omonima Confraternita, che la face erigere nella prima metà del Settecento, vanta una facciata scandita in tre ordini e animata dai mossi profili delle paraste e del timpano. L’interno, riccamente decorato con stucchi e pitture murali, è stato rinnovato nel sec. XIX. La chiesa, preceduta dall’Oratorio di S. Maria dei Bianchi, mostra una facciata di assoluta semplicità che dissimula l’esistenza, all’interno, del pregevole affresco dell'”Adorazione dei Magi“; un capolavoro che il Perugino ha realizzato nel 1504 per la sua città.
Uscendo dalla “Porta del Casalino”, demolita nel secolo scorso, per essere riedificata in più ampie proporzioni (ma rimasta tuttavia incompiuta), dopo il vasto Complesso di S. Agostino, la via Guglielmo Marconi riporta nel largo della Vittoria.
S. Maria dei Servi venne edificata nel 1343 inglobando la piccola chiesa di S. Maria della Stella, trasformata in cappella. Nel rifacimento seicentesco, documentato nella facciata in laterizio, si è persa la cappella al suo interno e, con essa, gran parte della decorazione a fresco che la Compagnia dei “Disciplinati della Stella” aveva commissionato al Perugino nel 1517; si è salvata solo la Deposizione, recentemente restaurata, seppur mutilata al centro a causa dell’apertura della porta della cantoria.
Gustosa curiosità gastronomica: Città della Pieve è conosciuta, oltre che per “il meglio maestro d’Italia” ( come lo definì Agostino Chigi riferendosi a Pietro Vannucci) anche per merito del suo raffinatissimo zafferano, utilizzato in cucina per donare ai piatti quell’intenso colore dorato e un sapore delicatamente inconfondibile.
Umbria, Città della Pieve 1999
Una foresta di 22.000 querce cresce senza far rumore.
Una superficie in legno che porge i suoi omaggi e trae ispirazione dalla più significativa riforestazione italiana di latifoglie; ben 22.000 nuove piante di rovere – oggi già maggiorenni- rivestono di nuova vita un territorio di oltre 150 ettari.
Un parquet di grande respiro, che delizia gli occhi e fa bene alla salute del pianeta, ci conduce tra viuzze e piazze in un magico tour del borgo umbro di Città della Pieve, in un lungo abbraccio che include il bosco e i suoi maestosi abitanti. Primo caso in Italia ad ottenere le due più importanti certificazione internazionali PEFCTM e FSC®.
Una gestione forestale sostenibile, lungimirante, testimonianza tangibile che solo visioni a lungo termine, rispettose dei ritmi biologici e dei tempi propri della natura, possono assicurare un futuro più verde e radioso.
Un laboratorio a cielo aperto, a disposizione degli istituti di ricerca per la messa a punto di nuove tecniche di gestione forestale e l’implementazione di progetti di ecocertificazione. Ma soprattutto a disposizione delle scuole per formare le nuove generazioni alla cultura del rispetto ambientale, pronto ad accogliere tutti coloro che desiderano passeggiare, rilassarsi e godere della magnifica ombra prodotto dalle grandi chiome.
Sui passi del Perugino
Pietro Vannucci detto Il Perugino, è considerato uno dei massimi esponenti dell’umanesimo e il più grande rappresentante della pittura umbra del XV secolo.
Il pittore si muove in un contesto storico che è quello del tardo umanesimo. «Nella città di Perugia nacque ad una povera persona da Castello della Pieve, detta Cristofano, un figliuolo che al battesimo fu chiamato Pietro (…) Studiò sotto la disciplina d’Andrea Verrocchio». (Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri. Parte seconda. Giorgio Vasari).
Autoritratto Perugino
Il Perugino nasce nel 1450 a Città della Pieve e le sue prime esperienze artistiche umbre si appoggiarono probabilmente a botteghe locali come quelle di Bartolomeo Caporali e Fiorenzo di Lorenzo.
Fin da giovanissimo si trasferisce a Firenze, dove inizia a frequentare una delle più importanti botteghe: quella di Andrea del Verrocchio. La città dei Medici fu fondamentale per la sua formazione; infatti i contemporanei lo considerarono di fatto, un maestro fiorentino d’adozione.
Nei suoi capolavori si cela un’intimità religiosa: le dolci colline tipicamente umbre, il paesaggio boschivo realizzato con più tonalità di verdi, il tenue modellato dei personaggi e gli svolazzanti nastri degli angeli sono i suoi stilemi decorativi che poi trasmise anche al suo allievo: Raffaello.
