ANDREA BRANZI ELEGANT

Tra i ricordi scaturiti dalla ricostruzione del design italiano per una mostra di libri di Stefano Casciani, emerge una figura enigmatica di intellettuale sognatore e realista.

Durante la preparazione di 40 YEARS 40 BOOKS, la mostra sul mio lavoro di autore di libri (aperta fino al 19 novembre all’ ADI Design Museum di Milano) sono tornate sotto gli occhi molte voci e volti dell’epopea del design italiano che mi è stato possibile vivere e raccontare.

Dal più poetico dei designer umanisti Ettore Sottsass al mentore e amico Alessandro Mendini, dal principe dell’understatement Vico Magistretti ai suoi eredi eretici: Citterio, Lissoni, Urquiola. Tra tutti il più enigmatico risulta certamente Andrea Branzi (che ci ha lasciato il 9 ottobre, a poche settimane dal suo 85esimo compleanno) forse anche per la difficoltà a stabilire un dialogo personale – come con gli altri citati – o per gli imponderabili casi del destino: anche se occasioni di incontrarlo non sono mancate, dallo Studio Alchimia alla Domus Academy.

Archizoom, diagramma funzionale della No Stop City, 1969 ca

Eppure Branzi è stato la voce critica e storica certamente più originale della sua generazione, come quando con il suo libro sul Nuovo Design Italiano La Casa Calda ha tentato, con successo, una ricostruzione della storia del design italiano ab ovo, attribuendo giustamente la sua originalità alle influenze del Futurismo. Prima ancora, per tutti gli anni Sessanta e Settanta la voce di Branzi è stata tra le più provocatorie dell’Architettura Radicale, che prima ancora che Germano Celant ne desse questa definizione sulla rivista Casabella, aveva iniziato a farsi sentire qualche anno prima su Domus.

Archizoom, disegno per la No Stop City, 1969 ca

È stato Ettore Sottsass jr, a introdurre per primo nella rivista di Ponti le tesi di Archizoom e altri gruppi o individui che criticavano fortemente il sistema dell’establishment progettuale italiano: giovani formati in buona parte alla Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze una volta usciti dall’università e formati gruppi dai nomi più o meno fantasiosi, ma significativi di ambizioni culturali d’avanguardia – Superstudio, Archizoom, UFO sarebbero divenuti il nucleo centrale delle ricerche e sperimentazioni italiane
cui Mendini darà il più ampio spazio su Casabella: tra loro neolaureati come appunto Andrea Branzi, Dario Bartolini, Paolo Deganello, Massimo Morozzi (Archizoom) Adolfo Natalini, Cristiano Toraldo di Francia, Alessandro Poli, (Superstudio), Pietro Derossi, Lapo Binazzi e altri.

Il gruppo Archizoom, Firenze anni 60 (Branzi secondo da sinistra)

Sottsass rimarrà soprattutto vicino agli Archizoom – che “ha visto nascere” e ha aiutato a farsi strada – e soprattutto a Branzi, con cui manterrà a lungo un rapporto di vera amicizia, non solo intellettuale ma anche conviviale. Così quando Sottsass si deciderà nel 1981 per il “grande balzo in avanti” di Memphis (anche per le difficoltà oggettive – dopo l’iniziale entusiasmo- nel rapporto con lo Studio Alchimia) Branzi sarà tra i primi a progettare mobili la collezione di nuovodesign più famosa della storia. E Barbara Radice, curatrice del primo catalogo Memphis ne citerà i versi ironicamente poetici:

La Memphis? È un’ondata di calore.

Chi deve riscaldare la minestra lasci perdere.

Chi deve cuocere le uova aspetti.

Chi deve fondere l’oro si accomodi.*

Se per Memphis Branzi si esprime nella sua vena più poetica, alla teoria del “Redesign” e del “Banale” di Alessandro Mendini aveva riservata l’attenzione più lucida in La Casa Calda con un intero capitolo di approfondimento critico molti riferimenti al postmodernismo: “Il progetto infatti si propone nel re-design come atto che esalta ma non modifica la realtà. Curiosamente (…), il design banale giunge ad una enunciazione che incrocia (…) quella fatta dal postmoderno sulla fine dello sviluppo della cultura moderna di architettura. “

Manifesto della collezione Studio Alchymia “Bauhaus 1”, 1979 (mobili e tappeti di Branzi nella seconda fila dall’alto) 

