Grazie a Simone Regazzoni e alla sua ultima opera: Oceano Filosofia del pianeta, riscopriamo il flusso di pensiero che lega l’umanità all’acqua come arché universale, principio primo ed insostituibile della vita stessa. Un divenire che si rispecchia nell’infinito flusso acquoreo, fiume cosmico che impone di «ripensare radicalmente il rapporto Terra-Oceano e la costituzione stessa del mondo».
Sorella acqua è simbolo universale incarnato nel Cantico delle Creature “la quale è tanto utile e umile, preziosa e pura”, fonte di vita e di salute che stride con l’attuale status di “merce”. Lo ha affermato Papa Francesco, citando san Francesco d’Assisi, in occasione della Giornata mondiale dell’acqua.
Oceano, in greco antico Okeanòs è il nome di una divinità arcaica, primordiale, di cui parla Omero nell’Iliade, zoé intesa come vita nella sua forza indefinita ed infinita che irrompe nell’ultima fatica letteraria del filosofo. Disciplina filosofica che diventa tutt’uno con la schiuma delle onde: Oceano è un’esperienza vitale e corporea, radicata in un atollo della Polinesia, un dialogo che si estende all’infinito fino ad abbracciare l’immensità della distesa liquida. E Oceano non è qui un oggetto da analizzare a rigor di logica, ma una dimensione vitale: «Pensare, qui, è vivere e provare la natura oceanica nell’esperienza percettiva del mio corpo carnale».
«Questo viaggio è un’odissea, un mito, una cosmologia, un libro di filosofia scritto come un romanzo di fantascienza, un libro sognato da un filosofo balena, un tatuaggio inciso sul mio intero corpo, la riscrittura dell’opera andata perduta di Talete “Astronomia nautica”, il pensiero pensato dalla grande onda Jaws, il sonno di una ragione immersa nelle profondità oceaniche della luna di Giove Europa, un dialogo all’alba con Willliam Turner alla foce del Tamigi, la trascrizione dei geroglifici incisi sul corpo di Moby Dick, il monologo interiore di un feto stellare che mi riporta a casa: là dove non abbiamo mai cessato di essere, dove si tratta di imparare ad abitare, come su un altro pianeta, in un’altra dimensione della vita». Così l’autore lascia in eredità, all’ultima pagina, la testimonianza più forte e penetrante della divinità oceanica che anima il suo libro.
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Possiamo risalire a ritroso nella storia del pensiero umano, dai greci e la filosofia pre-socratica di Talete di Mileto a Eraclito, per poi giungere ai grandi maestri della civiltà classica Platone ad Aristotele – i flutti ci spingono fino a Empedocle e Ippocrate – per saggiare l’acqua alla base di diverse teorie filosofiche che individuano in questo prezioso elemento l’origine stessa della vita. Acqua come creazione, genesi e fonte dell’esistenza umana, metafora del divenire e fine ultimo in cui tutto sembra disciogliersi.
L’acqua è ritenuta elemento chiave del cosmo e della vita già a partire dalle origini della filosofia antica a cui fanno capo pensatori che la ritennero il principio materiale delle cose, ovvero ciò in cui le cose hanno il proprio essere, da cui si originano e in cui si corrompono. La maggior parte dei primi filosofi, infatti, tendeva ad identificare una realtà naturale che avesse in sé il principio dell’universo.
Talete concepì la teoria secondo la quale l’acqua è matrice, madre e principio di generazione di tutte le cose. La pluralità del reale si riduce, quindi, ad un unico elemento all’origine del mondo grazie alla cui solidificazione emerge la terra e all’evaporazione l’aria e successivamente il fuoco. Tutto dall’acqua nasce e nell’acqua ritorna, soltanto l’acqua rimane eterna, fonte e fine di ogni cosa.
La cosmologia di Talete prevede inoltre che questa risorsa sia illimitata e l’universo ne sarebbe interamente circondato; la stessa Terra sarebbe da considerarsi un’isola galleggiante sull’acqua, che si scopre nelle profondità dei pozzi e le cui mosse provocherebbero i terremoti. La volta celeste sarebbe sormontata dall’acqua, che cade sotto forma di pioggia o diluvio se la volta si incrina.
Dopo il fuoco per Eraclito di Efeso, l’acqua concentra in sé la ragione del divenire delle cose, il celebre Panta rhei os potamòs (tutto scorre come il grande fiume originario – Okeanòs) che abbracciava le terre emerse). Il divenire viene infatti presentato come un flusso d’acqua, come un eterno fluire in cui ogni cosa è soggetta al tempo e alla sua relativa trasformazione.
Eraclito chiarisce meglio il suo pensiero in alcuni frammenti in cui ancora una volta l’acqua è l’elemento chiave: “nello stesso fiume non si può scendere due volte”, “negli stessi fiumi entriamo e non entriamo, siamo e non siamo”, “su quanti entrano negli stessi fiumi acque diverse e ancora diverse scorrono”.
Non un unico principio ma quattro elementi sono le forze vitali che, secondo Empedocle di Agrigento, generano e vivificano il mondo: aria, acqua, terra e fuoco, dal miscuglio e dalla separazione dei quali tutto nasce e Nestis è la divinità dell’acqua, e gioca un ruolo centrale nella creazione.
