Emanuele Coccia, professore dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, classe 1976, filosofo, “architetto”, botanico.
(Filosofia della casa. Lo spazio domestico e la felicità, Torino, Einaudi, 2021)
«Una teoria della casa è il presupposto e il compimento della teoria morale: l’insieme disparato dei saperi e dei racconti che ci permettono di capire come essere felici assieme agli altri, qui e adesso».
“Le case sono santuari privati di un inconsapevole culto animista segreto. Sono musei personali che ci permettono di scoprire e contemplare la nostra anima mentre vive al di fuori del nostro corpo”. E.C.
(La vita delle piante. Una metafisica della mescolanza, Bologna Il Mulino 2018)
“Entri dentro una casa e sono grotte in cui ti ritrovi in un altro spazio-tempo: in un unico condominio o lungo vie limitrofe puoi passare da Pechino a San Pietroburgo. La casa è un tentativo di plasmare il mondo a propria immagine e somiglianza, di raccontarsi e di costruire se stessi”
E.C.
“Io vivo per scrivere, è il perno attorno a cui quasi tutto ruota e ciò che mi dà accesso a quasi tutto. Sebbene per un disgrafico come me sia spesso dolorosa, è l’equivalente di un’esperienza lisergica e di visione senza troppi effetti collaterali. E poi è possibile ottenerla a ripetizione con un minimo di controllo. La scrittura significa aprire le porte della percezione, come scriveva Huxley, spalancare lo spazio-tempo. Una casa è lo stesso, è scrittura”.
Emanuele Coccia
“Se il mondo è “mondo”, ovvero sinfonico contesto di possibilità in cui brulicano la vita e le sue innumerevoli forme, lo si deve – di fatto – alle piante. Le piante vengono così pensate come i viventi laboratori vegetali nei quali si produce incessantemente la possibilità infinita della vita”.
Pier Alberto Porceddu Cilone. L’anima vegetale del pensiero. Materiali di Estetica n. 6.1 : 2019
Chissà perché in questo istante mi torna in mente il primo testo di architettura mai avuto e letto, si trattava della monografia su Oscar Niemeyer, di tanto tempo fa, ma questo non c’entra nulla con le pulsioni esistenziali, morali e linguistiche che il saggio di Emanuele Coccia “filosofia della casa-Lo spazio domestico e la felicità” ha suscitato in un lettore compulsivo come il sottoscritto.
Ci sono libri che ti fanno scegliere una professione e libri che ti riconciliano, dopo tanti anni, con la bellezza delle scelte compiute secoli prima al Politecnico.
Già perché bisogna avere il coraggio di dire che esistono libri che cambiano paradigmi e percezioni.
Definitivamente come in questo caso.
Libri che affondano come coltelli nel burro delle nostre sopite sensazioni, perché il noto filosofo analizza lo spazio e una pletora di variazioni dello stesso, attraverso un linguaggio al tempo complesso e popolare, denso di significati ma perfettamente condivisibile con le nostre emozioni più elementari.
Abitare uno spazio per renderlo luogo, costruire un Luogo per renderlo Spazio, il nostro vincolo col mondo, una pelle che non possiamo ferire, che dobbiamo coccolare, amare, coltivare: natura nella natura, ambiente nell’ambiente, involucro intimo di tutti i nostri contaminati super-io.
In questo breve testo composto da dodici ambiti/lemmi, e da una introduzione (e una conclusione), Coccia riscrive il “vocabolario dell’essere che abita uno spazio”, e soprattutto perché esiste proprio e solo se definisce, l’ambiente che ha scelto di configurare come intimo, privato.
E’ chiaro che ci troviamo di fronte ad una nuova lettura della filosofia dei luoghi, dove ogni elemento apparentemente marginale o poco analizzato, infonde alla geometria astratta del progetto di architettura (concettualmente non abitabile), una forza espressiva che rende la normalità quotidiana, necessaria congiunzione teorica della nostra “natura con la Natura”.
Un processo automatico, metafisico, ontologico che impegna la filosofia a prendersi cura delle parole che hanno reso fondamentale questa attività arcaica e primaria dell’uomo in tutte le latitudini e in tutte le ere della storia.
