“L’architettura è quasi una seconda natura” Wolfgang Goethe, Viaggio in Italia  
 
Il titolo del capitolo primo: “Non è un designer, non è un architetto: è un inventore di luoghi” sembra citare (consapevolmente?) “È un aereo? È un uccello? No: è Superman”. L’architetto come supereroe? “È una figura nuova e insieme antichissima che si muove nel mondo restituendo senso e vita a luoghi che l’hanno persa. Rigenera, reinventa, riconnette spazi. Capisce e sente le città guardandole dal basso, unisce immaginazione e capacità di impresa” scrive nella prefazione l’autrice Elena Granata, professoressa di Urbanistica al Politecnico di Milano e autrice anche di “Biodivercity”.  
 
Oggi il ruolo del progettista si è completamente trasformato (allargandosi): in un mondo invaso da oggetti artificiali (più o meno connessi tra loro), il placemaker reintegra la Natura (e mi piace scriverla con la maiuscola) nei contesti urbani, riforesta e ripristina ecosistemi, progetta soluzioni per contrastare i cambiamenti climatici, ricuce (verbo caro a Renzo Piano) periferie sconnesse e disconnesse, immagina nuovi sviluppi per i borghi abbandonati, si rapporta con gli spazi aperti e vuoti; inoltre: “Non agisce solo sugli spazi fisici ma anche sui comportamenti umani e sulla natura (per l’autrice in minuscolo), sui sentimenti e gli stili di vita perché sa che è in gioco la nostra convivenza e la nostra salute collettiva. È il designer dei luoghi, l’inventore delle città che abiteremo”.  
 
Il saggio è popolato dai nuovi placemaker, figure quasi mitologiche, metà architetto e metà giardiniere (o senatore), metà politico e metà pedagogista, metà imprenditore e metà artista, metà designer e metà ambientalista: innovatori dirompenti che stanno ripensando gli spazi dove abiteremo, consapevoli che “Da tempo l’architettura ha perso il proprio ruolo di pungolo intelligente della società, la sua capacità di trasformazione reale dei luoghi e delle città, la sua capacità di generare visioni di lungo periodo”.  
 
elena granata placemaker
Nel testo vengono analizzate alcune realizzazioni: lo studio olandese De Urbanisten si misura con il tema del controllo delle acque piovane, combinando lo stoccaggio occasionale dell’acqua con la valorizzazione dello spazio urbano per tutto l’anno: piazze dove giocare, ad esempio, diventano piscine di raccolta d’acqua quando piove, suggerendo non più un istinto di protezione quanto di complicità con gli elementi naturali. Un approccio che oggi viene definito nature-based solution. Un altro esempio, la sede Apple in piazzetta Liberty a Milano: una struttura ipogea che trasforma l’accesso al negozio in un’area pubblica con gradinate e sedute sempre accessibili. Il nome del marchio e la posizione informano l’intera piazza e generano uno spazio ibrido, aperto, accessibile, anche se fortemente connotato, che richiama turisti e cittadini. E lo spazio pubblico Superkilen, firmato da BIG e Topotek 1 a Copenaghen, è molto più di un intervento di architettura del paesaggio e di riqualificazione di una periferia: è un parco, un giardino, un’opera d’arte, una pista ciclabile, è un luogo di incontro e di condivisione, mentre CopenHill non è solo un termovalorizzatore ma al tempo stesso è un impianto sportivo destinato allo sci invernale e all’arrampicata, che ospita anche ristoranti stellati e un supermercato di prodotti biologici.  
 
“Dobbiamo lavorare sulle fratture che gli spazi urbani hanno incorporato passivamente – suggerisce il testo -, come se nessuna sintesi fosse possibile: tra ambiente e persone, tra paesaggio e corpo, tra vita quotidiana e tecnologia, tra lavoro e future generazioni, tra salute ed economia. Lì dobbiamo cercare le fragilità del nostro sistema, riconoscendo che non possiamo più permetterci di ridurre la natura e il territorio a piattaforma delle attività economiche, il paesaggio alla sola dimensione estetica trascurando quella etica”.  
 
Ma c’è spazio per un dialogo tra intelligenza collettiva e intelligenza connettiva? E ancora: “Perché il crescente dissesto idrogeologico, la proliferazione edilizia di scarsa qualità, il degrado dell’ambiente, il ruolo dell’architetto e dell’urbanista ridotti a copertura di interessi e speculazioni locali non hanno suscitato mai un radicale ripensamento della formazione universitaria?” si chiede l’architetta e docente Granata e aggiunge: “Se continuiamo a concepire la gestione dello spazio urbano come qualcosa che arriva dall’alto e prescinde dallo studio serio dei comportamenti, delle abitudini, delle differenze avremo poche speranze di incidere sulle vite (in carne e ossa) delle persone”.  
 
Il saggio si chiude il prezioso suggerimento che un repertorio di approfondimenti e immagini dei progetti e delle iniziative raccontati nel libro è disponibile sul sito PlanetB – People, Places, Planet: http://planetb.it”. Da registrare nei preferiti.  
 
 
 
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Perché si perpetua questa discrasia tra la cura degli interni e l’indifferenza per l’esterno? Da Elena Granata: Placemaker @EinaudiEditore via @danilopremoli #OneListoneGiordano https://www.listonegiordano.com/one/author/danilopremoli/

I boschi saranno le fabbriche del futuro. Da Elena Granata: Placemaker @EinaudiEditore via @danilopremoli #OneListoneGiordano https://www.listonegiordano.com/one/author/danilopremoli/

Le nostre città sono a loro modo patriarcali. Da Elena Granata: Placemaker @EinaudiEditore via @danilopremoli #OneListoneGiordano https://www.listonegiordano.com/one/author/danilopremoli/

Capire, sentire, immaginare sono tre verbi che scomodano attitudini e talenti diversi. Da Elena Granata: Placemaker @EinaudiEditore via @danilopremoli #OneListoneGiordano https://www.listonegiordano.com/one/author/danilopremoli/

Il digitale è uno dei luoghi che abitiamo, insieme alla casa, al paesaggio, alla natura. Da Elena Granata: Placemaker @EinaudiEditore via @danilopremoli #OneListoneGiordano https://www.listonegiordano.com/one/author/danilopremoli/

 
 
Elena Granata
Placemaker
Gli inventori dei luoghi che abiteremo

Einaudi, 2021
pp. VIII+166
ISBN 9788806249007  
di Danilo Premoli – Office Observer  
 
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