Dal principio del mondo a fonte di salute, Ippocrate di Coos si concentra sulle capacità curative dell’acqua, operando una prima fondamentale separazione tra religione, magia e medicina in quanto embrione di una nuova scienza. La sua disamina sulla qualità delle diverse acque esistenti sul territorio, mettendole in relazione con le malattie che colpivano le popolazioni, fertilizza l’approccio scientifico.
I due grandi maestri della scuola ateniese giunta a piena maturità, Platone e Aristotele, concepiscono l’acqua come ingrediente primario di tutte le cose. Il primo, però, non considera l’acqua in quanto tale, ma come una composizione della superficie piana più semplice – il triangolo – assemblata in tanti icosaedri. La sua caratteristica, assieme all’aria, è quella di occupare una posizione intermedia tra la figura piramidale del fuoco e quella cubica della terra.
Per Aristotele l’acqua è uno degli elementi fondamentali del mondo che egli definisce “sublunare” e forma la superficie del globo terracqueo: al di sopra si collocano la regione dell’aria e, più in alto, quella del fuoco. Il filosofo individua nei fluidi il motore della dinamica.
La diversa dimensione dell’abitare su un’architettura corallina dell’isola di Maupiti – alla luce lunare che si spande sulla Polinesia Francese – è stato l’approdo scelto da Simone Regazzoni per scrivere Oceano, «immerso fisicamente, materialmente, nel flusso del suo scorrere». Un filosofo-balena con i piedi nella sabbia e una capanna di legno pieds dans l’eau, che ha nuotato, surfato e si è immerso nell’acqua dell’Oceano.
Non si può scrivere del grande padre oceano – o meglio suprema entità che abbraccia in sé maschile e femminile – che è poderoso padre e ventre materno allo stesso tempo, non lo si può avvicinare da dietro lo schermo di un personal computer. L’autore sceglie il corpo a corpo, l’immensa ed ingovernabile potenza acquorea per dar vita ad un «libro-corpo» da cui emerge in superficie «l’unità carnale di uomo-natura, o meglio ancora mente-corpo-natura, al di là dei limiti di una filosofia ancorata a un pensiero terrestre che prenda semplicemente a oggetto della propria riflessione discorsiva la natura, sulla base della separazione tra uomo e natura», tra uomo e quello che per i Greci era phýsis, che contiene nella propria etimologia tutto il senso del divenire.
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La natura contiene in sé il nascere e il crescere delle cose, il loro divenire, e pertanto non serve ricorrere a successioni di esseri mitici dai quali dovrebbero derivarne altri fino a giungere finalmente alle cose sensibili. E tuttavia, pur essendo l’origine delle cose, essa rimane eguale a sé stessa, essa genera mantenendosi: i filosofi ionici colgono nella natura l’unità che si manifesta tanto nell’essere quanto nel divenire, tanto nel conservarsi che nel mutare delle cose.
Il significato di “natura” designa l’insieme delle cose e degli esseri esistenti nell’universo, e deriva dalla radice latina gna (in greco gen), che significa “generazione”, da cui il verbo latino nasci, “nascere”.
Cassirer scrisse così, che «la “natura” del fondamento originario è tale che essa si disperde in una molteplicità di configurazioni particolari dell’essere e si traduce in essa, ma non vi si distrugge: si conserva in essa come un nocciolo immutabile. Al contrario, la molteplicità, come deriva tutto il proprio essere dal fondamento originario, così alla fine deve necessariamente ritornare a quest’ultimo. In tale processo del nascere e del perire del particolare si manifesta l’ordine eterno e l’eterna giustizia della natura come l’annunzia Anassimandro».
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La rivoluzione del punto di vista intrapresa da Simone Regazzoni ci porta a guardare il pianeta-oceano ed abbandonare il nostro solido radicamento terrestre, il nostro antropogeocentrismo per abbracciare quella di ”idea di pianeta” e idea di vita a partire da Oceano (sull’onda dell’intuizione del primo maestro Talete), andrebbe gridato che il 99% dello spazio bioabitabile dell’universo, quello che contiene in sé l’80% delle specie viventi, tre/quarti della superficie terrestre è acqua e lo stesso universo nasconde oceani spaziali, immensi cuori blu interamente da esplorare.
Apollo 17 fotografa il nostro pianeta ( 7 dicembre 1972) a quarantacinquemila chilometri di distanza, la famosa foto “Blu Marble” diventa icona di un nuovo modo di guardare alla terra da una prospettiva uranica e «cambierà per sempre la percezione del nostro pianeta»: ci apparirà come un pianeta blu, una sfera acquorea che vaga nello spazio come altre sfere, altri mondi oceanici.
Tanto che «oggi una filosofia naturalistica deve rompere con il geocentrismo e tornare ad avere un respiro cosmologico, pensando non solo l’altrove, ma la connessione tra qui e l’altrove. L’Uno acquoreo come Uno oceanico è l’Uno tutto che abbraccia il cosmo».
Fonte: Oceano – Filosofia del pianeta” (Ponte alle Grazie, 2022)
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