Ipazia d’Alessandria, perché è stata uccisa? e che opere scrisse? Questa è la storia della prima matematica e scienziata della storia di cui abbiamo memoria.
Non so come si sentano le donne – scienziate e non – in equilibrio precario tra carriera, affetti e frustrazioni professionali, corrose da dubbi esistenziali, alla continua rincorsa di un’esistenza autentica ed una progettualità “gettata” all’interno della cornice spazio-temporale alla quale non ci si può sottrarre. Possiamo provare ad immaginarlo? Sappiamo, invece, come abbia vissuto la prima filosofa e scienziata dell’antichità e su quale altare epistemico sia stata sacrificata Ipazia.
Dalle pagine di GRIDALO, ultima fatica letteraria di Roberto Saviano, si alza forte e chiara la sua voce, quella della ragione, della verità e della libertà di pensiero, a cui fanno eco altri (anti-) eroi della storia passata e recente (da Giordano Bruno a Martin Luther King, passando per la poetessa russa Anna Andreevna Achmatova fino alla giornalista Anna Politkovskaja).
In fondo non sono state poi tante le donne, dopo di lei, ad eccellere in campo filosofico, scientifico (tecnologico e non solo) in una perenne sfida incrociata con l’emisfero maschile. Raffaello dipinge la sua effige nel celebre affresco la Scuola di Atene – unica donna presente – nonché unico personaggio che rivolge lo sguardo all’osservatore.
Margherita Hack scrive la prefazione ad una delle più belle biografie su Ipazia (firmata da Adriano Petta e Antonino Colavito: Vita e sogni di una scienziata del IV secolo, un matrimonio elettivo tra uno scrittore ed un filosofo ) e le sue parole non lasciano scampo e non accettano perdono: “Ma quanto diverso sarebbe stato il nostro mondo se non fossero stati messi a tacere tanti spiriti liberi, come IPAZIA”.
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All’alba del terzo millennio l’UNESCO ha creato un progetto internazionale – non a caso intitolato IPAZIA – con l’obiettivo di favorire programmi scientifici al femminile, all’insegna dell’”unione fa la forza” di donne di tutte le nazionalità. Una scienza che sia davvero al servizio dell’umanità deve poter contare sui contributi delle menti migliori, nel giusto equilibrio di yin e yang per un progresso reale. E’ anacronistico che solo una percentuale poco al di sopra del 5% delle donne sia, ancora oggi, ai vertici delle istituzioni scientifiche (e l’Unione Europea chiede maggior impegno per sviluppare corsi di studi e stimolare le ragazze a seguire discipline scientifiche, perché la parità di genere passa anche da qui).
Alcune di loro hanno sacrificato ciò che viene considerato il bene più prezioso, la vita, accettando di perdere il futuro per poter essere libere nel presente (e per l’eternità).
La passione, la libertà il conatus creativo e conoscitivo, richiamando Spinoza il “conatus essendi” può essere interpretato come “lo sforzo di vivere”, che sarebbe l’essenziale della vita umana. Capacità di regolare i processi vitali in modo da sopravvivere e proiettarsi nel futuro. Se tutto ciò si può ottenere solo a costo della vita, per Ipazia, il prezzo era accettabile. E lo è stato per molte donne nel corso dei secoli, fino ad oggi.
Una donna che con i suoi studi, le sue ricerche, le sue opere d’arte, i suoi progetti architettonici osasse sfidare, o ancora più terrificante, sconfessare i risultati ottenuti dai colleghi maschi, viene tacciata di arroganza, presunzione, egocentrismo (da relegare in un angolo se va bene, altrimenti al fondo dell’oscurità).
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IPAZIA , vissuta ad Alessandria d’Egitto fra la fine del IV e l’inizio del V secolo ha l’onore di collaborare, incredibilmente, al libro scritto dal padre, che l’avvicina agli affascinanti misteri della scienza: “Commento di Teone di Alessandria al terzo libro del Sistema matematico di Tolomeo. Edizione controllata dalla filosofa Ipazia, mia figlia“. Ipazia, allieva ed insegnate, una duplicità di ruolo che è familiare a molte donne della modernità (anche se non necessariamente in questo rapporto di forze).
Autrice di fenomenali scoperte sul moto degli astri, che lei condivise (come solo le donne sanno generosamente fare nell’atto di donarsi agli altri) e rese accessibili ai suoi contemporanei – lasciando in eredità il volume dal titolo Canone astronomico. Ma Ipazia non fu solo ricercatrice scientifica – suoi gli avveniristici prototipi di astrolabio e idroscopio – nell’accezione più attuale del termine, ma anche raffinata pensatrice e filosofa.
La narrazione della sua vita ebbe inizio solo vent’anni dopo la morte violenta per mano di fanatici religiosi (i sanguinari monaci parabolani) sul falso altare della cristianità, nel 415 d.c. ed i primi ad interessarsi di lei furono sorprendentemente due storici della Chiesa.