Le opere in Umbria e non solo
Una delle sue prime opere documentate è L’adorazione dei Magi e il Gonfalone con la Pietà, entrambe nelle sale espositive della Galleria Nazionale dell’Umbria.
Nel 1473 il Perugino ricevette la prima commissione significativa della sua carriera: i francescani di Perugia, gli chiesero di decorare la nicchia di San Bernardino. Otto tavolette che insieme componevano due ante che chiudevano una nicchia con un gonfalone con l’effigie del santo.
Più tardo (1477-1478) è l’affresco staccato, oggi nella Pinacoteca Comunale di Deruta, con il Padre Eterno con i santi Rocco e Romano, con una rara veduta di Deruta nel registro inferiore; probabilmente commissionata per invocare la protezione dei Santi Romano e Rocco, poiché un’epidemia di peste imperversava nel territorio di Perugia.
Nel 1478 continuò a lavorare in Umbria, dipingendo gli affreschi della cappella della Maddalena nella chiesa parrocchiale di Cerqueto, nei pressi di Perugia.
Raggiunta la fama venne chiamato nel 1479 a Roma, dove realizzò uno dei più grandi e prestigiosi lavori: la decorazione della Cappella Sistina, lavoro al quale partecipano anche Cosimo Rosselli, il Botticelli e il Ghirlandaio. È qui che realizza uno dei suoi tanti capolavori: La consegna delle Chiavi a San Pietro, il Battesimo di Cristo e il Viaggio di Mosè in Egitto.
Nei dieci anni successivi Perugino continuò a spostarsi tra Roma, Firenze e Perugia. Tra il 1495 e il 1496, plasmò un altro capolavoro: la Pala dei Decemviri, chiamata così perché realizzata su commissione dai Decemviri di Perugia per la cappella nel Palazzo dei Priori. Dipinse poi il Polittico di San Pietro, con la raffigurazione dell’Ascensione di Cristo, la Vergine, gli Apostoli, nella cimasa Dio in gloria, nella predella l’Adorazione dei Magi, il Battesimo di Cristo, la Resurrezione e due pannelli con i santi protettori di Perugia.
Nello stesso periodo lavorò alla decorazione della Sala dell’Udienza nel Collegio del Cambio a Perugia, ciclo terminato nel 1500. Il 1501-1504 è l’anno in cui realizzò lo Sposalizio della Vergine, dipinto per la Cappella del Santo Anello nel Duomo di Perugia, iconografia ripresa da Raffaello per la chiesa di San Francesco a Città di Castello.
Il Perugino continuò a ricevere commissioni; infatti realizzò la Madonna della Consolazione, il Gonfalone della Giustizia e la Pala Tezi, conservate nelle sale espositive della Galleria Nazionale dell’Umbria e la Resurrezione per San Francesco al Prato, commissionata per l’omonima chiesa perugina.
Eccelse opere del pittore sono conservate nella sua Città della Pieve. Presso Santa Maria dei Bianchi e la Cattedrale dei SS Gervasio e Protasio, si trovano alcune delle sue opere più significative come l’Adorazione dei Magi.
Seguendo i passi del Perugino, tappa obbligata è poi Panicale, pittoresco paese che fa parte dei Borghi più Belli d’Italia. Nella Chiesa di San Sebastiano si trova l’opera il Martirio di San Sebastiano, un’intera parete affrescata dall’artista. Un’altra tappa importante per scoprire tutta l’arte del Divin Pittore è Fontignano, dove nel 1511 il Perugino stabilì la sua bottega per sfuggire alla peste.
Proprio di peste il pittore morì nel 1523-1524, mentre lavorava a un affresco raffigurante L’adorazione dei pastori commissionatogli per la piccola Chiesa dell’Annunziata, l’affresco lasciato incompiuto dal Perugino, ma finito dai suoi allievi, e infine una Madonna con bambino, l’ultima opera da lui completata nel 1522.
Perugino fu l’iniziatore di un nuovo modo di dipingere; l’artista va alla costante ricerca di paesaggi di più vasto respiro, ammirando l’esempio dei precedenti fiorentini come Filippo Lippi, Domenico Veneziano e Beato Angelico, ben noti in terra umbra. Il Perugino procede verso una lenta e graduale conquista del naturale. L’armonia insita nel paesaggio peruginesco fu creata da un approccio mistico con la natura e da un’arte che, piuttosto che fondarsi sull’intelletto e sull’addestramento dell’occhio, come avveniva a Firenze, scaturiva dal cuore e dalla forza dei sentimenti.
Il Perugino segnò così il gusto di un’epoca.
A cura di About Umbria
Photo credits Giovanni Tarpani
Seguici sui nostri canali per restare sempre aggiornato: