Tiziano in mostra a Milano a Palazzo Reale con “Tiziano e l’immagine della donna nel Cinquecento veneziano“.
“Morii per la Bellezza, e non appena mi ebbero accomodata nella tomba un uomo morto per la Verità venne deposto nella stanza attigua. Mi chiese piano perché fossi morta.“Per la Bellezza”, gli risposi pronta.“Io per la Verità”, soggiunse lui.“Sono una cosa sola, siam fratelli.”Come parenti incontratisi una notte, conversammo da una stanza all’altra, finché il muschio ci raggiunse le labbra, ricoprendo per sempre i nostri nomi”.
Emily Dickinson
Può essere fisica, l’arte? Può uscire dal piano della rappresentazione un dipinto? I colori, le forme, i chiaroscuri, addirittura un corpo? Quale il grado di sensualità che la pittura è in grado di esprimere, nel tempo lontani dal giudizio estetico, o romantico o empatico.
La mostra di Milano a Palazzo Reale su Tiziano e Co. risponde perfettamente a questa necessità, esplora questo desiderio immarcescibile dell’uomo e dell’artista, e non è un caso che la curatrice sia una donna perché traccia il percorso misterioso dell’attrazione, quella chimica che non conosce formule, e non si placa mentre ci avviluppa rendendoci schiavi di una bellezza irraggiungibile, inestimabile e imprescindibile.
Palma il Vecchio, Paolo Veronese, ma anche Giorgione e Paris Bordone provavano un enorme piacere a rappresentare quei corpi, quell’articolazione di sinuosità, i colori e le sfumature della pelle e delle forme come una liberazione dall’angoscia della costrizione di abiti e paramenti perché in quella nudità c’era la verità, tutta la verità della bellezza.
Argomento non negoziabile sia per l’estetica che per il costume di una donna in tutte le sue potenziali espressività: nobildonne, dee, eroine, letterate e addirittura collezioniste come la magnifica immagine di Isabella d’Este, fortissima e coltissima, che Tiziano congela al di fuori dal tempo, adolescente perpetua, capace di tenere testa a tutti gli uomini del tempo.
Quelle donne scrivevano, dipingevano, alcune progettavano perché era nella loro natura confrontarsi con l’universo vessatorio e scomposto dell’uomo arcaico, assorbito da guerre e intrighi e dalle violenze quotidiane di potere (esattamente come oggi, esattamente come sempre), eppure fino all’Oscuro oggetto del desiderio di Bunuel, la pulsione fisica fagocita tutto il resto.
Dunque Tiziano conosceva bene le donne, e le sapeva rappresentare come nessuno prima o dopo ma non ne carpisce il mistero, il bagliore di quelle carni non è sufficiente per raggiungere il centro di quell’emozione, il battito alterato che produce la passione, l’attrazione quella condizione magica e divina costantemente riprodotta sulla terra.
I capolavori esposti a Milano aiutano, ma non danno risposte definitive, ci accompagnano verso questo potenziale abisso di piaceri inespressi, e soprattutto mai soddisfatti, sopiti anche nel bagliore abbacinante del Rinascimento, dove ogni gesto per sua natura, ogni luogo assume un potenziale estetico inarrivabile e impronunciabile.
Quello che avremmo voluto, quello che possiamo permetterci di guardare, di ammirare, tutto quanto ci porta alla dimensione deificata dell’esistenza, che accomuna Eva nel gesto assoluto, dipinto da Tintoretto che ci sfida e ci conduce (ignorando Adamo) verso “la via della conoscenza”: picco erotico-simbolico della storia dell’umanità.
E non sembri irriverente la lettura passionale dell’immagine dipinta che vive come una liberazione quel corpo che finalmente si svela mostrando oltre alla bellezza la sua volontà di libertà in una specie di autoliberazione delle coscienze che vogliono costruire nuove condizioni dialettiche (non a caso una delle sezioni della mostra è dedicata alle “Coppie”), l’arte crea una nuova condizione della donna amplificando antiche e irrinunciabili necessità sociali, sessuali e culturali, in un’antropologia estetica modello per ogni donna del mondo.
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Dunque a parte la magnificenza delle opere è interessante capire una precisa volontà che accomuna gli autori, il tempo e il luogo, mostrare in qualche modo la verità, e i capolavori aiutano a rendere indulgenti gli occhi degli osservatori, ormai pronti a questa rivoluzione, e scevri da vetuste pruderie che il rinascimento non può più sopportare.
Quarantasette dipinti specchio della magia di quel tempo irripetibile e così prorompente da usare l’arte più alta per le esigenze del costume condiviso (certo da una piccola parte della società) ma sappiamo che la lezione che arriva dalle classi nobili o aristocratiche prima o poi permeerà la società nel suo complesso dal basso.
Ma la centralità del corpo avrà bisogno di molto tempo per rendersi libero dai condizionamenti, secoli passeranno prima che una donna possa sentirsi autonoma nell’esprimere ogni tipo di pulsione a parità degli esempi maschili, sia nelle professioni che nella quotidianità ma quello che rimane è quel percorso che solo l’arte è in grado di consegnarci, un desiderio mai sopito che diventa necessità.
Anche nella contemporaneità così lontana dai tempi di Tiziano, così difficile da analizzare, non possiamo non trovare quello sforzo continuo della donna nell’affermarsi come individuo, nel doversi perennemente giustificare sia per l’intelligenza che per le nudità, che rendono la magia delle immagini antiche, profetiche e attuali, sempre in attesa del prodigio di una società aperta e libera.
Proprio come la donna di Tiziano o se preferite quella di Luis Bunuel.
“….perchè mai potrà placare un desiderio che si rigenera in eterno dalla pienezza del suo stesso appagamento.
Friedrich Schlegel. Dialogo sulla poesia.
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