E’ nell’affascinante Reggia Borbonica di Portici che si può godere della vista dei reperti e mobili lignei miracolosamente sopravvissuti all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

Quando è il legno ad essere protagonista di una storia, il finale può riservare delle sorprese. «Materia. Il legno che non bruciò ad Ercolano» è il provocatorio titolo dell’esposizione di enorme valore storico-culturalevisitabile fino al 31 dicembre 2023, dei reperti mai presentati prima d’ora al pubblico, protagonisti del Parco Archeologico di Ercolano. Sono ben 120 gli oggetti in legno sopravvissuti all’eruzione del Vesuvio e recuperati dall’antica città di Herculaneum, che ricostruiscono oggi uno straordinario spaccato di vita quotidiana in epoca romana.

Materia. Il legno che non bruciò ad Ercolano

Il percorso prende vita da un’installazione di luci e suoni evocatori del calore e dell’energia demolitrice dell’eruzione, ai quali sono sopravvissuti, inspiegabilmente, i materiali lignei di Ercolano. Il visitatore è preda dei colori e dei profumi della materia per eccellenza, sua maestà il legno, come se si trovasse all’interno di un laboratorio artigianale, dove tavolati e tranciati attendono pazientemente la stagionatura in attesa di essere lavorati.

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Avviene così il primo incontro ravvicinato con la materia, termine tecnico che i Romani utilizzavano non solo con l’attuale significato a tutti ben noto, ma anche per indicare il legno da taglio, ancora non lavorato: legno come materiale supremo.

Dai resti eccezionali di una piccola imbarcazione utilizzata per la pesca (fluttuante su un fiume virtuale), rinvenuta negli anni novanta del Novecento nei pressi dell’impianto termale dell’Insula Occidentalis di Ercolano, si passa a manufatti originati dalle tecniche di lavorazione del legno, fino ad una culla – ancora dondolante – e persino delle statuette rappresentanti le divinità venerate per proteggere la domus (dalle sembianze di un vernacolare presepe). La barca è corredata dalla presenza di un eccezionale dritto di prua in legno in guisa di testa di serpente dipinta in rosso – elemento spesso raffigurato negli affreschi pompeiani – insieme a un timone in legno e sei remi riconducibili ad imbarcazioni da pesca.

Il progetto della mostra è nato dalla collaborazione tra il sito Unesco con la Città Metropolitana di Napoli, il Dipartimento di Agraria e il Musa (Centro Museale Reggia di Portici) dell’Università degli Studi di Napoli Federico Il; la curatela è stata affidata al Direttore del Parco Archeologico di Ercolano, Francesco Sirano e all’archeologa Stefania Siano.

I materiali esposti sono dei veri e propri pezzi unici al mondo, frutto di ritrovamenti eccezionali in un sito archeologico testimone di una devastante eruzione vulcanica di proporzioni catastrofiche, dove il ritrovamento di materia lignea è a dir poco sorprendente, anche per gli stessi addetti ai lavori. In questo caso il legno è destinato a diventare simbolo evocativo d’immortalità, al servizio di un’intera comunità, valorizzando un luogo meno conosciuto di quanto meriti come il Parco Archeologico di Ercolano e la meravigliosa, vanvitelliana Reggia di Portici

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Con uno sguardo diretto dallo strabismo di Venere sui materiali dell’antichità sono più spesso i marmi, le pietre e i mosaici che affiorano alla mente, in verità le abitazioni romane erano ricche di mobili in legno e ad Ercolano se ne seguono le tracce.

L’esposizione, articolata in diverse sale, offre inoltre una connessione tra passato e presente, un dialogo tra l’antico e il contemporaneo, emblema delle tante facce del luogo che la ospita. La Reggia, residenza estiva della famiglia reale borbonica e sede del Herculanense Museum, è stato tra i primi musei archeologici al mondo e ambita meta dell’élite di viaggiatori del Grand Tour, nell’Ottocento ospitò anche la residenza di Murat e poi sede della Real Scuola di Agricoltura di Portici. Nato come scuola di agraria è diventato oggi il principale ente nella formazione nel campo delle scienze agrarie non solo in Italia ma anche a livello mondiale. 

Un viaggio eccezionale attraverso una normalità “pietrificata” reso possibile grazie al peculiare tipo di seppellimento, causato dalle ondate di fango vulcanico dell’eruzione del Vesuvio. In fondo, anche nel design contemporaneo – ce lo dimostra l’Olandese Maarten Baas con la sua collezione Smoke – un getto di fuoco e una finitura in resina possono trasformare dei mobili ordinari in pezzi unici dall’effetto carbonizzato. Il gesto di rottura della sedia o del tavolo bruciato è fortemente significativo, oltre a rappresentare un’innovazione (ma non lo é davvero, la natura si era già adoprata in tal senso) davvero sorprendente.

Infatti, la coltre piroclastica di circa 20 metri di spessore ha inglobato materiali, utensili, elementi architettonici e arredi in legno che si sono carbonizzati ma non bruciati: come il letto con tre alte spalliere riccamente intarsiate, armadietti con le ante che si possono aprire e chiudere come se fossero state da poco utilizzate dai padroni di casa appena usciti dall’abitazione e tanto altro. 

Non mancano le straordinarie decorazioni in legno colorato del soffitto della Casa del rilievo di Telefo (che deve il nome ad un altorilievo raffigurante per l’appunto il mito di Telefo) – dove sono stati rinvenuti ben 250 frammenti di abete bianco – di un tetto e di un controsoffitto lignei, incredibilmente conservati dall’eruzione. Un manufatto di assoluta unicità per il mondo antico. Il legno si presenta ancora “vivo” e mantiene tracce di pigmento colorato in alcune sue parti. Le ottime condizioni di conservazione hanno permesso di ricostruire le antiche tecniche ad incastro e tratteggiare l’aspetto generale del controsoffitto “a lacunari” (o cassettoni), inclusa l’antica colorazione.

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E riemergono così anche i preziosi intarsi in avorio che decoravano i mobili della sontuosa Villa dei Papiri, che conservava al suo interno una biblioteca con oltre 1800 papiri.

Tutti oggetti di vita quotidiana dei cittadini di Ercolano ed elementi architettonici realizzati in legno che non sono andati distrutti, ma protetti dal manto del tempo.

E’ indiscusso merito dell’appassionato lavoro di operai, restauratori, architetti e archeologi se –  a partire dagli scavi del noto Maiuri e poi nel corso di molteplici decenni – tali manufatti sono stati sapientemente recuperati, conservati e poi restaurati prima di fare bella mostra di sé all’interno di questo particolare percorso espositivo.

La meticolosa operazione di restauro ha consentito, altresì, il recupero di numerosi oggetti di grande valore che, pur presentandosi nella maggior parte dei casi come legno carbonizzato, conservano la magia della loro forma primigenia e la sontuosa eleganza delle decorazioni intagliate.

Mille sono gli usi degli alberi, in mancanza dei quali non sarebbe possibile vivere. Con l’albero solchiamo i mari e avviciniamo le terre l’una all’altra, con l’albero costruiamo le case.

Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XII, 2

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