Fu Socrate Scolastico nella sua Historia Ecclesiastica a descriverla mirabilmente in tutta la sua statura morale e accademica: “Non aveva paura di apparire alle riunioni degli uomini: per la sua straordinaria saggezza, tutti i maschi le erano deferenti e la guardavano, se mai, con stupore e timore reverenziale”. Matematica ammirata, modello di studio a capo della più famosa Accademia dell’epoca “Museion” – la scuola Alessandrina – adorata dai suoi allievi e allieve, disposti a lasciare la propria casa e città di origine pur di ascoltare le sue lezioni. Esichio di Mileto, storico e letterato del Sesto secolo dopo Cristo, considera Ipazia maestra dell’arte dialettica (dialektike), ponderata e piena di senso civico (politike) nell’agire. Si capisce perché le forze dell’odio e della gelosia tramarono contro questa donna:
Filostorgio tenta, a suo rischio e pericolo, di dipanare l’intricata matassa che vedeva la parte cattolica più colta e tollerante – ai margine dell’ortodossia – accettare silenziosamente Ipazia, allorché la maggioranza strumentalizzata dai vertici della Chiesa si abbatteva con odio contro di lei.
Lo stesso Socrate scrive: “Ella giunse ad un tale grado di cultura che superò di gran lunga tutti i filosofi suoi contemporanei. […]. Per la magnifica libertà di parola ed azione che le veniva dalla sua cultura accedeva in modo assennato anche al cospetto dei capi della città e non era motivo di vergogna per lei lo stare in mezzo agli uomini. Infatti a causa della sua straordinaria saggezza tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale.
Per questo motivo allora l’invidia si armò contro di lei. Alcuni dall’animo surriscaldato guidati da un lettore di nome Pietro si misero d’accordo e si appostarono per sorprendere la donna mentre faceva ritorno casa. Tiratala giù dal carro la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario: qui strappatale la veste la uccisero colpendola con i cocci. Dopo che l’ebbero fatta a pezzi membro a membro trasportati questi pezzi al cosiddetto Cinerone cancellarono ogni traccia di lei nel fuoco”.
Con la morte di Ipazia, venne cancellato il modello di una comunità scientifica di quell’epoca; curiosamente nessuno ebbe il coraggio di prendere in mano il testimone affermando di essere suo allievo. Venne tradita come donna, ma anche come scienziata ed insegnante. Un gesto violento che, in un colpo solo, distrusse l’intero impianto della scuola/universo da lei costruito!
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“Per questo motivo, allora, l’invidia si armò contro di lei. Alcuni, dall’animo surriscaldato, guidati da un lettore di nome Pietro, si misero d’accordo e si appostarono per sorprendere la donna mentre faceva ritorno casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario: qui, strappatale la veste, la uccisero colpendola con i cocci. Dopo che l’ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati questi pezzi al cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia di lei nel fuoco”.
Che tragica fine, la trama di una rappresentazione già vista più volte sul palcoscenico della storia, bensì difficile da riscrivere per dar vita ad una nuova interpretazione.
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La Nostra appare tra le pagine di Voltaire, il dito puntato contro l’ingiusta condanna e la sua morte frutto di “excès du fanatism”. Il suo spettro cattura anche l’italiano Vincenzo Monti: “La voce alzate, o secoli caduti,/ Gridi l’Africa all’Asia e l’innocente/ Ombra d’Ipazia il grido orrendo aiuti”. Attraversa i secoli con passo lieve ma fermo la filosofa alessandrina, entra nel ‘700, superando confini e barriere territoriali, per scoprire che anche l’Inghilterra paga il suo tributo con John Toland Ipazia, ovvero “la storia di una Dama assai bella, assai virtuosa, assai istruita e perfetta sotto ogni riguardo, che venne fatta a pezzi dal Clero di Alessandria per compiacere l’Orgoglio, l’Emulazione e la Crudeltà del loro Vescovo, comunemente ma immeritatamente denominato San Cirillo”. Fa da contraltare Lewis, che nella sua storia di Ipazia la definisce invece “assai impudente professoressa di Alessandria…”.
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Quante “parole, parole, parole” vengono spese sulla pelle delle donne, quanti martiri (il sostantivo va interpretato al femminile) caduti sul terreno fangoso del libero arbitrio. Ciò che i posteri, tutti noi, riconosciamo a Ipazia è una profonda e assoluta fedeltà – nel suo caso specifico al platonismo, all’ellenismo, all’indipendenza della ragione, al valore supremo dello studio e della ricerca tanto da rinunciare a famiglia e amore – ma pur sempre fedeltà a se stessa e alla sua irrinunciabile vocazione.
Celebrata da Charles Peguy: “Ciò che noi amiamo e ciò che onoriamo è questo miracolo di fedeltà, […] che un’anima sia stata così perfettamente in accordo con l’anima platonica e con la sua discendente, l’anima plotiniana, e in generale con l’anima ellenica, con l’anima della sua razza, con l’anima del suo maestro, con l’anima di suo padre, in un accordo così profondo, così intimo, che raggiungeva così profondamente le fonti stesse e le radici, che in un annientamento totale, quando tutt’un mondo, quando tutto il mondo andava discordandosi, per tutta la vita temporale del mondo, e forse dell’eternità, essa sola sia rimasta in accordo, sino alla morte”.
Quando ti vedo mi prostro davanti a te e alle tue parole,
Pallada, Antologia Palatina
vedendo la casa astrale della Vergine,
infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto
Ipazia sacra, bellezza delle parole,
astro incontaminato della sapiente cultura.
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