icone giovanna mancini

Recensione del libro di Giovanna Mancini, Icone: mito, storie e personaggi del design italiano.

A leggere oggi le descrizioni dei nuovi prodotti che vengono presentati dalle aziende di arredo, a scadenze più o meno regolari, il termine ricorrente è “icona“, spesso utilizzato a sproposito perché un’icona, per essere tale, deve rappresentare la cultura del tempo che la genera ma soprattutto riuscire a sintetizzare memoria e futuro, evocando un senso di familiarità: cioè ha in sé un concetto di tempo trascorso che ovviamente un nuovo disegno non può avere.

La chiave di lettura del testo di Giovanna Mancini, giornalista che si occupa di temi economici legati all’industria italiana, predilige alcuni criteri che hanno guidato la selezione e i racconti: la storicità del marchio, la riconoscibilità del prodotto, l’attitudine a sperimentare, quest’ultima ormai diventata rara e considerata a volte addirittura inutile, schiacciata da un’attenzione imprenditoriale rivolta ai problemi del quotidiano rispetto a una visione del futuro più o meno prossimo.

Giovanna Mancini | Icone, mito storie e personaggi del design italiano
Giovanna Mancini | Icone, mito storie e personaggi del design italiano

Nelle pagine del libro si rincorrono sogni e segni, immagini e prodotti, capitani che fecero l’impresa e progettisti, tecnici e ricerche che hanno definito un momento irripetibile, capace di arricchire un humus che ancora oggi nutre l’economia del settore. Per tutti la considerazione che comunque l’intervento dell’uomo, delle mani sapienti dell’artigiano, è fondamentale per controllare, completare, rendere unico il risultato finale: non c’è macchina che lo possa sostituire (almeno ad oggi). In sintesi: arte e téchne.

Ma fra le dieci aziende protagoniste: Alessi, Artemide, B&B Italia, Caimi Brevetti, Cassina, Driade, Gufram, Kartell, Molteni&C, Zanotta, e i rispettivi cataloghi che si allineano tra i capitoli, emergono, più che i prodotti, alcune figure fondamentali, ed è questa la vera originalità dell’approccio al tema: ecco qui la storia del design italiano (o almeno gli inizi della storia: la prima edizione del Salone del Mobile di Milano si inaugura nel settembre 1961 per volontà anche di alcune di queste aziende) attraverso i passaggi generazionali e di proprietà nonché i diversi amministratori delegati (uno di loro, candidamente, afferma: “Il nostro brand ha un’aura pazzesca, una storia così importante che potrebbe arrivare anche il peggiore dei manager che comunque l’azienda non morirebbe”. Chissà se pensava a qualcuno in particolare).

Il primo protagonista del volume è Dino Gavina, genio difficile da approcciare ma veramente visionario, capace di portare dall’alto della sua sensibilità, la cultura all’interno delle aziende italiane negli anni Sessanta, scuotendole dal loro torpore imprenditoriale nel solco della propria tranquilla tradizione famigliare.

Dino Gavina
Dino Gavina

L’altro genio fondamentale per l’affermazione universale del Made in Italy è l’architetto Emilio Ambasz che nel 1972 organizza al MoMA di New York la mostra “Italy: The New Domestic Landscape” dopo la quale niente per il design italiano sarà più come prima, né dal punto di vista economico né da quello culturale e dell’evoluzione del linguaggio espressivo. Ambasz ha dimostrato grande intuizione e soprattutto grande generosità, tardivamente ripagata solo lo scorso anno con l’attribuzione del Compasso d’Oro ADI alla carriera.

Emilio Ambasz
Emilio Ambasz

Le aziende ritratte danno una definizione di design non tanto diversa una dall’altra, in sintesi: “Creatività al servizio della produzione, saper coniugare la tradizione con l’innovazione e la competenza con la sperimentazione” e non è un caso che quasi tutte abbiano oggi un museo interno che ne racconta l’evoluzione attraverso i pezzi storici e i più rappresentativi. Progetti sinceri, aperti, disponibili, che ci invitano a chiudere gli occhi in un percorso memorabile e ricco di suggestioni, forme felici (ma forse anche noi eravamo più felici) che riescono a essere affettuose, a parlare a tutti.

Il testo è introdotto da una prefazione di Domitilla Dardi e completato con un’intervista a Daniel Libeskind, che così chiude il suo contributo: “Nessuna azienda può permettersi di sedersi e pensare di essere arrivata”.

Caimi Brevetti, Flap, design Alberto Meda e Francesco Meda, Compasso d'Oro ADI 2016.
Caimi Brevetti, Flap, design Alberto Meda e Francesco Meda, Compasso d’Oro ADI 2016.

 
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Giovanna Mancini
Icone
Mito, storie e personaggi del design italiano
 
Luiss University Press, 2021
pp. 176+16
Isbn 9788861055582
 
di Danilo Premoli – Office Observer
 
 
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