* L’approccio bonariamente critico sul lavoro di Mendini e Alchimia non gli ha impedito di collaborare in diverse occasioni con entrambi, fino a creare con Alessandro Guerriero e Aurelio Zanotta un’intera collezione di mobili di redesign, gli Animali Domestici programma ibrido che comprende sedute tavoli consolle e mensole declinate in due tecniche: una (del 1985) fatta di veri tronchi d’albero, segati e assemblati con forme geometriche a formare mobili, anzi, idee di mobili; l’altra (del 1987, con la compagna di vita e di lavoro Nicoletta) rivisitazione di certi mobili tradizionali in bambù realizzati però con tubo metallico dipinto tromp-l’oeil.

La decorazione invece, si tratti di semplici pattern grafici o di concreti stilemi formali – che in Mendini serve a condurre verso nuovi risultati in una metamorfosi per riavvicinare il disegno e la forma dei prodotti) a un sentimento più popolare – per Branzi resta spesso un esercizio freddo, privo di calore ed estremamente concettuale. Del resto la vera aspirazione di Branzi nel tempo si è rivelata sempre più di essere un grande teorico, o meglio un critico operativo che guarda ai diversi fenomeni del progetto, vedendo sempre il bosco e non solo gli alberi.

A. Branzi, scultura “Mickey Dux” per la mostra “Mussolini’s Bathroom” per Zanotta, Centrodomus Milano 1982 (con Studio Alchimia, Carla Ceccariglia, Stefano Casciani), ph. Santi Caleca

Ma anche per mantenere sempre viva una sua singolare ispirazione mentale nel creare oggetti ancora misteriosi, tesi a comporre via via una personale mitologia: che comprende eroi disparati, dalle icone del fumetto come Mickey Mouse (negli anni Ottanta, dalla biblioteca Utopia per Studio Alchimia alle statue per la mostra Mussolini’s Bathroom ) all’enciclopedia sequenza di volti stilizzati Genetic Tales per Alessi, fino alla recentissima (settembre 2023) rivisitazione di Pinocchio in un libro di piccoli dipinti che lo “ridisegnano” in citazioni alte, da Henri Matisse a Francis Bacon. Senza poterlo più interrogare, difficile decifrarne l’eclettismo.

A. Branzi (con Nicoletta Branzi), grande panca per la collezione “Animali Domestici” Zabro/Zanotta, art direction A. Guerriero, 1985/86

Non è detto ad esempio che sia stato poi così felice di veder realizzate le distopie Archizoom, la Non Stop City diventata realtà quotidiana con le insensate urbanizzazioni italiane, di vastissimi territori – tipico quello milanese/lombardo – se come traspare da certi suoi scritti si trattava di ipotesi paradossali: ma sicuramente sarà stato soddisfatto di essere arrivato allo status di “Grande Vecchio” del design italiano, pronto ad emettere sentenze inappellabili sul Che Fare o non fare, sempre con il suo sorriso tra il sardonico e il rassicurante. Eppure una esposizione molto importante da lui curata e perfettamente allestita col giapponese Kenya Hara – Neo Preistoria: 100 verbi per la XXI Triennale Internazionale del 2016 – resta probabilmente la più bella mostra mai realizzata alla Triennale di Milano per spiegare veramente cosa sia (cosa fosse) il design nel senso profondamente antropologico.

A. Branzi, “Grandi Legni” per la mostra alla Galleria Nilufar, Milano 2009 , photo courtesy Nilufar

E tanto più quindi ci lascia il rimpianto di una grande mente che avrebbe potuto dare ancora molto, non fosse stato per un triste destino e per un certo malinconico spleen, che lo ha obbligato a voler essere sempre diverso dalle narrazioni popolari del design, certamente semplicistiche e riduttive, eppure necessarie per arrivare al cuore del grande pubblico.

A. Branzi, disegno e tempera “Pinocchio”, dal volume omonimo, ed. Vanni Scheiwiller, Milano 2023.

Per paragonarlo all’amico/avversario (certo solo sul piano culturale) Mendini, si può dire che se questi ha accettato positivamente, produttivamente la condizione del banale, della normalità, Branzi ha continuato – oltre ogni costruzione mentale – a vivere, progettare, disegnare, costruire il suo personale immaginario e la sua stessa figura di uomo artista nella costante impossibilità di essere normale.


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