Il cuore simbolico della città di Siena si sente palpitare nell’abbraccio circolare di Piazza del Campo, un girotondo che rincorre la città e gli edifici in pietra che vi si affacciano in tono di bonaria sfida.
Siena viene assurta dall’UNESCO a modello di perfezione e ideale di città medievale. Costruita nel luogo esatto dove tre antiche città collinari degradando dolcemente si congiungevano insieme, prima di unire le forze per creare la comunità di Siena.
“Il Campo” si apre strategicamente sull’intersezione delle tre vie centrali che conducevano a Siena e rappresentava una sorta di “terreno neutrale” dove ospitare sia feste religiose che ricorrenze politiche e civili. La conformazione architettonica della piazza e degli edifici che la fiancheggiano, sentinelle con lo sguardo rivolto al placido lago di mattoni rossi, è frutto di rigide normative emanate dal Comune alla fine del ‘200 (prima che i palazzi venissero alla luce). L’abbattimento era il prezzo da pagare per tutte quelle costruzioni non ritenute conformi (come accadde all’antica chiesa di San Pietro e Paolo). Una “forzata” armonia del costruito imposta dai vertici del governo.
La fabbrica del Duomo di Siena viene benedetta il 18 novembre 1179 dal Papa senese Alessandro III, strenue oppositore dell’imperatore Federico Barbarossa, che solo alcuni anni prima aveva posato la prima pietra della Cattedrale di Notre Dame a Parigi.
La costruzione attraversa diversi secoli (non a caso l’appellativo di cantiere e fabbrica ben restituisce la dimensione ciclopica del progetto) portando a compimento ciò che è universalmente considerata opera eccellente di architettura romanico-gotica destinata a ospitare al proprio interno opere di Bernini, Nicola e Giovanni Pisano (il capolavoro del pulpito in marmo di Carrara), Donatello (Il Banchetto di Erode), Pinturicchio, Michelangelo con il suo San Pietro scolpito in età giovanile).
«Il Duomo è uno dei punti chiave dell’equilibrio magico – simbolico della città» Così Mario Bussagli descrive la cattedrale senese nel suo saggio postumo “Arte e magia a Siena”. Il quadrato magico del Sator si ritrova in un piccolo pannello, posto sulla parete sinistra della cattedrale e di fronte all’Arcivescovado, su cui è scritto: SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS (presente in alcune città italiane tra cui Cremona e Verona, in castelli francesi e perfino nelle chiese anteriori al IX secolo in Cappadocia).
La linea di parquet Heritage di Listone Giordano, che ha ispirato il viaggio della collezione Atelier tra i borghi più belli del centro Italia, nasce sulla scia di una crescente sensibilità nei riguardi delle tematiche ambientali, a testimonianza di un cammino pluriennale intrapreso dall’azienda nel rispetto e nell’utilizzo delle risorse boschive. La scuola di silvicultura francese, modello eccellente di gestione forestale sostenibile, ha svolto l’importante ruolo di “battistrada” in questo campo. La pavimentazione lignea Heritage Siena rappresenta una contemporanea evoluzione estetica e tecnologica, grazie al dolce trattamento termico che dona una particolare cromia alla superficie, partendo da sua maestà il Rovere.
La traduzione letterale della frase latina è: “Il seminatore, all’aratro, governa le opere (e) le ruote”, ma questa non aiuta a decodificare il suo criptico significato traslato in “Gesù cristo, attraverso il creato, regola lo scorrere del tempo grazie alla (sua) opera divina”. Le chiese, quindi Dio/Gesù, attraverso i rintocchi delle campane regolavano lo scorrere del tempo, scandivano la vita degli uomini sia che fossero cittadini o contadini.
LEGGI ANCHE – Villa Alce, l’alchimia architettonica di Federico Delrosso
Un’altra possibile interpretazione è quella secondo cui “Gesù Cristo (sator, quindi il coltivatore o il seminatore), attraverso il creato regola lo scorrere del tempo grazie alla sua opera divina.” La scomposizione anagrammatica di SATOR produce due Pater Noster posizionati a croce, in cui alla fine dei quattro vertici avanzano due a e due o – alfa e omega – a simboleggiare l’inizio e la fine (la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco).
L’Opera del Duomo è, dunque, uno scrigno che cela tesori nascosti di immenso valore, la sua cripta con affreschi – recuperati dopo secoli di negligenza – venne parzialmente riportata alla luce solo alla fine dello scorso millennio, quando l’Opera della Metropolitana di Siena incarica il Dipartimento di Archeologia Medievale dell’Universita di Siena di redigere il progetto di restauro.
