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Tianjin, Cina ph. Marco Giugliarelli

Dalla stazione di Pechino a quella di Tianjin il treno ad alta velocità divora in poche decine di minuti centocinquanta chilometri. Tianjin è una città di quindici milioni di abitanti, ma in pratica corrisponde sempre più alla zona portuale di Pechino. Un’area che ha conosciuto in solo pochi anni una rapidissima crescita demografica ed economica, attestandosi oggi a quarta
metropoli della Cina.

Tianjin, Cina ph. Marco Giugliarelli

Per raggiungere il Museo si percorrono strade anonime, congestionate dal traffico debordante che contraddistingue ormai il paesaggio urbano asiatico, quartieri dove le insegne si sovrappongono alle insegne, le cui differenze percepibili a noi occidentali, sono solo quelle che identificano le diverse epoche di uno sviluppo sempre più accelerato. Il complesso di edifici che costituiscono il nuovo Cultural Center è composto dal Grand Theatre progettata da un architetto tedesco, una biblioteca progettata da un architetto giapponese, il Museo, progettato ancora da un architetto tedesco e il Museo della Città, opera di un architetto cinese.

In mezzo ad un parco ricco di opere d’arte contemporanea si adagia un grande lago artificiale. Sulla sponda opposta ai moderni templi della cultura – posto in singolare gioco di equilibrio tra sacro e profano – affaccia un mastodontico centro commerciale che ospita la stessa sfilata di griffe che si potrebbero trovare a Chicago, Milano, Parigi New York o, appunto, a Shanghai.

Tianjin, Cina ph. Marco Giugliarelli

L’interno del Museo è spettacolare, minimalista nelle linee e allo stesso tempo grandioso nei volumi. Al terzo piano, in una dimensione espositiva che tradisce la distanza sia fisica che culturale rispetto al nostro modo di intendere e vivere l’arte, davanti a una teca magistralmente illuminata, un capannello di persone con i cellulari branditi come protesi meccaniche degne di una scena di Guerre Stellari. All’interno – timidamente indifesa
nonostante la protezione dei più sofisticati sistemi di sicurezza – un’opera dalla calda intimità familiare; “il Bambin Gesù delle mani” di Pinturicchio. Un pezzo della cultura italiana, della storia dell’arte, del Rinascimento e ovviamente, dell’Umbria. Davvero singolare la storia di quest’affresco staccato dagli appartamenti pontifici di Alessandro VI Borgia dopo la sua morte per cancellare memoria di alcune disinvolte liberalità di uno dei Papi più celebri, nel bene e nel male, della millenaria storia della Chiesa.

Bambin Gesù delle mani, Pinturicchio. ph. Marco Giugliarelli

Un’innumerevole serie di mostre, documentari, articoli della stampa internazionale hanno assegnato a questo minuto frammento di un’opera
grandiosa come il ciclo di affreschi realizzati da Pinturicchio negli Appartamenti Borgia in Vaticano, il compito di sintetizzare visivamente un’intera epoca. La storia contemporanea ha di nuovo fatto incrociare l’opera di Pinturicchio realizzata a Roma attorno al 1492 – una data che segna uno spartiacque ricco di suggestioni, come la scoperta dell’America e la scomparsa di Lorenzo il Magnifico e Piero della Francesca – con l’Umbria.
Riemersa dopo cinque secoli di oblio l’opera fu acquistata dal Gruppo Margaritelli e poi affidata alla Fondazione Giordano che ne cura a tutt’oggi studio e divulgazione.

Nel 2007 è stata dunque esposta in anteprima mondiale al centro della Rotunda del Guggenheim Museum di New York in un memorabile evento promosso dalla Regione Umbria. Trovare un pezzo di Umbria a Tianijn oggetto di così grande attenzione, sorprende e apre diverse riflessioni. La
prima riguarda la potenza di comunicazione dell’identità italiana come terra dell’arte e della bellezza. E l’Umbria, che se ne abbia o meno intera percezione, è parte attiva e protagonista di questo fenomeno quanto mai ricco di implicazioni. Emerge poi il valore del patrimonio culturale come componente fondamentale della moderna concezione del turismo che
individua nel binomio destinazione-esperienza, uno dei più forti elementi motivazionali per scegliere la propria destinazione di viaggio. La restituzione al godimento pubblico del “Bambin Gesù delle mani” e gli effetti di propagazione mediatica che ne sono derivati, ci ricorda – se mai vi fosse ancora bisogno – lo straordinario valore della dimensione del racconto e della testimonianza storica nel godimento di un opera d’arte e del suo territorio di appartenenza. In questo caso protagonisti unici sono l’Italia e l’Umbria. Un territorio ricco di tempo. Passato, presente e futuro.

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Giovanni Tarpani

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