Nel 1996 il Prof. B.J. Fogg, dell’Università di Stanford, coniò il termine “captology” come acronimo di “computer as persuasive technology”.

 L’obiettivo era quello di esplorare una nuova area di ricerca nata dall’evoluzione e dallo sviluppo dei personal computer e dalla sempre maggiore diffusione della rete.

 Si trattava di capire come l’utilizzo di questa tecnologia potesse portare a cambiare quello che noi esseri umani pensiamo e facciamo.

 L’evoluzione di questi studi portò Fogg a fondare dapprima il “Persuasive Technology Lab” all’interno di Stanford, finanziato sia da molte aziende private sia dalla National Science Foundation, e, successivamente, a teorizzare il “Behavior Design” quale “conseguenza” degli studi sulla captologia.

 Nel 2006 Mike Krieger, co-founder di Instagram, é stato studente di Fogg a Stanford e sembra sia nata proprio in quel momento l’idea alla base del social network.

tecno-umanesimo - Università di Standford
Università di Stanford

Le implicazioni degli studi di Fogg e dell’utilizzo della tecnologia come mezzo di persuasione sono ormai sotto gli occhi di tutti eppure di questi argomenti, soprattutto nel nostro Paese, si parla molto poco.

Occorre l’obbligo di interrogarsi sul senso di un’evoluzione del genere umano che vada sempre più verso un utilizzo pervasivo della tecnologia quale chiave dell’influenza sui nostri pensieri e comportamenti.

Occorre farlo soprattutto oggi e particolarmente in Italia, patria dell’umanesimo e del design, dove dovremmo cominciare a ragionare seriamente sul concetto, spesso abusato, di nuovo umanesimo.

Non si tratta di demonizzare la tecnologia, che é e sarà sempre più presente nelle nostre vite, bensì di contrapporre ad un modello di tecnologia quale mezzo di persuasione quello di tecnologia quale mezzo di educazione.

 Esiste, infatti, una sostanziale differenza tra questi due concetti: persuadere ed educare. Il primo utilizza un sistema che, spesso, si basa sulla ripetizione meccanica di comportamenti o pensieri indotti, il secondo sulla necessaria consapevolezza da parte del soggetto attivo su quanto sta apprendendo.

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Come scrive il Prof. Lamberto Maffei, illustre Accademico e già Presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei, nel suo libro “Elogio della Lentezza”, il nostro cervello non è fatto per subire stimoli basati sulla velocità di reazione, cioè quello su cui si basa la gran parte della tecnologia “pret à porter” odierna, bensì per avere il tempo di elaborare risposte ponderate.

In pratica tutto quello che va verso una velocizzazione della nostra reazione, ad esempio la messaggistica istantanea, è contrario alla nostra natura e rischia di generare un’evoluzione dove si perda la capacità critica di pensiero che è alla base sia dell’evoluzione stessa sia della condizione di libertà individuale.

In uno scenario del genere dobbiamo, pertanto, lavorare su un modello che utilizzi la tecnologia come chiave di un’educazione mirata alla sostenibilità ed il design come strumento per realizzare prodotti, luoghi e funzioni che sostengano questa missione.

Si tratta, in sostanza, di lavorare sul “design del tecno-umanesimo” quale disciplina che studi il campo di utilizzo della tecnologia come mezzo per rieducarci all’umanizzazione dei nostri pensieri ed azioni.

La sfida è centrale perché, mai come ora, siamo in presenza di due forze che spingono in direzioni diametralmente opposte, due modelli di evoluzione ben precisi.

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Il primo è un modello in cui la crescita della popolazione umana porti ad una divisione tra una piccola comunità di individui consapevoli, in grado di conoscere le dinamiche della persuasione tecnologica e di controllarle, di conservare lo spirito critico e l’elasticità mentale e, di ritagliarsi un ruolo di classe dominante.

L’altra parte, infinitamente più grande, è formata da  persone incapaci di sottrarsi al giogo della risposta meccanica, di formulare liberi pensieri e, finanche, di informarsi e studiare (a tal proposito si guardi all’incremento esponenziale dei malati di sindrome ADHD, attention deficit hyperactivity disorder, tra i giovani).

 Il secondo modello si basa su un mondo che, attraverso l’accesso all’educazione, facilitato dallo sviluppo tecnologico, ed alla pratica della sostenibilità in ogni settore, porti l’umanità a ridisegnare un futuro dove il rapporto tra noi ed il pianeta che ci ospita sia basato sul rispetto verso le altre forme di vita e verso, soprattutto, noi stessi.

Si tratta di due visioni inconciliabili e, necessariamente, una prevarrà sull’altra e proprio per questo la sfida che oggi siamo chiamati a raccogliere in Italia è più che mai importante e decisiva: ancora una volta dobbiamo essere noi l’avanguardia di un nuovo pensiero umanista.


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