Perchè in questo testo c’è tanto passato e moltissimo futuro, ci sono concetti semplici, quasi pop, e immersione nelle profondità del pensiero più spericolato ed eretico.
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Una boccata d’aria fresca, improvvisa, nelle stanze ammorbate da retorica e scopiazzature della critica e delle pseudo-teorie contemporanee, cui Coccia detta la nuova l’agenda e disegna la mappa per poter tornare “a riveder le stelle”, e fare della casa la cassaforte dei nostri variegati stupori, tra riscoperte e indagini post-pandemiche, attualissime e complesse.
Il futuro ha sempre avuto un cuore saldamente ancorato alle visioni più intelligenti di tutti i passati, e l’architettura può finalmente scoprire la felicità come mezzo e come fine, come viaggio e come approdo, con la vittoria di una nuova metodologia estetica che esprime l’etica di ogni comportamento minimo, nel tetro rumorosissimo della nostra esistenza.
La Morale dell’Essere e quella dell’abitare, si fondono in una costellazione di bagliori estetici, semplici semplici e per questo indimenticabili, in quanto programma, progetto, visione, analisi.
L’indicazione filosofica preliminare prevede l’assunzione di una responsabilità ultima da parte del progettista, “fare lo spazio” affinchè l’architettura ceda al fruitore finale quella condizione necessaria e sufficiente per creare il Luogo che sia in grado attraverso la nostra percezione, di irrorarci “stati di felicità”.
Il metodo usato da Coccia per raccontare, travalica l’essenza stessa della filosofia come insegnamento all’esistenza, per sublimarsi nell’esperienza di un vero “romanzo sull’Io, sul mondo e sul tempo”, che modifica le abitudini senza necessariamente migliorarle, nel flusso delle cognizioni che attraverso la nostra (e la sua) esperienza personale vuole condividere.
Il centro di tutto è la scrittura, vissuta dal filosofo/scrittore/architetto come necessità ultima come ossessione rinfrancante, come indagine continua nei suoni e nelle forme che segnano territori sconosciuti ma così profondamente personali e che costituiscono la vera isola del tesoro dei nostri tempi.
Cos’è un bagno? un animale domestico, un armadio o il bosco, la polvere che modifica la superficie dei nostri mobili a scandire il trascorrere del tempo, oppure i social media, vera estensione fisica e antropologica del nostro “corpo elettromagnetico pubblico”.
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Cosa sono tutte queste liste, questi recinti semantici che ci spiegano la grandezza delle piccole cose, quelle “cose di casa” che non eravamo più in grado di considerare: vita, ambiente, tempo, imprevisti e fortune.
Non sarà facile argomentare su questo stesso livello e sulla sua contaminazione poetica, sia di linguaggi che di concetti, perché Coccia ci dimostra che bastano pochi punti per cristallizzare tutto quello che ci serve per “tornare a casa e all’architettura” e vederla in un modo completamente nuovo, onirico e sentimentale.
Il santuario privato (cit. Coccia) esprime il nostro culto animista nella invariante della quotidianità, ogni vita merita di essere immortalata come in un museo privato, per poterne ammirare l’anima, cioè la parte più alta e più semplice che ogni individuo conserva gelosamente.
La filosofia riesce a riportare in superficie queste specifiche argomentazioni, cerca di dare quelle risposte che rimarranno domande, ma lo sforzo di arrivare a nuove formulazioni rende il lavoro del pensatore così importante e così attuale, crea quei dubbi necessari all’evoluzione della specie, costruisce nuovi metodi disciplinari d’insegnamento, ma non deve preoccuparsi dei risultati concreti.
Nell’era del nulla indifferenziato, e delle interpretazioni apodittiche e contrastanti, ”quasi veritiere” qualche briciola di sapienza non potrà che farci bene, potrà tenerci lontano dal vuoto di senso che continuiamo combattere da qualche migliaio di anni, poco dopo l’invenzione della filosofia.
Farà bene al mondo, farà bene a noi architetti, farà di noi ambiente, farà di noi piante e spazio.
“Ogni volta che costruiamo case- noi ,e qualsiasi altro vivente- è una porzione della Terra a diventare sostanza psichedelica. Miele.”
(E.C.).
(1.continua)
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