Darwin e Einstein: due geni assoluti che hanno saputo raccontare la scienza attraverso la letteratura e fare letteratura attraverso la scienza.
Lo argomenta nel suo “Invito alla meraviglia” Ian McEwan, non nuovo a trarre ispirazione dalla scienza nei suoi romanzi, quali “Solar” (dove il protagonista è un Premio Nobel per la Fisica) e il fantastico “Macchine come me” (ambientato in un’altra Londra dove si possono incontrare esseri artificiali: articoli da compagnia, in tutti i sensi, e partner intellettuali).
L’agile raccolta di cinque saggi scritti tra il 2004 e oggi: “Letteratura, scienza e natura umana”, “L’originalità delle specie”, “Una tradizione parallela”, “Blues della fine del mondo” e “L’io” restituisce un approccio profondo e colto sulla scrittura e sulla ricerca, analizzate nel loro sviluppo temporale: “Lo sguardo della biologia è di lungo periodo, e di conseguenza poco spettacolare, anche se a mio parere non meno interessante […] Gli scrittori di letteratura sembrano preferire un momento specifico, esplosivo, il miracolo di una nascita, al lento continuum di un cambiamento infinitesimale”.
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Vero è che per la maggior parte di noi la grandezza nella letteratura è più comprensibile e accessibile della grandezza nella scienza. Tutti abbiamo un’idea, nostra o inculcataci da altri, di cosa si intende per grande romanziere.
Però Darwin, che non usava una scrivania, ma sedeva in poltrona con una tavoletta di legno sulle ginocchia, scriveva come un forsennato; e la sua riluttanza a turbare la devozione religiosa della moglie Emma, a contraddire le certezze teologiche dei suoi colleghi, a impersonare l’improbabile ruolo dell’iconoclasta, del dissidente radicale nella società vittoriana, tutto questo fu, umanamente e comprensibilmente, spazzato via dal timore che un altro uomo si impadronisse delle sue idee e si attribuisse un merito che lui considerava suo. E non gli rimaneva che fare letteratura.
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La stessa ha dalla sua il fatto che: tutti sono i primi. Non c’è bisogno di chiedersi chi ha scritto il Don Chisciotte. A volte, anzi, non è male prendere in considerazione l’eventualità di essere Pierre Menard, che nel celebre racconto di Borges reinventa autonomamente, secoli dopo Cervantes, l’intero romanzo, parola per parola.
“Oggi – appunta McEwan – il romanziere che autografa il proprio libro per un lettore e il lettore che si mette in fila per farsi autografare il libro celebrano insieme le nozze fra ego e arte”. E se non avremo i nostri momenti di esaltazione nella devozione religiosa e nella adorazione di un essere supremo sovrannaturale, li troveremo nella contemplazione delle nostre arti e della nostra scienza.
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Anche se: “La scienza ha palesemente irrobustito il pensiero apocalittico. Ci ha fornito gli strumenti per distruggere noi stessi e la nostra civiltà in meno di un paio d’ore, o per diffondere un virus letale sull’intero pianeta in capo a due giorni”. Chi è colpevole?
P.S. Il volume contiene anche una delle più belle definizioni di arte: “Eloquente conversazione fra le generazioni, condotta attraverso echi, parodie, citazioni, contrapposizioni, tributi e pastiche”.
Ian McEwan
Invito alla meraviglia
Per un incontro ravvicinato con la scienza
Einaudi, 2020
pp. 128
Isbn 9788806246310
di Danilo Premoli – Office Observer
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