Riemerge così uno straordinario ciclo pittorico conservato nella sua nativa e incontaminata purezza, che raffigura storie del Vecchio e del Nuovo Testamento di grande rilevanza artistica, risalente ai primordi della pittura senese e reso ancor più suggestivo dal fatto di non aver subito alcun tipo di intervento di restauro.
LEGGI ANCHE – Pienza, città della luce e meraviglia del rinascimento
Sono proprio le operazioni di scavo e le indagini archeologiche, condotte in ambiente ipogeo, a svelare uno spazio architettonico che offre un’interessante chiave di interpretazione della storia dell’architettura medievale senese, con particolare riferimento alla configurazione originaria della struttura della Cattedrale stessa.
Il progetto di restauro, che ha riguardato il complesso di San Giovannino, era teso a recuperare e valorizzare un tesoro architettonico in abbandono ed integrarlo al percorso museale dell’adiacente Cattedrale e del Battistero. La particolarità della struttura, le cui vicende storico-costruttive s’intrecciano a quelle della Cattedrale, ha un elevato valore storico artistico arricchito dal sorprendente ritrovamento di alcune grotte.
Da una in particolare si dirama un angusto cunicolo, scavato nel tufo, che porta ad una parte della cripta duecentesca con le sue pareti affrescate. Attenti e lunghi studi hanno permesso di appurare che sotto il pavimento a commesso marmoreo della cattedrale – nella zona centrale del presbiterio, antistante l’altare maggiore – si trova ancora un ampio vano che costituisce la prosecuzione di quell’ambiente, fino ad oggi conosciuto come cripta delle statue. Questa rappresenta la porzione “salvata” dell’originaria cripta, che gli storici ritenevano fosse andata distrutta durante i lavori di ampliamento del duomo nel corso del XIV secolo.
LEGGI ANCHE – Tuscania, lo spirito rupestre di un borgo da riscoprire nella Tuscia
Alcuni saggi confermano la presenza di altre superfici affrescate, ma anche la mancanza di strutture di sostegno del pavimento del Duomo. Un caso veramente raro ed originale – o forse unico – ha portato alla scoperta del monumentale pavimento del Duomo che, anziché essere sostenuto da murature, da archi o volte, era stato costruito proprio sopra il materiale detritico utilizzato per riempire l’ipotetica cripta nel corso del XIV secolo e proveniente dalle demolizioni delle sue volte di copertura. Di conseguenza, in alcune zone era assai evidente un distacco di questo materiale dal pavimento, come risultato di assestamenti e quindi abbassamenti, avvenuti nel corso dei secoli.
Il capolavoro, prezioso quanto fragile, si srotola davanti agli occhi estasiati dei visitatori come un infinito arazzo marmoreo disteso a pavimento. Ogni anno si celebra il rituale svelamento dell’opera – in coincidenza con il Palio dell’Assunta – che cade il 16 agosto. Il mosaico orizzontale composto da 56 tarsie potrà essere ammirato fino a fine ottobre. Giorgio Vasari parla di questo pavimento come il “più bello…, grande e magnifico che mai fusse stato fatto” e, in confidenza, aveva proprio colto nel segno. La sua meraviglia assomiglia molto a quella che proviamo tutti noi di fronte al mistero del genio umano.
LEGGI ANCHE – Monteriggioni, mito e verità dell’inespugnabile rocca
Costruito con marmi locali, la pavimentazione del Duomo di Siena, è la magnifica summa di un ricco palinsesto iconografico realizzato tra il 1300 e il 1800. La tecnica impiegata, insieme a quella del graffito, è definita dagli esperti del “commesso marmoreo“: il marmo (o pietre dure) di diverse tonalità viene tagliato ed accostato per realizzare la composizione.
Furono maestranze senesi a realizzare i cartoni preparatori per le tarsie, unica eccezione fatta per quello di cui è autore il Pinturicchio, (“piccolo pintor”, artista di origini umbre). E’ la Salvezza il tema che sembra annodare il filo che lega tra loro le 56 scene componenti gli intarsi del mosaico, la cui lettura ci viene offerta dal celebre critico d’arte Friedrich Ohly.
Nella sua trattazione “La Cattedrale come spazio dei tempi” l’autore analizza il mosaico della Salvezza sotto vari aspetti, partendo da coloro che non avranno salvezza fino ad arrivare a coloro che invece godranno della luce eterna. La salevezza dell’umanità stessa non risiede, in fondo, anche nel saper riconoscere e proteggere la bellezza?
Fonti:
Friedrich Ohly “La Cattedrale come spazio dei tempi. Il Duomo di Siena”
Pubbl. dell’Accademia Senese degli Intronati, 1979
Siena e le origini Dal mito alla storia di Fabio Gabbrielli
Mario Bussagli, Arte e magia a Siena, Il Mulino, Bologna, 1991.
Seguici sui nostri canali per restare sempre aggiornato: