Una mostra definitiva all’Hangar Bicocca di Milano (fino a febbraio 2022).

È arrivato forse il momento di fare i conti con Maurizio Cattelan, questo straordinario artista che dopo averci stupito installazione dopo installazione, ad ogni nuovo capitolo del suo complesso racconto concettuale, oggi ci conduce verso “l’abisso del nulla che contiene tutto quello che solo quel niente assoluto può raccontarci”.

Nell’immenso spazio-fucina dell’(Hangar) Pirelli, Cattelan avrebbe dovuto raccogliere i suoi primi decenni di sperimentazioni, provocazioni, come in un regesto delle opere della sua storia passata e recente, ma sarebbe stato oltre che facile, scontato e per questo la mostra Respiro, Fantasmi, Cieco, (Breath, ghosts, blind) risulta l’emozione più alta dei tempi recenti, in grado di riassumere tutte le nostre certezze, i dubbi apocalittici e la domanda ultima sul nostro essere uomini/umanità, nel recinto dell’Era del Paradosso.

maurizio cattelan bicocca

L’Hangar ha la geometria semplice di centinaia di metri, alto venti, forse di più, dunque nulla che l’arte possa esprimere, riuscirebbe a confrontarsi con l’archeologia umana che in quel luogo fisico è stata prodotta per decenni. Kiefer escluso. Simbologie, lotte, conflitti irrisolti, ansie, dolore e speranze, nella fabbrica si consuma l’inadeguatezza dell’esistenza umana che non riesce a sopportare la condizione di minorità cui ha costretto l’operaio del XX secolo, e dunque l’arte, che potrebbe fare in un luogo fisico come questo?

Certo molti hanno tentato, grandi (e piccoli) artisti del passato recente e del presente permanente, ma Cattelan definisce una nuova drammaturgia essenziale capace di “colonizzare” una Cattedrale Laica attraverso la sua silenziosa e universale omelia materica.

Bastano tre parole per descrivere il nostro tempo, ma ci vuole la genialità dell’artista per definirne l’origine e la fine, senza fini. Lo spettatore è dis-orientato dal buio e dalla vastità di uno spazio dove deve impegnarsi alla ricerca di uno o più segni, di uno o più sensi, neppure tanti ma infiniti, ed è impressionante vedere l’effetto che la prima stazione di questa angosciosa via-crucis ci regala.

Un monumento funebre ma molto realistico, un uomo e un cane di piccole dimensioni, ma nello splendore del marmo statuario di Carrara, certamente un profugo, un senzatetto, semplicemente un disperato che non può consolare o farsi consolare dal cane.

Morti o addormentati che siano, l’effetto del gruppo scultoreo è impressionante per la classicità del gesto e la capacità di narrazione che quei due piccoli blocchi illuminati da un faro di luce fredda, possono produrre.

Il titolo non lascia scampo perché quel respiro non lo troveremo nell’immenso teatro della vita vera, del dramma insignificante di tutti gli invisibili del mondo, e l’arte ci regala questa emozione che ci invita a concentraci sul dolore infinito, costante e silenzioso di tutti gli esseri viventi. Se vi allontanerete nel buio da quei corpi freddi ma caldissimi probabilmente molti di voi lo sentiranno, li sentiranno quei respiri leggeri, leggeri come il nulla che li accoglie, nel sudario planetario che continuiamo ad ignorare.

Nel grandissimo spazio centrale al primo impatto emotivo,non si percepisce che c’è stata una volontà di cambiarne i significati spaziali, temporali e animali, fino a quando non impattiamo sul primo delle migliaia di piccioni in tassidermia, a grandezze indefinibili, colonizzatori regali delle capriate della fabbrica, di ogni anfratto, soli o in gruppo, si limitano a guardarci.

Effettivamente, non immediatamente, avvertiamo questo disagio di essere noi “lo spettacolo” e loro i comodi e inquietanti “spettatori”, indecisi sul da farsi, ma tutto sembrano tranne che presenze quotidiane, spettri, fantasmi vivi, solidi, compatti e forse agguerriti, non sapremo mai se verso la fine della mostra attaccheranno o continueranno semplicemente a spaventarci.

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Migliaia di occhi ci guardano silenziosi, lontani, sembrano imbalsamati, e infatti lo sono, ma nessuno riuscire a distogliere lo sguardo da quelle presenze che hanno ribaltato la percezione dell’arte fino a qualche giorno fa, lasciando all’opera il ruolo di attore, e a noi poveri mortali la necessità di giustificare la nostra ingombrante presenza in quel buio, in quel silenzio, in quella fabbrica. Mai spazio espositivo fu reso volutamente così poco invitante come in questa mostra liturgica, mai effetto così dirompente si realizzò con così pochi ma giganteschi segni.

Il buio ormai è entrato dentro di noi, ma le pupille imparano a gestirlo, e l’arrivo nella stazione finale ci sballottola verso altre dimensioni, materiali, e siamo al “cieco, monumento monumentale, fuori da ogni scala e da ogni logica, infatti non è solo una scultura ma un’architettura, una casa umana, il simbolo della modernità (il grattacielo) squarciato dalla violenza del terrorismo (religioso).

Nel rapporto tra oggetto offeso, frutto della grandezza dell’uomo, si innesca la cecità di chi vuole annientare questo innalzamento verso mete e intelligenze che, il (fanatismo) cieco non può vedere e che, non riesce a sopportare. Niente di politico solo una guerra tra segni e risultati, ma è chiaro che l’artista deve prendere una posizione etica rispetto al principio di alterità della volgarità dell’oltransismo in tutte le sue declinazioni e la possenza monolitica della cultura.

In questo caso l’architettura viene vista come un bersaglio della modernità da abbattere, ma la trasfigurazione in opera d’arte ne ingloba l’elemento cattivo che l’ha violentata. Tre parole, tre mondi, tre universi concettuali, antropologici, costellazioni di principi che dialogano nel silenzio di queste navate industriali, e raccontano attraverso la storia del mondo, i principi che hanno distrutto la nostra società contemporanea, a partire da un’idea scombinata della modernità.

Cattelan è un grande artista, e dopo questa canalizzazione emozionante di segni, segnali, sogni, disegni e materie e materiali, ci consegna “la scatola nera” degli ultimi decenni, perché oltre a questo silenzio non si potrà andare e dopo questa densità sentiamo la necessità di fermarci a riflettere per ricominciare a pensare a qualche forma di futuro.

Se l’arte ha qualche scopo, una sola necessità, allora questo giovane sessantenne ha cercato di dircelo dopo averci depistato per molto tempo, ma sembra esser giunto il momento di cambiare i connotati ad una società che non sa respirare che produce fantasmi che si è rifugiata nella comodità della cecità.

Breath ghosts blind produce quel senso profondo di inadeguatezza che ha accompagnato l’azione di tanti che avrebbero dovuto ridarci il migliore mondo possibile, mentre finivano di depredarne ogni stupore, e la residua meraviglia, non sarà Maurizio Cattelan, né la bellezza a salvarlo ma forse è stato uno dei pochi ad averci costretto a guardare quell’abisso, con gli occhi soavi di un eterno bambino.


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